video suggerito
video suggerito

L’ingegner Mazzola: “Elkann malinformato sulla Ferrari. Nelle riunioni con Schumacher volava di tutto”

Dopo l’ennesimo weekend nero della Ferrari, l’ingegner Luigi Mazzola, tecnico chiave nell’era Montezemolo-Todt-Schumacher, analizza per Fanpage.it le difficoltà del Cavallino: il richiamo pubblico di Elkann, il momento di Hamilton e Leclerc, la mancanza di una guida tecnica e il confronto con la Ferrari che vinceva tutto.
A cura di Michele Mazzeo
37 CONDIVISIONI
Immagine

In casa Ferrari la tensione è tornata a salire dopo il GP del Brasile della Formula 1 2025 ad Interlagos, chiuso con un doppio ritiro e con le parole del presidente John Elkann, che ha richiamato pubblicamente i piloti a "parlare meno e guidare di più". Una frase che ha fatto rumore, aprendo un dibattito profondo sul momento della scuderia di Maranello, oggi alle prese con una stagione difficile nonostante l'arrivo di Lewis Hamilton e l'impegno profuso da Charles Leclerc.

Tra problemi tecnici, una vettura che non convince, strategie incerte e una leadership sotto osservazione, il presente del Cavallino Rampante appare lontano dall'epoca d'oro firmata Montezemolo-Todt-Schumacher. Per capire cosa stia davvero succedendo dentro e fuori dal box, Fanpage.it ha intervistato l'ingegner Luigi Mazzola, una delle figure tecniche simbolo di quella Ferrari capace di trasformarsi da squadra in crisi a macchina da titoli mondiali. È stato infatti per oltre vent'anni uno degli ingegneri più stimati del team di Maranello, protagonista dell'era dei cinque titoli consecutivi con Michael Schumacher al volante.

Immagine

Nell'intervista, da osservatore esterno, l'ingegner Mazzola non fa sconti: ha la sensazione che Elkann sia "malinformato" riguardo a quale siano le vere problematiche della squadra, critica il messaggio pubblico ai piloti e spiega che a Maranello "manca una leadership consapevole di cosa vuol dire vincere". Racconta che nella Ferrari di Montezemolo e Schumacher "nelle riunioni volava di tutto, ma all'esterno non usciva nulla", e che allora "il leader era presente 24 ore su 24, conosceva la macchina e trascinava la squadra". Parla della difficoltà di Hamilton, della dedizione di Leclerc, delle lacune tecniche interne e dell'importanza di tornare a una direzione più "di pista".

Parlando di Kimi Antonelli e Max Verstappen ricorda quando Alain Prost "battezzò" il talento Michael Schumacher la prima volta che lo vide girare in pista, mentre sulla lotta per il titolo tra Norris e Piastri  ha l'impressione che McLaren abbia deciso le gerarchie. E sull'orizzonte 2026, tra nuovi regolamenti e due pit-stop obbligatori, avverte: "La Formula 1 deve restare un'espressione umana e tecnica, non diventare un monomarca".

Immagine

In Brasile abbiamo visto un altro weekend disastroso per la Ferrari, con il doppio ritiro e il presidente Elkann che ha richiamato pubblicamente i piloti. Che effetto ha un messaggio del genere all'interno di una squadra di Formula 1?

"Lo puoi vedere in due modi: come un monito, oppure come il segnale che il presidente non è soddisfatto e vuole farsi sentire. Ma c'è modo e modo. Se da una parte si predica ‘si vince uniti', dall'altra serve coerenza. Il ‘lead by example' è tutto: se non segui quello che dici, la tua autorevolezza cala. È quasi un autogol, dal punto di vista del messaggio.
Ho anche la sensazione che a Elkann non arrivino le informazioni giuste. Non è un tecnico e non deve esserlo, ma deve essere informato. In questo momento direi che i piloti sono l'ultimo dei problemi della Ferrari".

Perché è convinto che i piloti non siano il problema principale?

"Hamilton oggi non produce prestazioni all'altezza, ma bisogna capire il perché: non è che in un anno si sia smarrito. Evidentemente c'è qualcosa a livello di assetto, di interpretazione della macchina, di direzione tecnica su come metterla in pista. Leclerc, invece, dà l'anima. È un ragazzo d'oro, spinge sempre oltre il limite e quest'anno, pur rischiando tanto, non ha commesso errori madornali. Per questo dico che sparare sui piloti è il messaggio sbagliato. Se guardiamo i fatti, Hamilton e Leclerc non hanno responsabilità dirette nel momento che vive oggi la squadra".

Come giudica il weekend di Interlagos, con entrambi i piloti fuori gara?

"È partito tutto male: Hamilton si è qualificato male e Leclerc è stato buttato fuori senza colpe. Non si può parlare né di problemi di affidabilità né di errori di guida. Sono episodi. In classifica i punti sono ancora ravvicinati, può cambiare tutto anche per eventi esterni. Oggi la Ferrari non è più seconda, ma nulla è ancora chiuso".

Immagine

Da fuori sembra che Ferrari rincorra ogni volta l'assetto perfetto ripartendo sempre da zero ad ogni weekend, come se non avesse ancora capito la macchina. È un problema di metodo, di strumenti o di persone?

"Io penso che sia soprattutto un problema di persone chiave. Siamo al terzultimo Gran Premio, dopo oltre venti weekend con una macchina sostanzialmente identica. A questo punto della stagione dovresti sapere molto bene che cosa chiede la vettura e cosa richiede ogni circuito.
Vai in Brasile e sai che Interlagos ha certe caratteristiche. Conosci la tua macchina e devi solo trovare il compromesso. Se non riesci a farlo, ogni volta ti reinventi. E quando c'è il weekend Sprint, dove hai meno tempo per provare, vai in difficoltà. Questo racconta che c'è una competenza non pienamente centrata nei ruoli cruciali".

Nel weekend Sprint si è vista anche una Red Bull in affanno. L'ha sorpresa l'approccio della squadra di Verstappen?

"Sì. Hanno cercato l'invenzione, provando qualcosa di nuovo in un contesto dove il tempo è poco, e hanno messo in difficoltà il loro pilota di punta che si gioca il titolo mondiale. Io, con un campionato in ballo, non l'avrei fatto. Poi hanno rimesso tutto a posto e sono tornati sul podio: questo ti dice che conoscono molto bene la loro macchina, e quindi possono permettersi di osare e poi tornare indietro rapidamente.
Dall'altra parte vedo invece poca consapevolezza su come funziona la macchina e su come metterla in condizione di rendere. Penso in particolare a Hamilton, che è un pilota fortissimo ma oggi sembra ‘perso'. Se un campione di quel livello non riesce a esprimersi, è segno che c'è qualcosa che non va nella gestione tecnica".

Hamilton ha definito questa prima stagione in Ferrari "una stagione da incubo". Quanto è difficile per un campione abituato a vincere trovarsi in una situazione così?

"Arrivi da superstar, da pluricampione del mondo, con un'enorme aspettativa intorno e ti immagini di trovare una macchina almeno al livello della fine 2024, quando la Ferrari era quella che aveva fatto più punti di tutti nel finale di stagione. Ti ritrovi invece con una vettura difficile, complicata da mettere a punto, e con una metodologia diversa da quella a cui eri abituato.

Hamilton ha provato a portare la sua esperienza per cambiare certe abitudini, ma se poi sei più lento del tuo compagno diventa difficile essere preso come punto di riferimento. E secondo me non ha trovato quella competenza tecnica definita che c'era in Mercedes. Quando ti accorgi che mancano alcune figure di livello, è normale perdere un po' di entusiasmo e fiducia".

Immagine

Lei ha vissuto l'epoca in cui la Ferrari passò dalla crisi al dominio. Cosa manca oggi di quel modo di lavorare?

"Nel '96 Schumacher non trovò una situazione ideale. La macchina era difficile e poco affidabile, ma vinse tre gare perché era Michael Schumacher. Poi, con Todt e Montezemolo, capì quali erano i problemi interni e misero le persone giuste nei posti giusti. Così si creò il gruppo che poi dominò. La differenza è che allora la direzione era una sola, tutti remavano nella stessa direzione. In pubblico non usciva nulla, ma dentro le riunioni volava di tutto. Oggi non vedo questa unità. Il concetto di squadra sembra un po' svanito".

Cosa manca concretamente alla Ferrari di oggi per tornare a vincere?

"Manca una leadership consapevole di cosa significa vincere e di cosa significa Ferrari. È un mondo dove si lavora 24 ore su 24, dove il leader deve dare l'esempio ed essere presente, dove la competenza tecnica è fondamentale. Il capo deve capire la macchina, i piloti, i tecnici, e saper indirizzare lo sviluppo.

Oggi ho la sensazione che manchi proprio questa guida. Si va avanti con le stesse persone nei ruoli chiave e i risultati restano gli stessi. Serve una direzione tecnica fortissima, come c'era ai tempi di Ross Brawn: uno che sapeva tutto della macchina, che era in pista, che vedeva i problemi e decideva. Oggi non basta più essere un buon manager, serve una figura che conosca il sistema vettura, che sappia come lavora tutto insieme: aerodinamica, sospensioni, gomme, motore e pilota".

Eppure in passato si è detto che Binotto fosse "troppo tecnico" per fare il team principal della Ferrari… È stato un errore cambiare approccio?

"Non è una questione di essere troppo o poco tecnico. Il problema è capire cos'è una macchina di Formula 1. Il motore è solo un elemento, ma la macchina è un sistema complesso dove tutto si tiene insieme. Chi guida la performance deve conoscere il brake balance, il differenziale, la gestione della Power Unit, i livelli di carico e di rigidezza, l'utilizzo delle gomme e i piloti. È questa la competenza che serve. Solo chi ha esperienza diretta in pista e sa leggere il comportamento della vettura può davvero indirizzare lo sviluppo".

Vasseur si è affidato a Loic Serra e Jerome d'Ambrosio. Sono le figure giuste?

"Serra lavora sulla dinamica del veicolo, ma non lo vedo in pista. E la pista è tutto. In pista guardi negli occhi il pilota e capisci come sta la macchina, metti una mano sulle gomme e sai già cosa ti stanno dicendo. Il simulatore serve, ma simula numeri che non sono veri. Un ex pilota come d'Ambrosio può dare una lettura generale, ma non sostituisce chi comanda la performance tecnica.

In Formula 1 si fanno punti con la macchina: è un esercizio tecnico, non amministrativo. Serve una direzione tecnica fortissima, con persone che portino soluzioni e idee. Tutti parlano di Adrian Newey perché sono quarant'anni che sta in pista, conosce ogni dettaglio. Ecco, servirebbe qualcuno con quella continuità di esperienza".

Immagine

C'è chi sostiene che Vasseur andrebbe sostituito. Lei cosa farebbe?

"Non posso dirti se vada sostituito o meno, non conosco i dettagli interni. Ma se fossi vicino a lui, gli direi: ‘Sai davvero cos'è la Ferrari?'. È un ambiente che brucia più di tutti, pieno di energia e passione. Il compito di un leader è liberare questa energia e indirizzarla. Gli suggerirei di pensare a come migliorare la parte tecnica, non solo a gestire. Sostituire è facile, ma chi ci metti al suo posto? Se lo confermi, allora aiutalo a capire dove intervenire. Il vero problema è: chi, dentro Maranello, abbia oggi la competenza per fargli capire certe cose?".

La Red Bull è tornata forte nel finale. È merito della squadra o di Verstappen?

"In Formula 1 il pilota pesa circa il 30%, e dentro quel 30% Verstappen vale 100. È lui la differenza. Ma se torna ad essere competitivo è perché la macchina è migliorata per lui: hanno estremizzato scelte tecniche che gli permettono di guidare come sa fare. È sempre il connubio macchina-pilota a vincere".

E invece cosa ne pensa della strana inversione di tendenza dei piloti McLaren: Norris è diventato glaciale, mentre Piastri si è improvvisamente scoperto più "fragile"? 

"Un weekend stonato può capitare, ma qui mi sembra una cosa più continuativa. Potrebbero esserci state anche decisioni interne, chiamiamole ‘gerarchie', che hanno indirizzato il finale di stagione. È un'impressione, ma la dinamica di squadra pesa quanto la macchina. La McLaren oggi è un modello virtuoso: due piloti giovani, un progetto tecnico solido e un capo come Andrea Stella che conosce a fondo la pista e i piloti. E questo si vede nei risultati".

Immagine

Kimi Antonelli è arrivato secondo in Brasile tenendo dietro Verstappen. Che impressione le ha fatto?

"Il talento vero si vede subito, primo anno o decimo cambia poco. Antonelli è giovanissimo, quindi inevitabilmente meno maturo di altri, ma ha dimostrato freddezza, capacità di leggere la gara e gestire le gomme. È straordinario, un orgoglio italiano, come Jannik Sinner.  Avere accanto un pilota come Russell lo farà crescere più in fretta.

E il fatto che Verstappen lo stimi significa molto: anche lui arrivò giovanissimo in Formula 1 e probabilmente si rivede in lui. A tal riguardo mi viene in mente un episodio: nel '91, a Spa, Michael Schumacher debuttò con la Jordan e io ero l'ingegnere di pista di Alain Prost. Durante le FP1 Prost lo seguì in pista e poi a fine sessione mi disse: ‘Chi è quel pilota? Quello lì va forte, tienilo d'occhio'. Ecco, quando un campione riconosce un talento, di solito ci vede lungo.

Dal 2026 cambieranno completamente le regole. Monoposto più piccole, meno aerodinamica, più ibrido. È la direzione giusta?

"Io vengo da un'altra epoca, quindi potrei sembrare reazionario, ma non voglio esserlo. L'importante è che resti il duello in pista, l'espressione del campione. Se la tecnologia assopisce la parte umana, abbiamo sbagliato strada.

Il cambiamento è fortissimo: non c'è solo la performance, ma anche l'affidabilità, perché è stato cambiato tutto. Sarà un anno curioso e rischioso, perché le gerarchie potrebbero ribaltarsi. L'importante è che non ci sia un nuovo monopolio tecnico".

Si parla anche di introdurre due pit-stop obbligatori per rendere le gare più spettacolari. Che ne pensa?

"Non serve. I team troveranno subito la strategia ottimale e torneremmo al calcolo. Se proprio vuoi cambiare qualcosa, l'unica leva ‘spettacolare' sarebbe riportare il rifornimento in gara.

Il vero tema è un altro: bisogna avvicinare le prestazioni per permettere ai piloti di fare la differenza. E serve lasciare libertà di sviluppo: la Formula 1 non può diventare un monomarca. Ci sono due obiettivi fondamentali da perseguire: mantenere l'emozione, cioè far sì che siano i piloti a fare la differenza, e preservare l'espressione tecnica, che consente a chi è più bravo di sviluppare e cambiare le carte in tavola durante la stagione".

37 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views