Pippo Pozzato: “Il ciclismo così è morto. Guardate le ATP Finals per capire cosa deve diventare”

Filippo "Pippo" Pozzato a ruota libera per Fanpage, su uno dei temi che hanno aperto il dibattito sul ciclismo moderno: far pagare un biglietto ai propri tifosi. Un tema da sempre considerato un tabù per i "puristi" di uno sport considerato aldi sopra di qualsiasi ticket o forma di pagamento. "Il ciclismo non è di tutti perché è popolare o perché è gratis. E' chiaramente di tutti a prescindere, ma hai bisogno di sostenerlo se veramente ami questo sport".
Un concetto base che Pozzato ha messo in atto in tempi non sospetti, ben 4 anni fa alla Corsa che rappresenta un po' il fiore all'occhiello della sua organizzazione attraverso la PP Sport Events, la Veneto Classic: "Già rompevo il c*zzo nelle riunioni, quando correvo, poi mi diedero dello scemo quando decisi di far pagare un biglietto. Ma me ne sono sempre fregato: io devo tutto al ciclismo. E' una mia responsabilità fare di tutto per ripagare questo ambiente e questo sport".
Dopotutto Filippo Pozzato è stato uno degli sprinter più eleganti del ciclismo italiano nella prima decade del 2000. Esplose nel 2006 vincendo con i colori della Quick-step Innergetic la Milano-Sanremo in volata su Petacchi, dopo un’azione da finisseur puro. Poi, tra gli altri successi, arrivano l’E3 Prijs Vlaanderen, due tappe alla Tirreno-Adriatico e il Giro del Veneto. Nel 2010 trionfa anche al GP di Montreal totalizzando in carriera 20 vittorie, 3 tappe al Giro d’Italia, 1 al Tour de France, 2 titoli italiani. Oggi è imprenditore di successo avendo rilanciato il Giro del Veneto e creato la Veneto Classic, oltre a promuove giovani talenti e organizzare eventi gravel.
Iniziamo proprio da quelle che nel gergo comune sono state ribattezzate le "Corse di Pozzato", ovvero l'evento clou di fine stagione regolare che si corrono in Veneto. A distanza dalla prima edizione Lei ha creato un vero e proprio evento strutturato, soddisfatto?
Siamo partiti con un'idea mia e di tutto il mio team nel lontano 2019 qui in Veneto per provare a cambiare un po' il modo di vedere e di interpretare il ciclismo. Avendolo vissuto per 19 anni da professionista, avevo già intuito che il sistema aveva un po' dei limiti: molto romantico, diciamo, ma rimasto ancorato al passato. E così l'idea iniziale: "Se vogliamo appassionare la gente e farlo diventare un po' più moderno, dobbiamo cambiare un po' le cose".
Era il periodo del Covid, chi vi ha dato una mano nel progetto?
Siamo partiti insieme alla Regione Veneto con il Presidente Zaia, iniziando dal Campionato italiano per capire cosa e come farlo perché eravamo tutti alle prime armi nell'organizzazione e il risultato è stato positivo. Noi come gruppo avevamo già un sacco di idee di fare qualcosa di diverso, di correlato intorno alla semplice gara di ciclismo e l'anno dopo l'idea mia era quella di fare la Veneto Classic con l'intento di fare vedere la più bella Regione al mondo per andare in bicicletta: ma il problema è che non c'erano risorse.
Cioè?
Mi si diceva: "C'è già il Giro del Veneto che non si fa più da 6 anni per mancanza di fondi", c'era sfiducia finché ad un certo punto ho detto: "Mi prendo io l'impegno di farlo". E da lì siamo partiti, dal 2021 a fare il giro del Veneto e e poi Veneto Classic. Poi, insieme al mio team abbiano inserito la Serenissima facendo correre per la prima volta i professionisti in gravel e poi da lì abbiamo organizzato il Mondiale con l'UCI che ci ha chiesto di fare il mondiale.
Un crescendo di successi, con quale segreto?
L'idea è stata sempre quella di cambiare un po', diciamo, le regole del gioco, avvicinando la gente giovane al ciclismo, perché la sensazione era chiara e continuavo a ripetere: ‘Se perdiamo i giovani per strada fra 10 anni non avremo più un solo ricambio generazionale. Dobbiamo riuscire a trovare un qualcosa che possa attirare a noi i più giovani'. E da lì è nato tutto.
Dunque, un evento vero e proprio, ma la corsa in sé è stata messa in secondo piano?
No, la partenza è sempre stata quella di creare una corsa che fosse spettacolare, una Classica a tutti gli effetti, tanto che siamo ancora gli unici al mondo, o comunque siamo stati i primi, a inserire nello stesso tracciato pavè, sterrato e strada normale. Anche se è una gara giovane, ha solamente 5 anni, ha tutto il fascino di un qualcosa di bello e di epico.
Per molti un punto d'arrivo, per Lei un punto di ripartenza, corretto?
Sì, è stata la base, il presupposto perché l'idea forte è sempre stata di attrarre i giovani, i neofiti, chi del ciclismo ha sempre e solo sentito parlare. Quindi abbiamo studiato sul punto più iconico della corsa, la salita della Tisa, come rendere tutto più spettacolare: abbiamo chiuso il tratto, con non poche difficoltà col Comune perché era una strada pubblica e quest'anno, dopo 4 anni che lo facciamo, per la prima volta abbiamo avuto un risultato vicino a quello che io immagino. Non ancora come lo immagino io, ma vicino alla mia visione.
Facendo pagare un biglietto, una bestemmia per il mondo del ciclismo…
La gente, sì, ha pagato un biglietto perché non si trattava più di una semplice corsa, ma di un evento vero e proprio. Le persone pagano 10 e ricevono servizi per 40-50: il percepito di quello che hai vissuto rispetto a ciò che hai pagato, è la chiave per riuscire a farlo.
E quest'anno diceva dopo 4 anni è arrivata la svolta?
Quest'anno abbiamo investito ancora di più, abbiamo preso una moto della televisione per far sì che si potesse vedere la gara dal primo chilometro fino alla fine, non più nell'ultima ora e mezza con la diretta Rai, ma tutte e cinque le ore di corsa. Le persone arrivano, si mettono a mangiare, ad ascoltare musica, c'è intrattenimento e alla fine si vede anche tutta la corsa.
Ma mi scusi, è un po' ciò che accade al Giro delle Fiandre, coretto?
Nel Fiandre fanno una cosa diversa anche se abbiamo preso molta ispirazione, avendo già lavorato insieme con l'amministratore delegato. Loro fanno pagare solamente un hospitality, non fanno pagare il biglietto. Noi facciamo due cose: vendiamo sia l'hospitality all'arrivo con un'esperienza se vuoi vedere la corsa, sia il biglietto sulla Tisa dove quest'anno siamo riusciti a fare passare i corridori per ben sei volte. E il prossimo passi sarà creare uno stadio.
Sta parlando di vere e proprie tribune? Un altro azzardo visionario?
Sì. L'idea mia è di creare uno stadio a cielo aperto, permettere che le persone restino lì per delle ore, a godersi l'evento.
Un'altra visione che la porterà a subire ulteriori critiche e attacchi… Io me la rido quando leggo i commenti su quello che dico, perché la gente non sa di cosa sta parlando. Se vogliono glielo spiego per bene perché devono pagare un biglietto…
A proposito di questo, ecco il punto: Jerom Pineau (ex ciclista e manager) ha detto che si dovrebbe farlo anche al Tour… Ha scoperto l'acqua calda?
Il fatto di aver sentito Pineau dire le mie stesse cose mi ha fatto piacere sicuramente e non ti nego che io due anni fa quando c'è stata la tappa di Bassano al Giro 2024, avevo provato a proporre quest'idea in tempi non sospetti.

Ma non se ne fece nulla: cosa accadde?
Provai a parlare con RCS Sport, gli organizzatori del Giro, mi ero permesso di proporre una iniziativa sul fronte far pagare i tifosi. "Ma la gente non è pronta, è meglio di no", e così finì lì. Provai a insistere dicendo "Però se non partiamo non sarà mai pronta, ma dobbiamo riuscirci. Ci dev'essere un anno zero, abbiamo le palle per provare a farlo e fra 5 anni saremo qui a dirci che avevano ragione". L'idea era ovviamente di spiegarlo alla gente, che avrebbe reagito sicuramente in malo modo in un primo momento.
La stessa che oggi dice che Pozzato fa pagare il biglietto per arricchirsi?
Beh, prima di tutto io lo faccio di lavoro, quindi non è che lo faccio per passione o beneficienza e perdere del tempo. Quindi sì, mi devo anche, tra virgolette, arricchire, guadagnarci, ci deve essere un ritorno, è ovvio. Ma quello che voglio è che il ciclismo diventi sostenibile, si trasformi in evento. Pensa alle recenti ATP Finals a Torino, hai visto quanto costa un biglietto? È follia per qualcuno, eppure è tutto pieno perché la gente vuole vedere lo spettacolo, i campioni giocare. E tutto diventa sostenibile, così deve diventare il ciclismo.
Oggi lo siete, sostenibili?
No, adesso è un miraggio, è ancora una follia, però non ti nascondo che 4 anni fa quando l'avevo proposto tutti mi hanno preso per scemo. Quest'anno invece, si è visto un ritorno e si è iniziato a capire che è la strada corretta: se il primo anno avevamo 120 persone, il secondo anno ne avevamo 280, l'anno scorso ne avevamo 380 e quest'anno 700 e passa.

Ma quanto costa sul fronte organizzativo il tutto e da dove arrivano i soldi?
Noi fortunatamente abbiamo avuto un Presidente della Regione che ha creduto molto in tutto questo e ha sempre investito. Siamo partiti il primo anno con degli sponsor un po' piccolini per arrivare dove siamo adesso con degli sponsor che sono veramente importanti. Per capirci sono sponsor che hanno anche RCS, raggiunti mostrando un prodotto di qualità. Ho sempre reinvestito: prendevo i soldi e li ributtavo dentro tutti per dare il massimo dell'evento. Essendo la corsa di un giorno solo non hai altre risorse, come i diritti TV che può avere il Giro d'Italia. Ho dovuto mettere insieme il tutto con le altre corse, fare massa critica e attirare sponsor e televisioni per rendere tutto una cosa sostenibile, anche se attualmente ancora non lo è. Intanto mi prendo dello scemo, ma questa è la strada.
Altrimenti, il ciclismo svanisce?
La gente ancora non ha capito che se noi non facciamo tutto questo in modo sistematico fra 10 anni non ci saranno più le corse. Resterà solamente il Giro d'Italia. Noi siamo un modello, senza presunzione e arroganza, da seguire. E se ci danno nuove date…
La richiesta di spostare la gara a settembre?
Se riesco a far spostare la data, comincio ad avere Pogacar, van der Poel Van Aert… e a quel punto i 10 euro del biglietto nessuno li guarda più… Posso far pagare anche 25, 30 euro.
Le resistenze maggiori, per la questione bihlietto le ha trovate all'interno del mondo del ciclismo, delle istituzioni o da parte anche dei tifosi stessi?
All'interno del ciclismo, perché non capiscono che il ciclismo non è di tutti perché è popolare o perché è gratis. E' chiaramente di tutti ma hai bisogno di sostenerlo se veramente ami questo sport. Quindi ben venga che paghi il biglietto e lo paghi anche caro all'interno delle gare professionistiche. Anche perché aiuteremmo tutti quelli che sono in difficoltà.
Si riferisce alla filiera dell'intero sistema ciclistico italiano?
Sì, ci vuole poco a capirlo. E io sarei contento di dare una parte, un 5, un 10% di quello che guadagniamo e investirlo sui giovani: solo che io in questo momento non posso farlo, prima devo diventare sostenibile. Ma è una nostra precisa responsabilità, io ho cominciato a fare questo perché il ciclismo mi ha dato tanto. Io ho mangiato per 20 anni con il ciclismo, devo tutto quello che ho e chi sono. Allora devo fare qualcosa per questo mondo, invece sono stato visto sempre come quello scemo. Ma me ne frego: se già stavo sul cazzo a tanti prima, adesso che comincio a fare le corse in questo modo qualcuno inizia a capire che effettivamente non sono proprio scemo del tutto. Sto facendo un qualcosa che gli altri non fanno e sono l'unico che ha investito. Tutti gli altri sono bravi a dire solo: "Quanti soldi mi dai per fare questo o quello?". Io ho preso i miei soldi li ho messi lì e sto cercando di fare un qualcosa che abbia valore in prima persona.

Anche davanti alla crisi strutturale del ciclismo in generale: nel 2025 si è assistito a fuga di sponsor, licenze World Tour perse, ciclisti senza un contratto. Nessuno se ne accorge?
Io lo dico dal 2001, quando ancora correvo. Facevamo le riunioni e m'han preso per scemo e mi dicevano "Ma tu cosa ne sai? Qui non siamo mica nel calcio" e io di rimando "Ragazzi, ma se ragioniamo così non stiamo in piedi". Vogliamo parlare dei diritti TV?
Parliamone…
I diritti TV nel ciclismo sono una barzelletta: se li possono dividere solo gli organizzatori, e invece devono essere divisi con le squadre che poi vanno ad aumentare gli stipendi dei corridori… La torta va mangiata in tre: gli organizzatori, le squadre e i corridori. E invece in questo momento ci sono due entità, come ASO ed RCS, che sono gli unici che guadagnano dei soldi veri con il ciclismo. Non distribuiscono niente con le squadre.
Lei cosa fare al posto loro?
Darei dei soldi alle squadre, cercherei di fare unione con gli altri grandi Giri e le corse più importanti, andrei a vendere i diritti TV ancora più cari di quello che sono. Perché se noi siamo il ciclismo, lo mettiamo tutto quanto insieme è chiaro che ha un valore. Se invece tu vai a venderti la tua corsa perché tu prendi tanti soldi e così ti permettono di sostenere in piedi tutte le altre tue corse… vuoi vedere morti tutti gli altri tuoi concorrenti e questa cosa non va bene.
E' uno dei problemi per cui il ciclismo in Italia fatica a crescere e tornare a livelli da protagonista?
Noi abbiamo adesso in Italia troppe gare, secondo me, e di bassissimo livello. Non me ne vogliono quelli che leggeranno perché dopo mi tirerò altra merda addosso, ma non me ne frega niente perché è quello che penso e ho provato anche a spiegarlo. Noi non abbiamo bisogno in questo momento di fare più giornate di gara ma abbiamo bisogno di fare più qualità di gara.
Ma qual è il problema reale per cui nessuno fa qualcosa?
Tutti quanti vogliono fare tutti i democristiani, "dobbiamo aiutare tutti". No: dobbiamo aiutare chi è meritevole. Perché provare a salvare dei morti che stanno camminando, ma sono già morti? Non li devi salvare perché sono solo un costo per l'intero sistema.
Lei lo urla, lo sta mettendo in pratica con la sua organizzazione, eppure è una voce nel vento. Ma chi glielo fa fare?
Un po' una frustrazione c'è. A volte mi fermo e penso: "Ma cazzo, perché la gente non capisce quello che stiamo facendo?" E lo dico al plurale perché queste non sono le Corse di Pozzato, sono le corse di un gruppo di persone speciali che aiutano Pozzato a organizzare le corse. E' vero che senza di me loro non esisterebbero, ma io nemmeno senza di loro. E dirò di più: è il mio gruppo di lavoro che mi dà la forza, mi sostiene quando mi vede vicino a mollare tutto. La cosa veramente figa è che ho un gruppo di gente che se dovessi andare in guerra io voglio portarmi questi in guerra perché sono sicuro che torno a casa con loro.