Wout Van Aert: “In alcune gare paghiamo noi per coprire i costi: in quale altro sport accade?”

Il ciclismo è uno dei pochissimi sport in cui le squadre professionistiche rischiano spesso di dover investire i propri soldi per coprire le spese di partecipazione ad una corsa. Un paradosso che da sempre accompagna la vita di Team e corridori ma che adesso sta portando l'intero sistema al collasso, a tal punto che si alza sempre più forte il grido su una parola ben precisa: sostenibilità. Che deve passare per un ribaltamento dell'intero sistema, attraversando le barriere di costi sempre più elevati e soprattutto guadagni solo a chi vince di più e alle organizzazioni degli eventi che manipolano l'intero giro d'affari sui diritti televisivi. Tutti problemi evidenziati da Wout Van Aert: "La torta dovrebbe essere divisa in modo più equo, a volte non riceviamo nemmeno i soldi per coprire i costi di partecipazione".
La crisi del ciclismo: da Carera a Pozzato a Van Aert, tutti chiedo il cambio delle regole
Il tema della sostenibilità è oramai il leitmotiv che risuona in questo periodo di off season dove il calendario si è concluso, ci si organizza per la nuova stagione 2026 e si tirano le somme di quella appena conclusa. Che per molti è stata fallimentare, con la fuga di sponsor, licenze non rinnovate e aziende che sono emigrate altrove, mentre altre – pur di restare nel ciclismo professionistico – si sono fuse evitando la scomparsa. Un panorama desolante e desolato che ha fatto gridare gli stessi addetti del settore all'intervento immediato prima che sia troppo tardi: chi, come Alex Carera, tra i principali dirigenti sportivi nonché manager di Pogacar, che reclama una revisione delle regole. O chi, come ex campioni come Pippo Pozzato, oggi tra gli organizzatori più apprezzati in Italia per gli eventi nel circuito UCI, è già andato oltre, facendo pagare un biglietto.

Van Aert: "Se solo un sponsor si stanca, si apre un abisso finanziario e si fallisce"
Ma ci vuole di più. A sostenerlo è uno dei più grandi campioni del ciclismo del terzo millennio, Wout Van Aert che è intervenuto pesantemente sulla questione: "Penso che il ciclismo sia molto fragile e che, se uno sponsor principale si ritira, si profila quasi immediatamente un abisso finanziario. Penso che questa fragilità sarebbe molto meno pronunciata se, oltre ai ricavi derivanti dalle sponsorizzazioni, ci fossero anche quelli derivanti dallo sport stesso". Entrando nello specifico nella sua intervista a "De Tijd". "Dai diritti televisivi, ad esempio, o dalle altre organizzazioni delle gare ed eventi in programma".
Van Aert: "Rendere il ciclismo sostenibile per i team è primario: senza di noi non si corre"
Van Aert ha preciso un modello in mente: "Considero l'NBA americana un interessante modello di guadagno. Quando vedo come l'NBA controlla e gestisca gli eventi che organizza, lasciando comunque che le squadre condividano i ricavi televisivi, allora penso: il ciclismo può imparare molto da questo. Nel ciclismo ci si concentra sul fascino, sull'atmosfera popolare. Far pagare 5 euro per l'ingresso non significa che non sia più popolare, anzi. Un esempio? Il ciclocross prevede da sempre un biglietto d'ingresso per i tifosi che vogliono assistere lungo il percorso e non c'è niente di più popolare. Rendere il ciclismo più vivibile per ciclisti e squadre è un obiettivo primario: senza di noi non ci sarebbero gare".

"Un team non copre nemmeno le spese di partecipazione: la torta va divisa in modo più equo"
L'analisi di Van Aert arriva al punto con un esempio concreto che la stessa Visma | Lease a Bike ha dovuto affrontare in diversi momenti della stagione, uscendone solo grazie alla potenza finanziaria dei propri sponsor: "Correggetemi se sbaglio… Una corsa importante come la Ronde o il Tour è normale che sul fronte economico dipenda interamente da noi, dai corridori e dalle squadre che vi partecipano? Eppure, come squadra, La torta dovrebbe essere divisa in modo più equo. I ricchi investitori mediorientali sono una soluzione, come lo sono in molti altri sport? Questa transizione è già in atto nel ciclismo", afferma Van Aert. "Più ce ne sono, meglio è" conclude il ciclista belga anche se il rischio reale è che, come altre discipline, anche il ciclismo finisca come un giocattolo in mano a pochi potenti.