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Piccini: “All’Atalanta ho sfiorato la depressione. Fan*ulo i soldi, lasciai lì 6 mesi di stipendio”

L’ex calciatore ha raccontato uno dei periodi più cupi della sua carriera, successivi al grave infortunio al ginocchio: “La scelta di andare lì fu sbagliata perché avevo bisogno di sentirmi accudito e protetto. La tranquillità vale molto di più dei soldi per me”.
A cura di Maurizio De Santis
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A un certo punto della sua carriera Cristiano Piccini ha messo sul piatto della bilancia due cose: la qualità della sua vita, non solo da calciatore, e il denaro. E ha deciso che la prima valesse molto più dell'ingaggio tanto da rinunciare a ben sei mensilità, giocando gratis pur di tornare nel posto in cui si sentiva veramente a casa. "Quando ero all'Atalanta dissi: Fan..lo i soldi! sono rientrato al Valencia dal prestito e sono rimasto sei mesi senza stipendio". Fu proprio lui a insistere vincendo la reticenza del club spagnolo che non avrebbe potuto garantire certe somme. È sufficiente questo per comprendere le ragioni di una scelta presa col cuore e non con la testa, ascoltando se stesso, ignorando qualsiasi sollecitazione esterna, convincendosi che l'unica cosa saggia fosse riappropriarsi della dimensione a lui più congeniale. A 33 anni, dopo aver appeso le scarpe al chiodo, oggi fa il global football advisor e collabora con l'Estrella Football Group. Gli è tutto più chiaro e non ha alcun rimpianto per la direzione presa.

Il grave infortunio al ginocchio ("si può dire che mi scoppiò una rotula", ha ammesso nell'intervista ad As) ha cambiato tutto: "Lì è finito tutto perché penso che, se non mi fossi fatto male, avrei potuto dare ancora molto al Valencia e, magari, giocare ad alti livelli. Mi sono infortunato a 26 anni e sono tornato a 29". In quel lasso di tempo s'incastra la sua esperienza in Serie A, all'Atalanta. Dice sì al prestito nell'anno del Covid, si lascia affascinare dalla possibilità di giocare la Champions ma quando pensa a quei momenti di getto si lascia sfuggire di essere stato "uno stupido perché mi sono lasciato convincere quando in realtà non ero pronto a cambiare squadra perché non stavo ancora bene".

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A Bergamo lo accolsero nonostante non riuscisse a saltare con la gamba destra. "Ero convinto che non avrei superato le visite mediche nemmeno per scherzo. Invece, mi ingaggiarono e mi dettero un mese di tempo per guarire completamente. Mi dissero anche che mi avrebbero messo in condizioni tali da tornare in Nazionale". Tutto molto bello ma la realtà delle cose fu un pizzicotto doloroso. "La verità è affrettarono i tempi del mio rientro in campo. Invece, non ero pronto e andò tutto storto".

Per mesi la routine di Piccini è stata scandita da sveglia presto al mattino, palestra, centro sportivo, trattamenti terapici, allenamenti, sedute dal fisioterapista: "Vivevo solo per riprendermi e posso dire che la scelta di andare lì fu sbagliata perché avevo bisogno di sentirmi accudito e protetto. Lì provavo una sensazione di abbandono e ho passato un brutto periodo. Essere infelice e vivere depresso per altri sei mesi, senza speranza, senza niente per me non aveva alcun senso. La tranquillità vale molto di più dei soldi per me".

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La depressione aveva già fatto capolino capolino. Piccini sentiva di non riuscire a migliorare e alla vista del ginocchio gonfio a causa dell'aumento dei carichi di lavoro stette malissimo. Gli restava solo una cosa da fare per non lasciarsi travolgere: chiamare il Valencia e chiedere di essere ripreso dal prestito. "Mi dissero: Cris, il problema è che non possiamo pagarti lo stipendio. Ma a me non importava perché se fossi rimasto all'Atalanta le cose sarebbero peggiorate a livello emotivo. Ecco perché ho preferito andare in un posto dove ero certo si sarebbero presi cura di me nella maniera più giusta". 

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