
Quando ho appreso la notizia della morte di Giorgio Armani non so perché ma il mio primo pensiero è andato a un ricordo personale, legato una delle sfilate a cui ho assistito qualche anno fa nel celebre Armani/Teatro di Via Bergognone in zona Tortona a Milano. In quello show mi aveva colpito l'incedere leggiadro delle modelle e soprattutto il fatto che sul loro volto ci fosse un sorriso smagliante. Cosa ancor più particolare, alcune mannequin (all'improvviso) durante il défilé si dilettavano in piroette e movenze che a primo acchito mi hanno dato l'impressione di un qualcosa di desueto.
Desueto perché la moda contemporanea dà precise indicazioni alle modelle poco prima dell'inizio di una sfilata. I diktat, nella maggior parte degli show dei grandi brand, sono: volti seri, espressioni neutre (o addirittura imbronciate), camminate decise e assoluta assenza di gesti vezzosi o che possano ricordare qualcosa di vagamente sognante e romantico. Le movenze delle modelle sulla passerella Spring/Summer 2024 di Emporio Armani, del tutto atipiche nel fashion system, mi hanno portato a fare alcune riflessioni sul marchio e soprattutto sul suo designer e fondatore, recentemente scomparso all'età di 91 anni.

Armani la griffe sempre fedele a se stessa
Le sfilate milanesi di Armani raccontano tanto dell'uomo e dello stilista, di quale era la sua visione della moda e dello stile. Chi ha partecipato a una sfilata di Giorgio Armani sa quanto gli show di Milano potessero essere tutti molto simili. Sfilate a parte, Armani è una delle poche griffe che nell'arco della sua storia è sempre rimasta fedele a se stessa. Ciò è avvenuto negli anni anche e soprattutto per volere di re Giorgio, lo stilista imprenditore sempre presente in azienda, con un occhio attento a tutte le fasi: dalla creazione degli abiti fino alle sfilate, dagli allestimenti delle boutique alle scelte di marketing per pianificare come il marchio doveva essere comunicato. Mai assente in passerella a chiusura delle sfilate o negli eventi organizzati in tutto il mondo come le One Night Only. Persino agli after party, organizzati all'Armani Privé dopo le sfilate della Fashion Week di Milano, lo stilista faceva un'apparizione per salutare gli invitati. Non è ho la certezza, ma data la costante presenza in ogni singolo dettaglio del suo impero, qualcosa mi dice che anche il "romantico" incedere delle modelle e il sorriso inconsueto, di cui si parlava all'inizio, siano farina del suo sacco.

Credo che la scelta retrò delle piroette in passerella non debba essere vista come un desiderio di Armani di volgere lo sguardo al passato. Perché Giorgio Armani non aveva una visione antiquata della moda, non era uno di quegli stilisti che vivevano nel ricordo di ciò che era stato. La sua era più una visione che potremmo considerare universale, che superava i trend del momento. Certo, a prima vista alcuni dettagli di quella visione potevano sembrare troppo legati al passato. Le mannequin nei défilé degli anni '80 e '90 sfilavano proprio con quell'attitude lenta e vezzosa di cui sopra. Un'attitude "morbida" che oggi trova poco riscontro nel velocissimo e spigoloso mondo delle tendenze, che arrivano e finiscono in un lasso di tempo brevissimo.

Giorgio Armani non faceva la moda, era la moda
Giorgio Armani non faceva la moda era la moda. Era uno dei pochi stilisti che per una vita intera non ha badato al trend di stagione, il suo obiettivo non era quello di stupire il pubblico con spettacolari sfilate e con collezioni presentate in passerella con fuochi d'artificio. Lo stile Armani era sempre uguale a se stesso e questo non ha mai rappresentato un problema per le sorti dell'azienda. Fino alla fine re Giorgio ha portato in scena la sua idea di moda senza mai distaccarsene, senza mai allontanarsi dalla strada scelta che lo ha portato al successo.

Il ricordo della sfilata con le piroette ha poi dato il via nella mia mente a una carrellata di immagini dei look delle sfilate a cui ho assistito, in cui spiccano linee, colori, tessuti che si ripetono. Sulle passerelle Armani sono sempre presenti le palette fumose con tonalità di lilla e glicine, rese ancor più tenui dal tulle e dalla seta; ci sono spesso il verde smeraldo e il blu elettrico, illuminati da tessuti come lo shantung cangiante e il velluto, o ancora il magenta, reso ancor più brillante con cascate di cristalli e frange di paillettes. I blazer oversize e i pantaloni alla zuava, quelli a palloncino più ampi sui fianchi e stretti alla caviglia, sono altre costanti da cui lo stile Armani non si è mai separato. Che dire poi degli accessori? Dai baschi di velluto alle grosse collane dalle pietre colorate, altri dettagli iconici dell'Armani style. La suddetta carrellata di abiti, linee, colori e accessori sempre uguali ci riporta all'assunto iniziale della scelta di un marchio di restare saldamente legato al proprio heritage, al proprio gusto, che non riesce a rinunciare ad alcuni capi saldi che negli anni hanno reso grande il brand.

Attualmente nella moda cambiano i Direttori Creativi dall'oggi al domani, si passa con nonchalance da uno stile barocco al minimal, mentre convivono nella stessa collezione abiti sartoriali e t-shirt bucate o jeans sdruciti. Il tutto per stare al passo con il mondo che cambia e con le esigenze del pubblico, per andare incontro ai gusti mutevoli di chi acquista e delle nuove generazioni che spendono i propri soldi per appartenere a questa o a quella crew indossando il logo di questo o quell'altro brand. Da che ne ho memoria tutti questi cambi di rotta sulle passerelle di Armani non si sono palesati.

Anche gli spazi delle sfilate raccontavano la stessa storia, i set sono sempre stati allestiti in "luoghi Armani", dal teatro di Via Bergognone al Silos, fino all'headquarter di Via Borgonuovo. Anche la struttura della sfilata si ripeteva, sempre uguale stagione dopo stagione. Armani era uno dei pochi stilisti a proporre l'uscita doppia dei modelli ed era uno dei pochi che sembrava non fare una stretta selezione dei suoi abiti da mostrare alla stampa. Le sfilate di re Giorgio solitamente raggiungevano le 60 uscite e più, a fronte delle 30-40 che solitamente si vedono negli show degli altri brand. Che dire poi del rituale finale? A conclusione del suo défilé Giorgio Armani era solito uscire in passerella per scattare la foto di rito con alle spalle tutte le modelle e i modelli, in quella che ricorda la formazione fotografica degli scatti delle squadre di calcio.

Armani, lo stilista uguale solo a se stesso
Il lungo elenco di simboli, rituali e dettagli sempre uguali ci porta a una domanda: un marchio che non cambia, che non mostra di continuo un nuovo volto, come è riuscito a durare negli anni? E, soprattutto, come ci è riuscito continuando a fatturare e a vendere? Il modello Armani in qualche modo va contro l'ideale secondo cui un brand di moda deve trasformarsi continuamente per poter vendere. Giorgio Armani è riuscito con fermezza a controllare la sua azienda, a non cederla, ad affidare comparti fondamentali a chi aveva la sua stessa visione, creando una struttura così solida e capace di resistere alle tempeste improvvise delle tendenze che continuamente sovvertono le regole.

Un completo Armani è per sempre (e per tutti)
Con il suo essere granitico, un po' come il design brutalista che tanto amava e che caratterizza spazi come l'Armani Silos, re Giorgio è riuscito a vendere il sogno del Made in Italy e di uno stile senza tempo, convincendo il pubblico che un completo Armani e per sempre. Ha inoltre avuto l'intuito e la furbizia (che pochi altri stilisti hanno avuto) di saper parlare a tutti. A differenza di altri colleghi non si è mai posto come lo stilista di nicchia o con la puzza sotto il naso, che inorridisce nel vedere il suo logo sulle T-shirt indossate da persone "comuni", che non fanno parte del ristretto gruppo dei trend setter. Per questo alla base del successo del suo impero ci sono le linee commerciali, da Emporio Armani ad Armani Jeans, da Armani Exchange a EA7. Linee che convivono perfettamente con la prima linea Giorgio Armani e con le collezioni couture di Armani Privé.

Armani ha creato un impero in cui l'alto e il basso co-esistono, uniti da quel fil rouge che è il gusto di cui da sempre la griffe è sinonimo. Un impero in cui le T-shirt maxi logo vengono prodotte senza nulla togliere al prestigio e al percepito degli abiti e degli accessori delle label più costose e ricercate che fanno parte della stessa azienda e che portano il nome dello stesso designer. Questo saper essere così trasversale ha contribuito a creare fondamenta solide per un marchio che, così facendo, ha potuto permettersi di fare scelte autonome e slegate dalle ferree regole del fashion system, che prevedono un continuo aggiornamento di ogni singolo dettaglio, dal logo alle collezioni, dalla scelta dei testimonial alle sfilate.

Addio all'ultimo vero re della moda
Oggi diciamo addio all'ultimo vero re della moda, allo stilista che insieme ad altri grandi come lui, da Valentino a Versace, da Missoni a Krizia, passando per Missoni, Gianfranco Ferrè e per tutti quei designer che tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli '80 hanno dato vita al sistema moda italiano, portando nel mondo lo stile nostrano e rubando lo scettro alla Francia. Durante la Settimana della Moda maschile di Milano dello scorso giugno Armani, per la prima volta nella storia, non era apparso in passerella per chiudere lo show e questo aveva già destato preoccupazione. La mancata apparizione aveva fatto vacillare tutti dando un primo segnale d'allarme. A poco sono servite le interviste e i comunicati stampa pubblicati sulle testate nazionali per rassicurare il pubblico. "Ci rivediamo a settembre" scriveva re Giorgio nella lettera aperta in cui ancora mostrava la tenacia e il desiderio di essere sempre presente per la sua azienda e per il suo pubblico, anche dopo aver compiuto 91 anni. Su quella passerella Armani non è riuscito a salire e con la sua morte si chiude un'epoca, l'epoca in cui le modelle possono sorridere e fare piroette durante la sfilata.
