Come gestire l’attacco di panico: “Il problema è la paura che torni, quando ne hai uno lo ricordi tutta la vita”

Il cervello percepisce una minaccia e lancia un allarme al corpo, ancora prima che razionalmente si possa valutare l'effettiva pericolosità: il cuore accelera, il respiro si fa corto, sopraggiungono vertigini, nausea, si ha come l'impressione di svenire, di cadere nel vuoto o peggio di impazzire. Dopo 20-30 lunghissimi minuti si torna alla normalità. Chi ha un attacco di panico difficilmente dimenticherà queste sensazioni, che potrebbero condizionarlo per tutta la vita. La grande pericolosità di questo fenomeno, infatti, sta proprio nella paura condizionante che possa accadere di nuovo: è questa paura, spesso, a bloccare la persona, a influire negativamente sulla qualità della vita. Fanpage.ie ha chiesto a un esperto come riconoscere e come gestire un attacco di panico. Il dott. Francesco Cuniberti è uno psichiatra che si occupa proprio di ansia, panico, disturbo ossessivo-compulsivo e salute mentale. Il suo messaggio è innanzitutto quello di superare lo stigma e la vergogna: chiedere aiuto per poter vivere bene.
Come si riconosce un attacco di panico?
Rispetto a un attacco di ansia, l'intensità dei sintomi è esplosiva. Mentre lo stato di ansia è uno stato di agitazione, l'attacco di panico ha tutta una serie di sintomi fisici con un'intensità molto più forte, molto spesso improvvisa, che arriva nel giro di pochi secondi. Ha un andamento a volte a onda: sembra che per alcuni momenti stia per diminuire e poi ritorna. Sono situazioni di panico che durano 20-30 minuti e poi dopo hai una sorta di spegnimento, per cui ti senti totalmente scarico. Fisicamente lo riconosci dal cuore che batte, senti dolori, lo stomaco chiuso, giramento di testa, mancanza del respiro, un senso a volte di distacco dalla realtà. Però la caratteristica è l'intensità: poi dopo un 20-30 minuti si spegne. Chi ha un attacco di panico se lo ricorda per tutta la vita e ti sa descrivere il momento preciso, dove l'ha avuto, quanto è durato. Hai paura di impazzire, di perdere il controllo, pensi che stai per morire, oltre a tutta una serie di sintomi fisici.
A un attacco di panico ne farà seguito un altro nel corso della vita? C'è recidività?
Non è detto: il vero problema è la paura che ti possa ritornare. A volte nella vita del paziente il punto non è il singolo attacco di panico, ma la paura che possa tornare, tanto è forte il malessere vissuto. Il disturbo di panico si sviluppa non tanto perché tu hai attacchi di panico, ma perché sei preoccupato di poterne averne altri, quindi inizi ad avere ansia anticipatoria, inizi a rinunciare ad uscire, a fare le cose che normalmente facevi, ad essere guardingo, ad ascoltare il fisico perché ogni segnale anche minimo può diventare un allarme.
Come si gestisce un attacco di panico?
Ci sono una serie di tecniche come la respirazione diaframmatica, le tecniche di distrazione, ma bisognerebbe imparare a maneggiarle prima, non durante l'attacco di panico, bisognerebbe esercitarsi ed essere preparati. Poi è fondamentale che chi è lì vicino sia accogliente e non dica frasi come: "Passerà". Dovrebbe distrarre in maniera costruttiva, respirare insieme alla persona, aiutarlo a spegnere in un certo senso quella sensazione. Poi ovviamente se serve si può anche arrivare a utilizzare degli ansiolitici, che comunque non hanno effetto immediato: nel momento in cui è partito un attacco di panico comunque ci mettono un po' ad agire.
Cosa evitare?
Caffeina e tutte le sostanze psicostimolanti che possono aumentare la frequenza cardiaca. Stanchezza e stress portano il tuo corpo a essere talmente teso che poi diventa facile che ti risucceda.
Le persone parlano di questo episodio o è stigmatizzato?
Tempo fa il pregiudizio era molto più presente, adesso si è un po' sdoganato. L'attacco di panico non è più visto in modo super negativo, benché la gente se ne vergogni ancora. Oggi andare dallo psicoterapeuta o dire di aver avuto gli attacchi di panico, soprattutto nei più giovani, è meno stigmatizzato e questo è un fattore positivo. Loro sono disposti a chiedere aiuto e in questo i social, chi comunica in modo corretto, sono stati di aiuto. I giovani sono proprio quelli che ne soffrono di più, ultimamente sono aumentati tantissimo. Lamentano solitudine, temono di non essere accolti, di non essere capiti a livello familiare, infatti si rivolgono spesso ai nonni. Poi a livello scolastico non sanno gestire l'alto carico prestazionale legato all'apparire, al doversi uniformare alla alle regole, a quei modelli che molte volte sono modelli finti. Sui social seguono personaggi che sono del tutto costruiti, è tutta finzione e hanno difficoltà a distinguerlo.
Qual è il modo giusto di parlare di ansia e panico, anche da parte di scuola, famiglia, amici?
Il modo il modo giusto è spiegare che sono cose che succedono a tutti, che non bisogna sentirsi diversi, che bisogna saper accogliere la difficoltà e saper chiedere aiuto. Non è solo una questione di buona volontà o di capacità perché può colpire tutti dall'imprenditore al bidello, dall'adulto all'anziano fino al giovane. Di attacchi di panico non si muore, ma si vive male quindi ognuno ha il dovere di cercare di migliorare la propria vita: si deve chiedere aiuto perché la vita è una sola, non dobbiamo viverla chiusi in casa con la paura degli attacchi di panico.