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Marco Ballotta: “Da calciatore amici falsi e pericolosi. Se non sprechi soldi puoi vivere di rendita”

Marco Ballotta oggi ha 60 anni ed è rimasto nel mondo del calcio. Nell’intervista a Fanpage.it ripercorre tutti gli aspetti della sua carriera al fianco di calciatori e allenatori (come Asprilla, Inzaghi, Mihajlovic, Mancini e Ancelotti) e della quotidianità che cambia quando tutto finisce.
A cura di Maurizio De Santis
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Marco Ballotta oggi ha 60 anni ma sembra ieri che era ancora tra i pali. Fino al 2022 vi è rimasto per davvero, almeno sulla carta: era tesserato come terzo portiere del Castelvetro (in Eccellenza) con il quale "non ho giocato ma ho continuato ad allenarmi". È il suo elisir di lunga vita, ne parla nell’intervista a Fanpage.it in cui ripercorre tutti gli aspetti della sua carriera e della quotidianità che cambia quando tutto finisce. Il filo conduttore, quello che hai dentro, è sempre lo stesso: la voglia di mettersi in discussione, di migliorarsi sempre e mollare mai perché dice "devi sempre lottare e reagire, meritare col lavoro la fiducia e lo spazio che puoi ritagliarti all’interno di un gruppo, che sia uno spogliatoio oppure un altro ambiente". 

Ballotta è tuttora il più ‘anziano' ad aver giocato in Serie A (44 anni e 38 giorni in Genoa-Lazio del 2008) e disputato un incontro di Champions (43 anni, 8 mesi e 8 giorni in Real Madrid-Lazio del 2007). Ha vinto uno scudetto con i biancocelesti romani, 3 Coppe Italia, 1 Supercoppa italiana, 2 Coppe delle Coppe e altrettante Supercoppe europee tra Parma e capitolini, conquistato 2 promozioni in Serie A con Modena e Reggiana e 2 in B sempre coi canarini. Ecco perché quando ti volti pensi di ritrovarlo lì dove è sempre stato, in porta.

E, se serve rimettere i guanti, Ballotta è già lì a fiutare che aria tira. A insegnare, spiegare, suggerire, raccomandare consigli perché nel calcio come nella vita non sempre bastano un buon colpo di reni e una smanacciata per trarti d’impaccio. Il Terre di Castelli 1907 (società emiliana nata nel 2023 dalla fusione dei Comuni del Modenese quali Castelvetro, Marano sul Panaro e Vignola) è il nuovo percorso professionale: è presidente onorario del club e ne gestisce il settore giovanile. È il suo modo di restare in quel mondo che è stato (ed è) passione prima ancora che lavoro e fonte di reddito.

Marco Ballotta, come vive un ex calciatore?

"Se hai avuto la fortuna di guadagnare abbastanza e non hai sprecato i soldi magari puoi anche permetterti di campare di rendita. Poi dipende sempre a che livello hai giocato ed è importante, soprattutto dopo, gestire bene il tuo patrimonio, fare gli investimenti giusti. Altrimenti devi inventarti un altro lavoro, magari devi cominciare qualche attività anche quando giochi ancora".

Che bello sarebbe campare di rendita.

"Ma in generale non penso si possa stare senza fare niente e questo qualcosa sarebbe meglio farlo nel proprio ambiente che conosci a menadito. Dipende anche dalle proprie qualità: c’è chi fa il commentatore televisivo, il dirigente sportivo oppure pensa di fare l’allenatore. Ma il fatto che tu sia stato un buon giocatore non significa che possa riuscire bene in tutte queste cose".

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Cosa si prova quando tutto finisce dopo il ritiro?

"Mantenere un tuo equilibrio è fondamentale. Devi essere consapevole che quando sei calciatore di amici ne trovi a iosa, quelli falsi e di convenienza soprattutto che si dimenticano tutto appena smetti. È indubbio che le porte aperte sono meno com’è giusto che sia. E se pensi che sarà sempre così dopo può essere pericoloso. Bisogna dare il giusto peso a tutto e a tutti".

Lei s’è ritrovato, suo malgrado, coinvolto come vittima in un’indagine che portò ad arresti di affiliati alla malavita. Tutto è iniziato per un problema finanziario, cosa è successo?

"Sempre le solite cose… è successo tutto per una cavolata tramite un mio amico, che magari ritenevo tale e chissà forse ha agito anche lui a sua insaputa. Chissà… È stata una leggerezza, un’informazione sbagliata che se fosse stata verificata sarebbe andato tutto diversamente. Purtroppo ho capito solo dopo che avevo mal riposto la mia fiducia. All’inizio sembrano tutti buoni, tutti giusti e tutti amici poi dopo, strada facendo, conosci veramente bene le persone".

Troppo tardi e rischi di finire in cose più grandi di te.

"Esattamente. Però parliamo di niente, nel senso che non sei sempre consapevole di chi hai di fronte. E quel che viene dopo può avere una risonanza esagerata. Ma rientra sempre in quel discorso di fare attenzione a come ti gestisci".

Qual è il segreto della sua longevità?

"Qualità, doti di natura e passione per quello che fai mi hanno sempre aiutato. Stare bene fisicamente è importante ma lo è anche trovare l’ambiente giusto dove sei considerato e nel quale devi saperci stare. Devi sempre dimostrare di essere all’altezza e conservare quella voglia di allenarti che non è solo voglia di giocare. Devi sempre lottare e saper reagire nella giusta maniera. È lì lo snodo perché puoi sempre essere condizionato da un errore o da una situazione difficile".

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Com'era la convivenza nello spogliatoio con Asprilla?

"Con lui non ti annoiavi mai, era divertentissimo sia in campo sia fuori. Non è cambiato di una virgola nemmeno a distanza di anni. Si ricorda tutto, ha una memoria impressionante".

Fuori dal campo ne ha combinate.

"Nel primo periodo che era qui in Italia non aveva ben capito alcune cose… come per esempio che qui da noi non poteva parcheggiare la macchina a un incrocio, sotto un semaforo e andare via. Quando gli fecero la multa restò meravigliato e ci chiese: ma perché me l'hanno fatta? cosa ho fatto di strano? Gli dissi che le cose dalle nostre parti funzionano in modo diverso".

Di aneddoti ne avrà a decine.

"Mi viene in mente quella volta che non si presentò all'allenamento del Parma. Lo aspettavamo e tutti ci chiedevamo perché e cosa gli fosse successo. Poi venimmo a sapere che aveva fatto un piccolo incidente in vespa e andammo a recuperarlo".

Che ricordo ha di Mihajlovic di cui è stato compagno alla Lazio?

"Con Sinisa abbiamo giocato per 3 anni a Roma. Aveva un carattere particolare, sembrava cupo e con lo sguardo arrabbiato. Era uno che si faceva sentire quand'era il momento ma era una persona eccezionale. Tutto d'un pezzo perché quello che diceva manteneva".

La martellava in allenamento con le punizioni?

"Lì un po' mi innervosivo – dice sorridendo – perché difficilmente sbagliava".

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L'anno scorso l'Inter è arrivata in finale di Champions e quest'anno ha vinto lo scudetto: se lo aspettava Simone Inzaghi allenatore?

"Sinceramente, no. Da giocatore non mi sembrava avesse il carattere per diventarlo. Però aveva già un pregio quando parlava di calcio: conosceva tutti i giocatori e le loro caratteristiche, anche quelli delle serie inferiori. Poi è cresciuto, migliorato e qualcosa è cambiato. Ha fatto le sue esperienze nel settore giovanile della Lazio e quando gli è capitata l'occasione ha saputo sfruttarla. Adesso è il tecnico bravo che tutti conosciamo, dimostrando sul campo e coi risultati il suo valore".

Molti dicono che all'Inter avrebbe potuto vincere già prima. I detrattori addirittura fanno riferimento agli aiutini di cui la squadra avrebbe beneficiato.

"Ma no… queste sono sciocchezze. Lasciamo stare queste cose agli invidiosi e ai criticoni. La verità è che ogni anno ci sono 3, forse 4 squadre che competono per lo scudetto e alla fine lo vince una sola. L'anno scorso, per esempio, c'è stato il Napoli che ha fatto un grandissimo campionato e nessuno se lo aspettava. Oggi, invece, le cose sono andate diversamente perché penso che l'Inter abbia saputo operare bene sul mercato. Per assurdo, si è rinforzata pur avendo fatto cessioni importanti".

Esiste una ricetta specifica per vincere?

"Ci vuole tutto un contesto per riuscirci. Non è solo un calciatore in sé che ti può trascinare, serve anche dell'altro. La differenza la fanno anche il lavoro dei dirigenti, l'organizzazione, tutta un struttura che ruota interno e fa sì che, grazie a una buona programmazione di 3 o 4 anni, arrivi davanti a tutti. Ma se non ci riesci non è che hai sbagliato qualcosa… ci vuole anche un pizzico di fortuna che gira dalla tua parte".

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La bolla dell'Arabia Saudita ha attratto molti calciatori e allenatori europei. Tra questi, Roberto Mancini, suo ex compagno alla Lazio. Cosa ne pensa della scelta?

"Davanti al dio denaro a volte barcolli. È indubbio che è stata una scelta esclusivamente economica. Fai un po' di sacrifici per 2, anche 3 anni, però ti metti un bel po' di soldi da parte e pure a posto per tutta la vita. Poi magari puoi anche tornare. Intanto vediamo coi Mondiali che hanno in mente lì cosa fa con l'Arabia".

Che sensazione le ha lasciato il Mancini giocatore?

"Già allora si vedeva che, se avesse voluto, aveva la stoffa per diventare allenatore. In campo dava tutte le dritte. E anche se aveva un carattere fumantino, che lo portava anche a qualche scontro verbale, il suo pregio era che finiva tutto in campo e si andava avanti. Per me era un predestinato".

Era un predestinato anche Carlo Ancelotti? A giudicare dagli inizi a Reggio Emilia e dall'esperienza alla Juve non lo sembrava.

"Fare l'allenatore non è facile, lui ha dimostrato di essere un signor tecnico. Ha dimostrato col tempo di avere grandissime qualità umane oltre che tecniche, di essere un grande gestore di calciatori. Capita, però, che se finisci secondo magari si pensa che hai sbagliato un'annata, ma non è così".

A Reggio Emilia rischiò l'esonero.

"Sì, è vero. Alla Reggiana rischiò. Ma noi giocatori facemmo di tutto perché restasse e il club decise di proseguire con lui. Diciamo che la colpa fu anzitutto nostra per la difficoltà ad adattarci alla sua mentalità, alla sua idea di calcio che aveva acquisito nel Milan di Sacchi. Ci mettemmo un po' di tempo per ingranare poi fummo promossi in Serie A, e da lì inizio la sua grande carriera col passaggio al Parma che lo pose all'attenzione generale".

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Eppure alla Juventus qualcosa non ha funzionato.

"La verità è che non sempre puoi vincere ma quello che ha fatto è davvero qualcosa di straordinario. È stato fortunato? Sì, anche. Ma quando vinci 4 Champions League e tutti i campionati in cui guidi le squadre la fortuna c'entra fino a un certo punto".

Come si troverebbe oggi con la costruzione dal basso?

"Sono nato solo 30 anni dopo… altrimenti adesso mi sarei divertito molto. Le mie caratteristiche sarebbero state adatte al tipo di calcio attuale. Diciamo che all'epoca, alla mia epoca, sono stato un po' un pioniere".

Ma questa ricerca del gioco che parte dal portiere non è un po' esasperata?

"Certo che lo è. Qualcosa cambierà prima o poi. Andrebbe gestita in modo differente questa situazione. Io avrei litigato con certi allenatori che sono ossessionati da questa partenza dal basso. Ma non sempre la puoi effettuare. Il portiere deve essere libero, in grado di valutare quando è il momento di fare un certo tipo di giocata. Non c'è niente di male a spazzare la palla se la situazione lo richiede. Purtroppo nel calcio le mode vanno così: arriva uno che vince perché ha una squadra forte e fa scuola".

Com'è possibile che il Parma, una così bella realtà del calcio italiano, sia fallito?

"È mancato anche un controllo maggiore delle differenti situazioni. Penso al Modena, al Cesena e ad altre società che sono saltate. Poi dipende dai presidenti".

A proposito di presidenti, com'è Lotito? È davvero così difficile rapportarsi a lui?

"Non fa mai il passo più lungo della gamba. Ha salvato la Lazio, l'ha portata anche a un buon livello in Italia e in Europa. La sua è una gestione oculata. Sembra in guerra contro tutti perché va dritto per la sua strada ma i risultati sono quelli che danno ragione. E per lui è stato così".

Quanta pressione mette un derby come quello romano?

"Tanta. Inizi a sentirla addosso anche un mese prima. È una partita che può segnare una stagione. E se la vinci un po' ti sembra di campare di rendita almeno per un mese".

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