Mondiali di ciclismo in Rwanda: l’Italia è troppo piccola nella grande sfida Pogacar-Evenepoel

Il Mondiale di ciclismo in Africa è una prima volta che sta stimolando discussioni e interventi che riguardano diversi temi e prospettive. Se restiamo però al ciclismo, dalle gare svolte fino a questo momento è chiaro come tutte siano state molto complicate per gli atleti perché difficili e sfidanti sono le condizioni in cui i ciclisti hanno corso. Si corre sempre nei dintorni della capitale, Kigali, posta a un’altitudine di 1400 metri sul livello del mare e questo conta. Inoltre la conformazione orografica del luogo è evidente in ogni ripresa televisiva dall’alto: quell’area è ricca di colline e rilievi montuosi e i percorsi per forza di cosa sono molto ondulati con dei tratti per veri scalatori.
Pogacar contro Evenepoel
Saranno proprio loro, gli scalatori che in questo anno hanno dettato legge, a sfidarsi per la vittoria finale nella prova élite maschile. Mancherà solo Vingegaard ed è un’assenza che pesa. Inutile girarci attorno quindi perché la grande sfida dovrebbe essere tra il re del ciclismo contemporaneo, Tadej Pogacar e il belga Remco Evenepoel.
Prima di domenica scorsa, giorno in cui si è svolta la prova a cronometro, la sfida in realtà non doveva nemmeno esserci, perché troppo forte in questi anni Pogacar in montagna mentre il belga ha sempre dimostrato di soffrire i percorsi duri come sembra essere quello di Kigali. La mostruosa prova a cronometro di Evenepoel però che gli ha dato il terzo titolo iridato consecutivo e la sverniciatura dello stesso Pogacar, sorpassato in tromba dopo essere partito due minuti prima, rimescola in parte le carte.
Il percorso del Mondiale e gli outsider
Il percorso è cucito su misura sulle caratteristiche dello sloveno, ma il belga in stato di forma celestiale può infastidirlo. Le montagne ci sono eccome nel circuito mondiale: Côte de Kigali Golf (pendenza media dell’8,1%), Côte de Kimihurura (pendenza media del 6,3%) oltretutto in pavè e scollinata a un chilometro dal traguardo, a cui bisogna aggiungere altre asperità, tra cui il Mur de Kigali, 400 m in pavé con pendenza media dell’11% e massima 15%.
Gli outsider sono tanti perché gli scalatori non hanno voluto perdersi questa occasione che magari ricapita poche altre volte in una carriera. Un altro corridore che ha dimostrato una grande gamba nella cronometro è stato l’australiano Jay Vine, secondo nella prova contro il tempo, così come sembra essere in buona forma Thomas Pidcock, la cui capacità di guida della bici servirà molto sui saliscendi ruandesi.

Sulla stessa linea di partenza dietro ai due mostri, bisogna metterci anche lo spagnolo Juan Ayuso, il quale ha anche attaccato la sua squadra, la UAE, la stessa di Pogacar, dichiarando che è una dittatura (probabili scintille in corsa) e Isaac Del Toro, anche lui uomo UAE che invece si è dedicato alle corse in linea di fine estate in Italia vincendo il Gran Premio Industria e Artigianato, il Giro di Toscana, la Coppa Sabatini e il Trofeo Matteotti. Infine occhio all’irlandese Ben Healy e al suo grande cuore e a due che sembrano tagliati fuori dal grande colpo ma che possono piazzare forse l’ultima meraviglia della loro carriera, l’ecuadoregno Richard Carapaz e, sarebbe fantastico dopo quello che ha dovuto subire per colpa di un incidente quasi mortale, il colombiano Egan Bernal.
Le possibilità dell'Italia che punta su Giulio Ciccone
E noi? Sono anni ormai che l’Italia arriva ai Mondiali senza i favori del pronostico e con squadre sempre più piccole in numero e dismesse per quel che riguarda le speranze. Questa volta, se possibile, siamo messi ancora peggio perché se è vero che qualche scalatore interessante in azzurro c’è, è anche vero che il livello di tutti i corridori citati è ancora molto lontano. Una leggera vibrazione positiva sarebbe potuta venire da Giulio Pellizzari, che ha vinto da pochi giorni una tappa dura alla Vuelta sull'Alto de El Morredero, ma ha preso una brutta febbre ed è stato sostituito da Gianmarco Garofoli. Non ci resta quindi guardare almeno con interesse a quello che potrà fare Lorenzo Fortunato, ciclista che aspettavamo ad un livello migliore, dopo che nel 2021 ha vinto sullo Zoncolan al Giro d’Italia.

Insieme a loro due poi schieriamo due battitori liberi, che hanno il dovere, in caso di gamba buona, di seguire i campionissimi e sperare. Il primo è Giulio Ciccone, arrivato quest’anno in buona forma sia al Giro che alla Vuelta e in entrambe le corse poi si è dovuto ritirare per problemi fisici, l’altro è Andrea Bagioli, che ha raggiunto i risultati migliori in una Liegi-Bastogne-Liegi e in un Giro di Lombardia, le corse forse più assimilabili a quello che gli atleti troveranno in Rwanda. Al netto di Matteo Sobrero, arrivato ai Mondiali soprattutto per la cronometro, tredicesimo posto per lui, gli altri tre in gara, Mattia Cattaneo, Marco Frigo e Fausto Masnada sono tutti scalatori di medio livello, che dovrebbero trovare la gara della vita per poter dire qualcosa in mezzo al roster che scende in strada.
Ci si aspetta poca Italia quindi mentre le ultime due chiamate romantiche sono da dedicare a Primoz Roglic, perché in una corsa in cui tutti marcano Pogacar, magari un suo compagno di squadra può scompaginare tutto e Julian Alaphilippe, che ha appena vinto il Grand Prix Cycliste de Québec in Canada, dimostrando di avere ancora qualcosa da dare magari proprio in terra africana.