Rublev soffriva anche quando vinceva: “Era come morire, cercavo di sopravvivere”

Il tennis è la vita di Andrey Rublev. Una vita che però il tennista russo vuole vivere senza soffrire, cancellando quegli sfoghi clamorosi figli di uno stato d'animo profondamente inquieto. È stato lo stesso numero 15 del mondo a parlarne in un documentario per l'ATP dal titolo Breaking Back. L'anteprima ci mostra un Rublev disposto ad aprirsi completamente, sottolineando la sua necessità di cambiare.
Rublev si dimostra perfettamente consapevole di quanto il suo turbamento interiore poi esploda in atteggiamenti sbagliati. Il suo autolesionismo, gli sfoghi durante le partite sono figli di uno stato d'animo non sereno. Il primo a pagare dazio, dunque, è lui, con il tennis specchio della sua anima: "Immagino che, per il momento, la gente mi veda come un tennista. Ma in realtà vorrei essere conosciuto non solo come un giocatore di tennis. Il tennis è come la mia vita. Non c’è niente di più importante del tennis".
Sono stati mesi, e forse anni, difficili per Rublev, che oltre a non replicare i risultati del passato ha dovuto fare i conti con le difficoltà legate all'accettazione dell'errore e della possibile sconfitta: "Ogni volta che entravo in campo e le cose non andavano come volevo, era come morire dentro. E ovviamente, quando succede, sei al massimo dello stress. Fai di tutto per salvarti, per sopravvivere".
Anche i momenti belli non lo erano fino in fondo per il povero Rublev, alle prese con i suoi demoni: "Magari stai vincendo dei titoli, ma dentro stai solo cercando di resistere. Vai a letto e non riesci nemmeno a riposarti, perché è tutto continuo, incessante". Ora però l'obiettivo è diventare migliori, e lavorare su sé stessi anche grazie all'aiuto di vecchi amici come Safin: "Amo ancora il tennis, voglio ancora ottenere il massimo possibile, ma ora lo voglio fare in modo sano. Non più lottando, non più sopravvivendo". Auguri Andrey.