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Nanu Galderisi: “Ero in camera ai Mondiali e squillò il telefono: era Berlusconi, voleva me”

Giuseppe Galderisi si racconta a Fanpage.it: dallo scudetto storico con l’Hellas Verona agli inizi alla Vietri-Raito, passando per l’approdo alla Juventus, il Milan, il Padova e la Major League Soccer. Il viaggio nel pallone di Nanu tra campo e panchina.
A cura di Vito Lamorte
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"Sono nel calcio da quando avevo 13 anni e sono felice della mia carriera da giocatore e da allenatore ho rispettato sempre i miei valori". Così Giuseppe Galderisi parla dei suoi cinquant'anni nel mondo del calcio, tra campo e panchina. È ancora sotto contratto con la Gelbison ma si sta guardando intorno perché questo è un mondo che va veloce e non bisogna mai fermarsi. I più giovani magari non lo conoscono, Nanu, ma prima di sedere in panchina era bravissimo a mettere il pallone alle spalle dei portieri avversari. Lo ha fatto circa 120 volte in carriera tra Serie A, Serie B e Major League Soccer.

Galderisi è stato uno dei protagonisti di una delle più belle favole calcistiche che il nostro calcio ci ha regalato: lo scudetto dell'Hellas Verona nel 1985. A distanza di quarant'anni c'è stata una bellissima festa al Bentegodi e lo stesso Nanu ne ha parlato così: "Tra Verona, lo stadio e il Quirinale abbiamo ricordato un momento che probabilmente è irripetibile per il calcio italiano". Per questa ricorrenza il figlio, Andrea, ha scritto una canzone (‘Verona il tuo nome è leggenda') e il motivo è uno solo: "L'ho fatto per provare a rappresentare i valori di quell'impresa. Solo il Leicester può essere paragonato a quella storia".

Giuseppe Galderisi è stato uno dei primi calciatori italiani ad andare negli USA negli anni '90 e a Fanpage.it ha raccontato anche quell'esperienza: Nanu ha ripercorso il suo lungo viaggio nel calcio dagli inizi alla Vietri-Raito all'approdo alla Juventus passando per il Milan, il Padova e la Nazionale Italiana. 

Cosa fa oggi Galderisi?
"Sono ancora sotto contratto con la Gelbison e mi sto guardando intorno. Sono sempre molto attento e studio gli allenatori che mi piacciono. La cosa peggiore è stare fermi ma vedremo cosa accadrà. Bisogna stare attenti e vedere dove si può lavorare".

Lei allena da tantissimi anni: qual è la cosa che più la soddisfa di questo nuovo ruolo nel calcio dopo aver vestito gli scarpini?
"Il mio percorso è molto lungo ed è stato pieno di soddisfazioni, mi è mancato un pizzico per fare il salto e arrivare in alto. Ho allenato a Foggia, Avellino, Salerno, Pescara… mi sono sempre divertito ma la cosa più bella che porto dentro è che spero di aver tramandato ai miei calciatori i valori che ho acquisito nel mio percorso e che ho fatto miei dai campioni con cui ho giocato. Sono nel calcio da quando avevo 13 anni e sono felice della mia carriera da giocatore e da allenatore ho rispettato sempre i miei valori, quindi va bene così. Le soddisfazioni arrivano dalle persone che ti hanno conosciuto perché questo è un mondo che macina tutto e tutti ma quello che hai dato te lo ritrovi".

A livello di valori quanto è diverso il suo calcio da quello di oggi?
"È difficile fare questo paragone perché il mondo è cambiato a 360°. Io da calciatore vivevo molto la piazza in cui giocavo e la tifoseria, eravamo forse più umani sotto certi aspetti mentre oggi ci sono delle situazioni che vanno gestite in maniera diversa. Spesso ci si chiede quale delle due sia la cosa corretta ma io credo che, semplicemente, c’è stata un’evoluzione generale e bisogna adattarsi nel mondo migliore".

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Quali sono i primi ricordi di Galderisi con un pallone tra i piedi?
"Ricordo benissimo le mie prime partite del Vietri-Raito, poi qualcosa mi sfugge e me la dicono i miei amici (ride, ndr)… ma le ricordo tutte così come quelle con la Juve, il Verona, il Milan e il Padova. Se c’è una cosa che io mi porto dietro dal calcio son le persone e tutte le emozioni".

A proposito di persone e di valori, che tipo di gente c’era nello spogliatoio di quel Verona che quest’anno ha festeggiato i 40 anni dallo storico Scudetto?
"Dopo 40 anni ci siamo ritrovati e abbiamo festeggiato. Io ero il più piccolo quindi immagina quanto amore potesse esserci intorno a me. Penso che Bagnoli e Mascetti abbiano fatto qualcosa di importantissimo e hanno costruito un gruppo sano, vero, che non aveva bisogno troppo di indirizzi. Tra Verona, lo stadio e il Quirinale abbiamo ricordato un momento che probabilmente è irripetibile per il calcio italiano. La società di quest’anno ha capito la storia del club e ha voluto omaggiarci in questo modo: in tanti anni forse era la prima volta che accadeva una cosa del genere. Verona è una piazza che merita tantissimo, fare la Serie A come accaduto negli anni scorsi è il minimo".

Prima dell’Hellas c’è stata la Juventus: cosa voleva dire per un ragazzo entrare in quella squadra di campioni?
"Io sono partito a 13 anni da Salerno per andare a Villar Perosa, dove vivevamo in 40 ragazzi che erano arrivati da tutta Italia. Alle 6.30 sveglia, alle 7 la colazione e alle 7:30 il bus per andare a scuola: alle 13:30 c’era il pullman per andare a Torino all’allenamento. La Juve per me è stata un po’ come una madre, un insegnamento giorno per giorno. Io giocavo con le figurine e poi me li sono ritrovati vicini in campo quei mostri che vedevo sull’album. Quella squadra era fatta di uomini veri".

Con chi era in camera Galderisi?
"Con Paolo Rossi per volontà di Trapattoni. Tu immagina quante lezioni di vita e sport ho potuto apprendere solo stando in stanza con una persona come lui. Lui e tutti gli altri erano dei calciatori incredibili ma fuori dal campo erano persone straordinarie".

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Con Paolo Rossi le strade si sono intrecciate spesso, visto che quando la acquistò il Milan lui andò al Verona. Lei ha vissuto i primi passi dell’era Berlusconi…
"Ricordo che ero ai Mondiali in Messico nel 1986 ed ero in camera con Tricella quando mi chiamò Berlusconi e mi disse ‘Se vieni al Milan vinciamo tutto’. Io fui uno dei cinque acquisti: Galli, Bonetti, Donadoni, Massaro e Galderisi. Il Verona decise di vendermi e io andai al Milan. Ho rivisto Berlusconi dopo vent’anni in una partita a Milano e mi sembrava di averlo visto il giorno prima. A Barcellona, per il trofeo Gamper, io, lui e Donadoni facemmo una passeggiata di sera e ci disse che il Milan sarebbe diventato la squadra più forte del mondo".

A proposito di Mondiali 1986: cosa non funzionò in Messico?
"Non eravamo la stessa squadra del 1982 ma eravamo una squadra forte. Io credo che non è scattata quella scintilla che ci avrebbe permesso di fare un torneo di alto profilo. Noi siamo usciti agli ottavi con la Francia che poi è arrivata in semifinale. Nel girone forse potevamo fare qualcosa in più ma eravamo forti, un mix di campioni del mondo e di giovani. Non è scattata la scintilla giusta in alcune situazioni che avrebbe cambiato tutto. Auguro a chiunque sogna di fare il calciatore di poter arrivare a fare una partita della Coppa del Mondo perché è bellissimo”.

Ha parlato di Agnelli e Berlusconi. Galderisi ha vissuto due personalità che hanno segnato un pezzo di storia d’Italia…
"Io ero la mascotte di Agnelli, quando arrivava giù con l’elicottero mi portava sempre con lui. La famiglia Agnelli e quella di Boniperti mi hanno dato tanto. Erano molto diversi tra loro ma Agnelli e Berlusconi erano due vincenti".

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Un’altra parentesi importantissima per Galderisi è stata a Padova, o sbaglio?
“Quella è stata una sfida per me. Io ero al Milan e mi allenavo con Sacchi ma avevo bisogno di una sfida nuova. Mi chiamò il Padova e dissi di sì. In tanti mi sconsigliarono ma a volte ci sono delle cose che senti di dover fare: a Padova siamo tornati in Serie A dopo tanti anni di sofferenze e i tifosi mi hanno votato miglior giocatore del secolo. Io vivo a Padova e mi trovo benissimo qui. Noi giocavamo all’Appiani ed era un vero fortino, poi era bellissimo perché il pubblico era vicinissimo al campo e vedevo le facce che incontravo al bar durante la settimana”.

Negli anni ’90 è stato uno dei precursori ad andare a giocare negli USA: che esperienza fu?
"Negli anni ’90 arrivammo io, Donadoni e Zenga… io andai negli USA grazie a Lalas che mi disse ‘Guarda che parte la MLS e hanno bisogno di calciatori importanti, vieni’. Io feci le valigie e andai: fu bellissimo, sia dal punto di vista umano che sportivo. Non era un livello eccelso ma non era neanche bassissimo".

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Il mondo è cambiato, il calcio è cambiato: ma qual è la differenza principale tra la Serie A di oggi da quella dei suoi anni?
"Noi eravamo più dentro il tessuto delle città dove vivevamo, oggi è praticamente impossibile e i tifosi spesso non fanno neanche in tempo ad abituarsi ad un calciatore che pochi mesi è già andato via".

Anche gli ingaggi dei suoi anni non erano come quelli di oggi: si ricorda cosa ha fatto con il primo stipendio da calciatore?
"Alla Juventus presi il mio primo stipendio grazie a Furino che andò da Boniperti e disse ‘Anche il ragazzo deve prendere qualcosa’. Così iniziai a prender qualcosa, io prendevo un rimborso spese ai primi contratti alla Juventus: il primo l’ho fatto a 18 anni. Lo devo ai miei compagni di squadra, che mi diedero la possibilità di prender qualcosa che poi mandavo alla mia famiglia".

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