Alfonsina Strada, la donna che sfidò il Giro: cambiò la storia del ciclismo e dello sport italiano

La mattina era grigia e il selciato bagnato rifletteva le ruote dei corridori. Tra i volti duri e i muscoli tesi del Giro d’Italia del 1924, una figura spiccava: capelli corti, gonne tagliate per non impigliarsi nei pedali, e uno sguardo che non conosceva paura. Alfonsina Strada non avrebbe mai dovuto essere lì—almeno secondo le convenzioni del tempo. Ma lei non aveva mai creduto alle convenzioni.
È stata la prima donna a competere in gare maschili come il Giro di Lombardia e il Giro d'Italia: Strada è ritenuta tra le pioniere della parificazione tra sport maschile e femminile.

Era nata il 16 marzo 1891 a Castelfranco Emilia, figlia di contadini poveri. La sua prima bicicletta era un vecchio rottame recuperato da un rigattiere, eppure le bastò per scoprire una libertà che nessun confine poteva fermare. I vicini la guardavano pedalare a dieci anni sulle strade sterrate e scuotevano la testa: “Non è un gioco da signorine.” Alfonsina rispondeva solo con il rumore della catena e il vento tra i capelli.
Negli anni Dieci, per poter gareggiare, si iscriveva a volte con nomi maschili. Nel 1911 stabilì il record femminile dell’ora a Moncalieri: 37,192 km, un primato imbattuto per oltre vent’anni. Nel 1917 partecipò al Giro di Lombardia, una delle classiche più dure del ciclismo, classificandosi tra i corridori uomini e stupendo il pubblico e la stampa. Tornò a correrlo anche nel 1918, confermando che non era stata una coincidenza.
Alfonsina Strada sfidò convenzioni e pregiudizi: cambiò la storia del ciclismo e dello sport italiano
Ma il 1924 segnò la sua impresa più audace. Quell’anno il Giro d’Italia perse molti dei suoi campioni a causa di contrasti con gli organizzatori. Per completare il gruppo di partenza, accettarono l’iscrizione di Alfonsina. La stampa la soprannominò “la Regina del Pedale” e la seguì con curiosità e scetticismo. Affrontò tappe estenuanti, piogge torrenziali e strade dissestate, arrivando anche a rompere il manubrio durante una discesa: riparò la bici con un manico di scopa e ripartì. Dopo una tappa massacrante verso L’Aquila, fuori tempo massimo, fu esclusa dalla classifica, ma continuò a pedalare fuori gara, tagliando comunque il traguardo di Milano tra gli applausi della folla.
Nei decenni successivi continuò a correre in gare minori, a esibirsi in spettacoli ciclistici e ad aprire un piccolo negozio di biciclette a Milano insieme al marito Luigi Strada. Non smise mai di vivere per il ciclismo, diventando una figura di riferimento per chiunque credesse nella libertà di sfidare le convenzioni.

La sua vita si concluse il 13 settembre 1959, quando un attacco di cuore la colpì improvvisamente nella sua casa milanese. Aveva 68 anni. Anche in morte, il suo mito continuò a crescere: il suo esempio è oggi ricordato come una svolta nella storia dello sport e dell’emancipazione femminile.
Alfonsina Strada non vinse mai un grande trofeo, ma vinse qualcosa di più prezioso: la possibilità, per le donne, di immaginare se stesse sulle strade del mondo, libere e determinate. Ogni volta che una ciclista prende il via a una gara, una parte di quel vento tra i capelli appartiene ancora ad Alfonsina.