Quagliarella ricorda il caso stalking: “Traumatizzante, a casa ho una pila di lettere alta un metro”

Fabio Quagliarella ritorna con la mente a quanto tutto è cominciato, alle giovanili del Torino e alla grande nostalgia di casa che ha provato da ragazzino: "Ogni sera chiamavo papà per dire che volevo tornare. Non ce la facevo, piangevo. E lui senza scomporsi mi assecondava: vabbé vai a dormire, pensaci. Se domani decidi considera che sono già lì a prenderti. Di domani in domani poi non sono più tornato. Ed è stato l’inizio della mia carriera. Grazie a lui". Proprio suo padre Vittorio, venuto a mancare un anno fa, è stato la colonna portante della sua vita, il suo pilastro anche nel terribile caso di stalking che lo ha coinvolto.
Al Corriere della Sera l'ex attaccante ripercorre quai momenti bui, un buco nero di otto anni come lo definisce che ha condizionato la sua carriera e gli ha tolto la serenità. Per un periodo lunghissimo lui e la sua famiglia hanno ricevuto minacce e ricatti da parte di un uomo che frequentava la loro casa e che è stato arrestato nel 2017: "Era un amico che frequentava casa, a ripensarci ogni volta sto male. Uno che di mestiere faceva il poliziotto postale, capisce?".

Quagliarella ricorda l'incubo durato otto anni
Lo stalker lo ha privato della tranquillità e ha condizionato gran parte della sua carriera. Quagliarella non ne ha mai parlato con nessuno fino al momento dell'arresto: "Traumatizzante, doloroso. Forte. Ci sono pacchi di lettere a casa dei miei genitori a ricordarmi cosa ho passato, l’incubo che vivevo". Solo la sua famiglia conosceva l'incubo che stava vivendo, una situazione che ha rotto anche il rapporto con il Napoli costringendolo al tanto discusso trasferimento alla Juve, oggi visto sotto una luce completamente diversa.

Riceveva lettere con minacce e quei documenti sono ancora lì, a casa dei suoi genitori: "Papà aveva messo le lettere una sull’altra, sono alte più di un metro. Le rileggeva ogni volta per capire chi potesse essere l’autore. Ce lo avevamo in casa, fu lui a intuirlo. Quella vicenda ci ha cambiato la vita. Ero al campo ma non c’ero, avevo paura che mentre ero via potesse accadere qualcosa alla mia famiglia. Li chiamavo spessissimo, ad ogni pausa dell’allenamento. Stavano bene, ma temevo non fosse vero. Difficile concentrarsi così. Ero a cena ma in realtà no. Nella mia vita un buco nero di otto anni. Sì prima o poi le brucerò quelle lettere".