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Manuela Nicolosi: “Mi dicevano: colpa tua che vuoi fare l’arbitra. Ma poi ho realizzato il sogno”

A Fanpage.it Manuela Nicolosi ha offerto una panoramica approfondita sullo stato attuale dell’arbitraggio nel calcio italiano, sulle recenti innovazioni tecnologiche e ha raccontato la sua personale battaglia per l’empowerment femminile in un ambiente storicamente maschile.
A cura di Vito Lamorte
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Le prime giornate del campionato di Serie A 2025-2026 hanno visto una novità per la classe arbitrale, ovvero l'"annuncio VAR" o "VAR announcement". In Como-Lazio, alla prima giornata, l’arbitro Manganiello ha spiegato al pubblico dello stadio Sinigaglia il motivo per cui la rete di Castellanos era stata annullata ma il modo in cui ha esposto la scelta ha provocato parecchie polemiche: per questo motivo l’AIA ha pensato ad un insegnante di dizione per gli annunci VAR dei direttori di gara.

Su questa tematica ha espresso il suo punto di vista a Fanpage.it Manuela Nicolosi, arbitra italiana riconosciuta a livello mondiale: internazionale dal 2010, ha diretto gare di altissimo profilo come finali della Coppa del Mondo Femminile, le Olimpiadi e la Supercoppa Europea maschile del 2019 (prima terna tutta ‘rosa' a dirigere un match di tale portata). Nel corso della sua carriera ha affrontato pregiudizi ed è andata avanti per la sua strada distinguendosi per competenza tecnica e leadership: è ambasciatrice per Inspiring Girls e Like Ton Job, interviene nelle scuole e nelle aziende per promuove le potenzialità della visualizzazione, della gestione delle emozioni e della comunicazione efficace per il raggiungimento degli obiettivi.

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Manuela, che inizio di stagione è stata per gli arbitri di Serie A?
"Siamo solo alla terza giornata, quindi parlare già di gravi errori arbitrali sarebbe esagerato. Secondo me la novità più importante è la comunicazione, insieme alla Ref-Cam, e la partenza è positiva. Ogni arbitro ha la sua personalità: alcuni spiegano di più, altri meno, e imparare a parlare al pubblico mentre corri e prendi decisioni sotto pressione è difficile. L’ho vissuto personalmente alla Coppa del Mondo femminile in Australia, quindi so quanto sia impegnativo, ma ritengo che sia un passo avanti".

Come giudica l’introduzione della Ref-Cam?
"Bene. Per il momento l’abbiamo visto solo in Juve-Inter ma, ovviamente, non è per noi arbitri ma è qualcosa per il pubblico perché ti permette di capire anche la prospettiva. L’esempio pratico può essere l’episodio del gol del 4-3: lì è stato sicuramente importante averla perché ha fatto vedere che l'arbitro aveva una visuale libera e ha visto il presunto fallo e l'ha giudicato. Quindi ti fa vedere come l'ha vista l'arbitro e per me è una cosa molto positiva perché molti avrebbero potuto dire ‘non l'ha vista’ o altre cose, invece ti faccio vedere con la real-time che visuale ho e che sono in una posizione perfetta per giudicare".

Secondo lei può essere veramente il public speaking, come è stata paventata nelle settimane scorse, una soluzione oppure bisogna dare solo dare un po’ di tempo a questi ragazzi per abituarsi ad cosa nuova?
"Secondo me entrambe le esperienze sono stressanti, perché le ho vissute sia come arbitro sia come public speaker. Parlare davanti a tante persone o essere giudicati in campo genera tensione simile. La cosa più importante non è tanto comunicare, ma gestire le proprie emozioni: se non le controlli, non prendi decisioni corrette, non comunichi con i giocatori e perdi la partita o l’attenzione del pubblico. Una formazione in questo senso può essere utile, proprio come avvenne con l’introduzione del VAR".

Lei è attivissima sui social anche nella spiegazione degli episodi con regolamento alla mano: prima o poi sarà un passaggio che l’AIA prenderà in considerazione?
"In Inghilterra lo fanno già da due anni e in Francia dall’anno scorso: gli episodi arbitrali vengono spiegati sul sito federale e sui social. In Italia, invece, l’AIA è molto più conservativa: comunica solo quello che vuole, spesso in modo istituzionale, e limita la presenza sui social. Io stesso ho dovuto smettere di arbitrare per poter fare quello che faccio online, perché alcuni colleghi sono stati rimossi per aver condiviso contenuti. Personalmente preferisco il modello inglese, più trasparente e vicino ai tifosi".

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Lo scorso anno lei era una talent di DAZN: com’è andata?
"Volevo dimostrare che un’arbitra può fare ciò che tanti uomini fanno in TV. In tutte le trasmissioni calcistiche parlano solo uomini, spesso ex arbitri senza esperienza con il VAR, mentre io ho diretto come VAR per diversi anni. Ho voluto portare la mia esperienza in tv, dimostrando che anche una donna può farlo. Mi mancava però il contatto con il campo, quindi sono tornata ad arbitrare nella Kings League, dove sono stata la prima donna, confermando che anche noi donne abbiamo il nostro posto nel calcio".

A proposito di Kings League: ci racconta che esperienza è stata?
"È totalmente un'altra cosa nonostante le regole alla base siano gli stessi come i falli, le ammonizioni e le espulsioni; ma cambiano delle regole social tipo il dado, tipo i penalty del presidente e la carta segreta. Per me è stata ovviamente una sfida perché comunque lo devi imparare questo regolamento ma l’atmosfera è molto diversa rispetto al calcio a 11. Mentre nel calcio tradizionale la donna che arbitra è ancora vista con una certa diffidenza, tra virgolette, lì mi hanno accolto in maniera molto diversa".

Manuela Nicolosi nel libro ‘Decido io', pubblicato nel 2024 per ROI Edizioni, ha raccontato la sua storia: in che modo ha incontrato il calcio e il mondo arbitrale?
"Come sempre la fede calcistica si trasmette dai genitori, da zii, cugini, insomma dalla famiglia. Quindi è così che ho cominciato ad andare allo stadio. Io non solo andavo allo stadio insieme a tutta la mia famiglia, ma si parlava sempre di calcio. A me è sempre piaciuto lo sport in generale, però quando mi sono avvicinata al calcio ho scoperto che mi piaceva proprio seguirlo. Lo volevo giocare ma non mi è stato permesso e già a sei anni mi è stato detto ‘guarda che la società e così, sei una donna e alcune cose non puoi farle’. Io unisco un po' due cose: da una parte sono molto rispettosa, della mia famiglia, delle regole, infatti faccio l'arbitro che rispetta le regole; dall'altra parte però sono ribelle perché mi piacciono le sfide. Quando hanno aperto la possibilità alle donne di fare l'arbitro, per me è stata una sfida. Ho delle competenze e le mostro per infrangere qualche tabù".

Ci racconta i suoi trascorsi sui campi lontano dalle telecamere?
"Io tre volte ho dovuto chiamare i carabinieri perché mi minacciavano di morte e non mi facevano uscire dallo spogliatoio. Non mi hanno mai messo le mani addosso, ma ad alcuni colleghi sì. Spesso quando parlo di questi episodi ci sono alcuni maschi alfa che dicono ‘beh la colpa è tua che hai deciso di far l'arbitro’. Il livello è sempre questo qui".

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Ha diretto grandi competizioni internazionali, qual è stata l’esperienza più bella tra la Supercoppa Europea, Ligue 1, Coppa del Mondo femminile, Olimpiadi e Europei femminili?
"Due. Per me il sogno realizzato è stata la finale della Coppa del Mondo. Mi allenavo ogni giorno, rinunciando a ferie e tempo libero, per arrivare a quell’obiettivo. Sono la prima e unica italiana a dirigere una finale mondiale, un traguardo che ha coronato anni di sacrifici. Fino ad allora, le donne arbitravano solo le donne a livello internazionale, quindi non era scontato poter arrivare a certe partite. Quando poi ho diretto la Supercoppa Europea tra Liverpool e Chelsea, abbiamo dimostrato che una terna tutta al femminile poteva gestire una partita maschile senza errori, aprendo la strada ad altre donne e sfondando il soffitto di cristallo".

Ultima battuta: arbitro o arbitra?
"No, no, arbitra. Non sa quanti uomini mi scrivono per correggermi ma arbitra è il femminile di un sostantivo che ovviamente si ha l'abitudine di dire arbitro perché il 98% degli arbitri sono uomini. Io sono donna e la declinazione femminile è arbitra".

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