Maurizio Ganz: “Non ho mai scelto per soldi. Rimpiango quel minuto, ma Sacchi non mi fece entrare”

Lo chiamavano "El Segna semper lu", e non era un caso. Perché Maurizio Ganz il gol lo sentiva, lo annusava, lo inseguiva come un destino. Milanese di nascita, giramondo per vocazione, ha vestito maglie pesanti — Sampdoria, Atalanta, Inter, Milan, Brescia — lasciando ovunque la stessa impronta: quella del centravanti affamato e mai banale.
I suoi gol non erano solo numeri, ma istinti, attimi, colpi che accendevano lo stadio. Bomber romantico di un calcio che non c'è più, Ganz ha scritto un libro "El segna semper lü – La vita è come un derby" edito da Baldini+Castoldi e a Fanpage.it ripercorre con orgoglio la sua carriera e guarda al futuro con la stessa passione di sempre: storie, ricordi, aneddoti e la consapevolezza di aver vissuto una carriera che profuma di gol e di emozioni.
Cosa fa oggi Maurizio Ganz?
"Ho iniziato questa nuova esperienza da allenatore del Magenta, in Eccellenza, e sono tornato nel calcio maschile in Italia dopo nove anni: quattro li ho fatti in Svizzera e cinque nel femminile. È una sfida nuova, sono entusiasta: la società è seria, il campionato è tosto, ma ci sono tante squadre di qualità".

Appunto, il calcio femminile: cosa le ha lasciato quell'esperienza al Milan?
"Mi ha fatto riscoprire la passione pura. Mi sembrava di essere tornato ai vent'anni, quando tutto si faceva per amore del gioco. Ho trovato ragazze con grande voglia di emergere e ho vissuto uno spogliatoio che mi ha arricchito anche come uomo".
Maurizio, dai campetti di Tolmezzo fino alla Serie A con la Sampdoria: cosa ricorda suoi primi passi nel calcio e di quel debutto a soli 17 anni?
"Ho sempre vissuto di passione e dedizione, non di categorie. Ho cominciato a Tarvisio, poi è arrivata la Sampdoria. Esordire a 17 anni fu speciale: davanti a me avevo gente come Mancini e Vialli! Ho dovuto fare la mia gavetta, e solo a 22 anni sono arrivato in Serie A con l'Atalanta".
Ha vissuto da protagonista la scalata verso l'élite del calcio italiano: c'è un momento in cui ha capito che saresti davvero diventato un attaccante di Serie A?
"In realtà no, ma non ho mai pensato alle categorie. Mi piaceva giocare, lo facevo appena possibile e poi ho capito che poteva diventare il mio lavoro. Da piccolo giocavo sempre con ragazzi più grandi di me di 4-5 anni. La passione e la fatica sono sempre state le mie qualità principali. Ho capito presto che potevo arrivare in alto".

A Brescia vinse il titolo di capocannoniere in Serie B: quanto l'ha aiutata quella stagione a credere nei suoi mezzi?
"A Brescia ho vissuto anni bellissimi: mi comprarono per tre miliardi di lire, una cifra enorme allora. Il primo anno 10 gol, il secondo 19 e titolo di capocannoniere. Da lì è iniziata la mia scalata".
Poi è nato "El segna semper lü". All'Inter ha lasciato un segno profondo, anche in Europa, diventando capocannoniere in Coppa UEFA. Che ricordo ha di quegli anni nerazzurri e del rapporto con San Siro?
"Straordinario. Ho sempre dato tutto, anche quando non segnavo. E la gente lo percepiva. Ho fatto 38 gol in 85 partite, praticamente uno ogni due gare. Sono stato capocannoniere in UEFA e ho perso una finale incredibile, con una traversa al 116′ che Lehmman ancora sta guardando se entra o meno. Avremmo meritato di vincerla ma non andò così. Per me San Siro era un sogno, poi l'ho vissuto con entrambe le maglie…".
Ecco, appunto: con l'Inter ha segnato al Milan e con il Milan all'Inter. Come si vive un derby da protagonista?
"Con grande intensità ma serenità. Sono sempre stato uomo derby e ho avuto la fortuna di giocare in tante città dove il derby conta davvero".

Con il Milan poi è arrivato lo Scudetto…
"Sì, uno dei più belli perché inatteso. Parola di Galliani. Eravamo la quarta-quinta forza del torneo, ma vincemmo grazie al gruppo e alla fame. Ricordo con brividi il gol al Parma: fu la svolta del campionato. Arrivammo a superare la Lazio da sette punti sotto, vincendo a Perugia. Incredibile".
I suoi trasferimenti non sono stati mai banali: dall'Inter al Milan e dal Brescia all'Atalanta. Quale tifoseria le ha fatto pesare di più le sue scelte?
"Il passaggio dall'Inter al Milan è stato difficile per i tifosi interisti. Quello dal Brescia all'Atalanta è stato dovuto a scelte tecniche del club, non era nella mia volontà. Lì stavo bene. Lucescu aveva deciso che voleva Raducioiu e Hagi, Lippi mi chiamò e decisi di andare all'Atalanta. Non ha mai basato la mia carriera sui soldi o sulla categoria delle squadre, ma sulla passione e il sentore di dove potessi dare il massimo, accettando anche di giocare in Serie B o in squadre meno blasonate anche a fronte di offerte migliori".
Ha sfiorato l'esordio in Nazionale con Sacchi, ma non hai mai esordito. Le è rimasto un po' di rammarico per quel sogno azzurro mancato?
"Sì. Mi sarebbe bastato un minuto. Ricordo Italia-Malta 5-0 a Palermo: Sacchi fece due cambi e non mi fece entrare. Butto dentro Marchegiani ed Evani, ma non il sottoscritto. Mi sarebbe bastato un attimo per dire: ‘C'ero anch'io'".

Ganz è stato anche bomber di provincia: esistono ancora?
"Sono orgogliosamente un bomber di provincia. Ho fatto sette anni in B, con quattro promozioni. Sono orgoglioso dei miei 208 gol segnati, di cui solo 10 su calcio di rigore. Ogni gol ha un valore, in A come in B. Non ho mai fatto distinzioni di categoria. Esistono ancora? Pochi, ma esistono. Chi fa gol in B può farli anche in A. Bisogna dargli fiducia, farli giocare. Ai miei tempi Hubner, Tovalieri, Bonato… segnavano ovunque".
Gli ingaggi dei suoi anni non erano come quelli di oggi ma si ricorda cosa ha fatto con il primo stipendio da calciatore?
"Ho aiutato la mia famiglia. Ho comprato casa a loro. Non ho mai basato la mia carriera sui soldi: ho sempre scelto con il cuore, non col portafoglio".
Guardando indietro, c'è un momento della carriera che considera una sliding door?
"Forse un episodio a Genova quando ero alla Sampdoria, contro il Napoli di Maradona: ebbi la palla del 2-2 e Garella mandò la palla sulla traversa con una delle sue parate di piede. Se fosse entrata, forse sarei arrivato in Serie A prima".

Ha nominato Maradona, ma Ganz ha giocato anche con altri campioni incredibili: un aneddoto di Ronaldo in allenamento?
"Il bello è che in partita faceva ancora meglio che in allenamento! Ricordo un gol al Piacenza in Coppa Italia: parte da metà campo, salta tutti e segna dribblando anche il portiere. O contro il Parma, quando si beve Cannavaro e Thuram. Incredibile. Un fuoriclasse assoluto".
Ultima curiosità: quanto c'è del Ganz calciatore nel Ganz allenatore?
"La grinta e la voglia di non mollare. Ma è un altro mestiere. Ho fatto tanta gavetta, partendo dai giovanissimi, e questo mi ha formato".