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Carlo Pernat: “Ho rifiutato di fare da manager a Valentino Rossi. A Bagnaia direi: basta Marquez”

Intervista a Carlo Pernat, storico manager e figura iconica della MotoGP, oggi lontano dal paddock per motivi di salute.
A cura di Fabio Fagnani
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Carlo Pernat non è solo un nome leggendario della MotoGP. È memoria viva del paddock, voce inconfondibile, e testimone privilegiato di oltre quattro decenni di corse. In questa stagione ha dovuto svestire i panni di manager per colpa di qualche acciacco della sua salute che non gli permette di stare nel paddock, ma la passione è sempre al massimo. Tra ricordi, riflessioni e un’ironia mai spenta, Pernat ci apre le porte della sua memoria.

Come ci si sente a non essere più nei paddock dopo una vita passata lì dentro?

È dura, te lo dico sinceramente. Sono 46 anni che non avevo mai saltato una gara. Ho iniziato nel 1979 con il cross, la Gilera, e non ho più smesso. Quando smetti perché lo decidi tu è una cosa, ma quando ci sei costretto, come nel mio caso per problemi di salute (un enfisema polmonare), ci patisci di più. Ancora uno o due anni li avrei voluti fare. Oggi continuo a essere attivo come opinionista per Sky, GPOne, Radio24, qualche testata spagnola… ma il ruolo di manager l’ho abbandonato: non si può fare il manager da casa. Almeno, io non voglio farlo così. Ogni weekend di gara è un’opportunità, e se non sei lì fisicamente, non sei un vero manager. Adesso mi sento un po’ come un leone in gabbia.

Qual è stato il momento più significativo della tua carriera da manager?

Portare Loris Capirossi in Ducati nel 2003. Lui veniva da due anni discreti con Pons nella 500, ma io credevo tantissimo in lui. La concorrenza per quel posto era dura: c’erano Biaggi e Barros in lizza. All’ultimo momento, grazie a Claudio Domenicali e Livio Suppo, riuscii a portarlo in Ducati. Era il debutto della Rossa nella classe regina e Loris vinse subito a Barcellona. Si inginocchiò sul podio, in lacrime. Un momento da brividi. Loris, tra tutti i piloti che ho avuto, è quello che mi è rimasto più nel cuore. Abbiamo lavorato insieme per 14 anni, dal 1997. Lo portai in Aprilia dopo aver mandato via Biaggi, e vinse anche nel 1998, anche se quella vittoria in Argentina fu molto discussa. Poi l’Aprilia lo licenziò, io ero contrario, tant’è che vinse la causa e si fece pagare tutto il contratto. Andò da Gresini in Honda e fu protagonista di grandi duelli con Valentino Rossi.

Carlo Pernat con Capirossi in Ducati
Carlo Pernat con Capirossi in Ducati

Eravate molto legati anche fuori dalla pista?

Moltissimo. Ti dico solo questo: qualche anno fa mi hanno operato d’urgenza. La prima persona che ho visto al risveglio non è stata mia figlia, ma Loris. Si è fatto Monte Carlo–Genova in macchina per venirmi a trovare. Questo è il nostro rapporto.

Hai vissuto entrambe le facce del paddock: l’azienda e il pilota. Cosa cambia?

Sono due mondi totalmente diversi. Quando gestisci un’azienda, hai decine di persone sotto di te, devi essere camaleontico, affrontare problemi tecnici e umani, saper creare gruppo. Ho avuto la fortuna di lavorare con i proprietari in prima persona: Claudio e Gianfranco Castiglioni in Cagiva, Ivano Beggio in Aprilia. Poche riunioni, decisioni veloci. Le nostre aziende vincevano anche per questo. Dall’altra parte, il pilota è un lavoro più psicologico. Devi capirlo, proteggerlo, a volte perfino mentirgli. Non è semplice, ma è affascinante. Io ho sempre cercato di essere me stesso, anche nel paddock. Quando sei autentico, la gente ti rispetta.

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Hai dei rimpianti?

Mai. Vivo di ricordi, non di rimpianti. Però ci sono due episodi che mi sono rimasti dentro. Il primo è del 1988, quando ero in Cagiva. Venne in ufficio un giovane dirigente della Philip Morris. Ci propose un contratto da 60 miliardi di lire in tre anni: Chesterfield per il fuoristrada, Marlboro per la velocità. Claudio Castiglioni disse no. Aveva già dato la parola a Lucky Strike. Io ci rimasi malissimo. Era un’occasione pazzesca. L’altro episodio riguarda ancora Capirossi. Verso la fine del suo contratto in Ducati. Non arrivava il rinnovo e allora scelsi di spostarlo a sua insaputa in Superbike. Quando glielo dissi, ci rimase malissimo. Era fuori di sé. Andò da Domenicali e firmò da solo un nuovo contratto per restare in Ducati,  ma per fortuna mi perdonò. Questo per dirti il legame che avevamo.

E a parte Loris?

Ecco, forse ho un rimpianto, a proposito di occasioni e di grandi piloti. Rifiutai di diventare manager di Valentino. All'epoca ero un dirigente importante in Aprilia e ancora non si era aperta la mia seconda vita da manager. Quando Vale me lo chiese era la fine degli anni Novanta, lui era già un grandissimo talento, ma non era ancora il fenomeno mediatico che poi è diventato. Pensate che coppia potevamo essere io e lui insieme.

Carlo Pernat nel box Ducati.
Carlo Pernat nel box Ducati.

Hai gestito anche Rossi e Biaggi nello stesso anno…

Nel 1996. Valentino era all’esordio nel Mondiale, Biaggi al suo ultimo anno con me. Tutto cominciò in un ristorante a Suzuka. Vale cenava con me e alcuni giornalisti, Biaggi arrivò e… fu subito scintilla. Erano due galli nello stesso pollaio. Ma poi si sono rispettati, sono rimasti "amici".

Se oggi avessi 30 anni, da dove ripartiresti?

Senza dubbio dalle aziende. Mi piaceva creare gruppo, gestire persone, respirare l’atmosfera del team. Con tanti meccanici dell’Aprilia ci sentiamo ancora oggi. Però devo dirlo: mi sono divertito sempre. Ho fatto il giro del mondo 46 volte, ho avuto una vita piena: rifarei tutto.

Cosa diresti oggi a Pecco Bagnaia se fossi il suo manager?

Gli direi di stare sereno e togliersi Marquez dalla testa. Il problema è iniziato quando la Ducati ha firmato con Marc. In quel momento, gli è entrato dentro un tarlo. Marquez ha sempre devastato i suoi compagni di squadra, e Pecco sta pagando mentalmente questa cosa. È un campione, ha vinto due mondiali, non deve dimostrare nulla. Deve riscoprire il divertimento, la leggerezza, avere attorno persone che gli ricordino che correre è prima di tutto una passione. Non deve andarsene dalla Ducati: fino al 2026 ha il mezzo per vincere. Ma per scrollarsi di dosso Marquez deve batterlo in pista, vincendo un duello vero.

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