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I punti oscuri della squalifica di Andrea Iannone e la vicenda doping

La sentenza del Tas che non ha accolto l’appello del pilota della MotoGP Andrea Iannone e ha inasprito la squalifica per doping portandola a 4 anni non chiarisce quanto accaduto nel GP della Malesia del 2019. Anzi. Semmai amplifica i lati oscuri di una vicenda costata la carriera del motociclista abruzzese.
A cura di Michele Mazzeo
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Dopo 11 mesi è arrivata la sentenza del Tas di Losanna sul ricorso presentato da Andrea Iannone per la squalifica per doping rimediata dopo esser risultato positivo al  Drostanolone lo scorso 17 dicembre in un test successivo al GP di Malesia. Purtroppo per il pilota abruzzese non sono arrivate buone notizie dalla Svizzera: il Tribunale Arbitrario per lo Sport infatti non solo non ha accolto il suo ricorso sulla squalifica di 17 mesi comminatagli dalla FIM ma addirittura portato a 4 anni il periodo durante il quale non potrà prendere parte a gare professionistiche accogliendo l'appello presentato dalla WADA, l'Agenzia Mondiale Anti-Doping.

La sentenza del TAS non esclude la la contaminazione alimentare

Una vicenda che, nonostante le due sentenze emesse a riguardo, lascia ancora tantissimi punti oscuri. Secondo il Tas infatti non vi è prova che Andrea Iannone abbia volontariamente assunto la sostanza dopante per trarne un beneficio in termini di prestazioni. La decisione dell'Arbitrato per lo Sport infatti deriva dal fatto che le prove presentate dal pilota e dalla sua difesa non siano bastate per dimostrare che sia stata un'assunzione accidentale. Dunque, neanche dopo questa sentenza, vi è nessuna certezza che il 31enne di Vasto si sia dopato volontariamente così come non viene esclusa che si trattasse di una contaminazione alimentare (come riconosciuto nella prima sentenza della FIM): "Il Tas non esclude che la violazione antidoping di Andrea Iannone possa essere legata al consumo di carne contaminata da Drostanolone – si legge infatti nella sentenza –, ma non avendo potuto fornire alcuna prova convincente sul tipo di carne consumata, né la sua origine, la violazione antidoping non può considerarsi non intenzionale e quindi viene accolto l’appello della Wada".

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Dalla WADA ai ristoratori della Malesia: gli altri punti oscuri della vicenda Iannone

Una squalifica di 4 anni che presumibilmente mette fine alla carriera di un pilota decisa dunque non sul fatto che Andrea Iannone si sia dopato ma bensì sul fatto che non sia riuscito a dimostrare il contrario. Ma questo non sembra essere l'unico aspetto controverso di questa vicenda: dall’arbitro della Wada Michael Beloff addormentatosi durante l'udienza, al presidente del Panel, Hamid Gharavi, scelto per dirimere la questione che sarà anche l’arbitro del Tas sul ricorso della Russia contro la Wada per la vicenda del doping di stato, fino alla reticenza dei ristoratori malesi sulla provenienza delle loro carni (Iannone e i suoi legali non hanno ricevuto alcuna risposta alle richieste fatte sull'origine della carne mangiata all'Hotel Sama Sama dove alloggiava nel week end del GP della Malesia del 2019).

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I dubbi dell'Aprilia e della Dorna dopo la sentenza

Tanti i punti oscuri di questa vicenda dunque che lasciano tanti dubbi su quanto accaduto a Losanna. Dubbi che non ha nascosto Massimo Rivola, amministratore delegato dell'Aprilia: “La sentenza non ha a che fare con lo sport, ha un’altra natura – ha detto infatti il numero uno della casa di Noale -. Non so se vuole essere un segnale, ma getta un alone di terrore sul nostro sport".  Dubbi che ha palesato anche il boss della Dorna, Carmelo Ezpeleta, che si schiera in difesa di Andrea Iannone: “Mi sembra moltissimo, non capisco questo castigo. E non sono d’accordo. Perché in sede di revisione siamo arrivati a 4 anni da uno e mezzo? Non capisco perché la Fim abbia accettato che un altro organo potesse peggiorare la prima sentenza. Sono dispiaciuto per Andrea, in assoluto non si merita questo".

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