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Il finto catenaccio dell’Italia: col 30% di possesso palla solo un tiro meno della Spagna

Catenaccio. Vittoria all’italiana. Sono alcuni dei titoli che hanno accompagnato il successo dell’Italia ai rigori contro la Spagna. Il ct, Roberto Mancini, ha respinto questa lettura della partita spiegando come la Nazionale abbia saputo soffrire e difendersi, creando anche occasioni da gol. I numeri gli danno in buona parte ragione, a cominciare dalle conclusioni nello specchio della porta.
A cura di Maurizio De Santis
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L'Italia ha fatto 4 tiri nello specchio della porta, la Spagna 5. Appena uno in più in 120 minuti di gioco. Basta questo dato a corredo del possesso palla (30% vs 70%), del numero dei passaggi (387 vs 908) e della precisione negli scambi (74.2% vs 89%) per sgonfiare la meraviglia dei fuochi d'artificio prodotti in campo dalle Furie Rosse. A tratti dominanti. Belle a vedersi. Impressionanti e incantevoli.

Ma non abbastanza efficaci da tradurre in gol questa incredibile mole di gioco e furore agonistico. L'unico lo ha segnato Alvaro Morata, il 9 vero che Luis Enrique ha gettato nella mischia dopo la sberla a giro presa da Chiesa accantonando il piano tattico iniziale. Dani Olmo è stato imprendibile anche per due ‘vecchi' filibustieri dell'area di rigore come Bonucci e Chiellini. Pedri ha disegnato calcio (solo 2 passaggi sbagliati) e per un po' ha oscurato anche il dirimpettaio, Jorginho, spesso preso d'infilata tra le linee ma glaciale dagli undici metri.

Tutto molto bello ma, eccezion fatta per i brividi corsi lungo la schiena per la palla che Oyarzabal s'è trovato sui piedi e un tiraccio di Ferran Torres (oltre allo stesso Dani Olmo), la Nazionale azzurra ha retto all'urto, saputo soffrire, soprattutto è riuscita a difendersi serrando i ranghi, a ripartire creando anche occasioni da rete (la traversa di Emerson Palmieri è la chance più nitida). Non è stato solo catenaccio e le parole di Roberto Mancini, che respinge l'etichetta di catenaccio e vittoria all'italiana, spiegano bene il concetto a mente fredda, adesso che l'apparato pirotecnico degli iberici s'è spento e il responso del campo ha designato la prima finalista degli Europei.

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Le squadre di calcio attaccano e difendono, abbiamo avuto occasioni per fare gol come loro – ha ammesso il commissario tecnico a caldo, dopo il successo ai calci di rigore -. È stata una partita fra due grandi squadre.

I numeri gli danno in buona parte ragione. Non dicono tutto, è vero, ma servono a tracciare almeno la cornice del match e della prestazione offerte dalle due formazioni: l'Italia è arrivata per 5 volte alla conclusione da dentro l'area, 7 la Spagna che invece ha tentato più volte (9 vs 2) la soluzione dalla distanza; quasi pari (48 a 46) i duelli vinti.

La pecca maggiore degli Azzurri? Non avere un attaccante all'altezza della situazione, il classico bomber che la butta dentro alla prima occasione, tiene in costante apprensione gli avversari e sa essere letale. Tutto ciò che Immobile, sia pure generoso come Belotti, non è stato in grado di fare. Eppure nel 2020 ha vinto la Scarpa d'Oro per le 36 reti realizzate con la Lazio. Ma la Serie A è un conto, il palcoscenico internazionale è un altro. Magari a Wembley darà una lucidata a tanta grandezza opacizzata.

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