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Pride, l’importanza di chiedere aiuto: cosa fare in caso di violenza o discriminazioni

Le vittime di omotransfobia troppo spesso si sentono incomprese, si isolano e hanno difficoltà a chiedere aiuto. Fanpage.it ha contattato la Gay Help Line per capire cosa fare se si è vittime (o testimoni) di discriminazioni.
Intervista a Alessandra Rossi
Coordinatrice Gay Help Line
A cura di Beatrice Manca
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Il mese del Pride si avvia alla sua conclusione: a giugno molte città d'Italia hanno organizzato parate, dibattiti, eventi e manifestazioni per celebrare la comunità LGBTQIA+ e ricordare le battaglie ancora da combattere. Il 2 luglio anche Milano sarà colorata dal corteo arcobaleno in occasione del Pride. Una volta girato il foglio del calendario, però, non bisogna abbassare la guardia sui temi dell'omotransfobia: le pagine di cronaca sono ancora piene di storie di discriminazioni e violenze legate all'orientamento sessuale o all'identità di genere. Le vittime, troppo spesso, si sentono abbandonate e incomprese: è fondamentale perciò chiedere aiuto. Dirlo è un conto, farlo un altro: molte vittime tendono a isolarsi, a non riconoscersi come vittime o a lasciarsi condizionare dallo stigma. Fanpage.it ha contattato Alessandra Rossi, coordinatrice di Gay Help Line, un contact center nazionale antiomofobia e antitransfobia gestito dal Gay Center, per capire come uscire in una situazione di violenza, o aiutare qualcuno a farlo.

Cos'è la Gay Help Line?

"Noi siamo un servizio di supporto diretto alle vittime, un atto importante in un Paese in cui non ci sono delle tutele specifiche né gli strumenti per far scattare quel sistema di protezione istituzionale intorno a chi denuncia. Sapere che esiste un servizio che è in grado di prendere in carico quella situazione e di far valere le vulnerabilità per cui si viene attaccati è importante".

Quante richieste di aiuto ricevete in media?

"Noi registriamo circa 20mila contatti ogni anno, di cui il 60% sono di ragazzi giovani o comunque minorenni. C'è una resistenza a chiedere aiuto e c'è una difficoltà oggettiva nel parlarne in contesti in cui si potrebbe essere ascoltati. Oltre alla linea e alla chat noi teniamo aperti anche canali social, proprio per essere più vicini a loro".

Le persone sono sufficientemente informate dell'esistenza di una linea di aiuto?

"C'è anche un grande tema legato alla divulgazione: noi premiamo affinché ci sia un coordinamento nella visibilità dei servizi di supporto, per avere un rilancio in contesti istituzionali, un'attenzione costante da parte della stampa. Molti casi di violenza o discriminazione non sono tracciati perché non vengono denunciati: è importante raccogliere i dati".

Cosa trattiene le persone dal chiedere aiuto in questi casi?

"Le vittime hanno difficoltà a riconoscersi come vittime. Lo vediamo succedere anche nella violenza di genere, ma per le persone LGBT questa difficoltà si lega allo stigma dell'orientamento sessuale differente. La propria identità si socializza nel vissuto quotidiano: questo significa confrontarsi con la propria famiglia, con i colleghi di lavoro e iniziare a essere identificati con uno stigma genera un bisogno di isolamento. Questo condiziona l'approccio a servizi come il nostro: il fatto di essere identificabili e il fatto che sulla help line ci sia scritto ‘gay', come potrebbe esserci scritta una qualsiasi altra parola inerente alla sigla. Durante il lockdown per la il Covid la nostra linea telefonica ha avuto un calo di contatti, mentre la chat funzionava molto di più: questo perché in casa i ragazzi non si sentivano al sicuro per parlare".

Dopo la chiamata che tipo di trafila si attiva?

"Se c'è una segnalazione di violenza e ci rendiamo conto che c'è una situazione di pericolo in corso è bene sempre incentivare alla denuncia. Se invece si tratta di violenza strutturale, come un coming out che ha portato a un rifiuto in famiglia possiamo attivare un monitoraggio da parte di educatori e counsellor che siano in grado di stare vicino al ragazzo, specialmente a un minore, ed evitare che si sfoci nella violenza. Se questo caso si verifica  abbiamo un protocollo specifico con le forze dell'Ordine, in particolare con l'Oscad (Osservatorio contro gli atti discriminatori, ndr) che ci consente di segnalare l'accaduto e di far intervenire personale adeguatamente formato per dare le giuste tutele alla vittima. Nel caso di maggiorenni abbiamo la risorsa della casa famiglia Refuge LGBT, che accoglie le vittime di violenza in uno spazio sicuro per elaborare il trauma e lavorare sulla propria indipendenza. Offriamo anche servizi di ascolto e supporto legale per far valere i propri diritti sul luogo di lavoro".

Chi contattare in caso di emergenza? 

"Noi abbiamo una linea gratuita nazionale (800-713-713) attiva dal lunedì al sabato, dalle sedici alle venti. Abbiamo anche una chat Speakly, sia app che sito web, attiva lunedì martedì e venerdì dalle 16 alle 20, e poi vari canali di Gay Center via Instagram e via Facebook, da cui riceviamo segnalazioni, e un modulo web sul nostro sito. Una volta preso un primo contatto se la situazione è da tenere sotto controllo c'è un altro numero specifico sempre attivo, 24 ore su 24".

Se invece siamo testimoni di una situazione di violenza cosa possiamo fare?

"Il nostro numero è attivo anche per le sentinelle, il cui ruolo diventa sempre più cruciale. In questo caso, dal punto di vista legale, dev'essere la persona interessata a confermare la richiesta di aiuto. Questo non significa che non sia importante segnalare una situazione di violenza e di discriminazione: chiamando può ricevere da noi gli strumenti necessari per aiutare una vittima e soprattutto per renderla consapevole del fatto che non è sola".

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