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Scudetto Serie A 2025

I due scudetti completamente diversi di Spalletti e Conte col Napoli che disorientano la Serie A

Due scudetti in tre anni come solo le grandi dinastie hanno fatto in Italia, aprono al Napoli prospettive davvero storiche.
A cura di Jvan Sica
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Partiamo con i fatti, i quali ci dicono già qualcosa di molto nuovo. Il Napoli ha vinto due scudetti in tre anni, come hanno fatto nella storia del calcio italiano solo il Genoa e la Pro Vercelli dell’inizio di tutto, il Bologna che tremare il mondo fa, il Grande Torino e ovviamente le tre grandi del Nord, Inter, Juve e Milan. Bisogna ragionare secondo questo ordine di grandezza per capire quello che questa società e questa squadra sono riuscite a fare. Chi riflette su una cosa del genere, prontamente potrebbe ributtare la palla nell’altro campo dicendo che la serie A non è più il Vietnam di una volta, anche se due finali di Champions League, due di Europa League e altre due di Conference League giocate da squadre italiane in questi tre anni dimostrano il contrario.

Partendo da questo assunto, come sono stati vinti questi due scudetti?

Di regola chi vince in serie vince per continuità, abitudine e quasi per costume societario, ma soprattutto grazie a una rosa che ha un vantaggio competitivo netto rispetto alle altre, le quali devono rimodellarsi se non rifondare per colmare quel gap. Questo Napoli invece vince due scudetti in maniera del tutto opposta, con due filosofie e due gestioni generali completamente differenti.

Quello di Spalletti è esteticamente lo Scudetto della bellezza, del calcio che ha travolto ogni ostacolo con il sorriso, guidato da Osimhen, forza della natura sprizzante fin troppa energia e Kvaratskhelia, genio pescato nel Caucaso e coraggioso oltre ogni pensiero. Due anni fa il tricolore è stato immaginato fin dalla metà del percorso perché la superiorità era evidente e sguaiata e i “soli” 16 punti di distanza dalla seconda sono frutto di un rallentamento post-sbornia.

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Il Napoli di Conte invece non imbelletta nemmeno un attimo del suo calcio, non vuole far ridere nessuno, men che meno i propri tifosi. Il Napoli di Conte è sacrificio quotidiano e meticolosa attenzione ai momenti di svolta della stagione, comprensione massima di un torneo lungo e gigantesca capacità di far stare tutti sul pezzo nonostante il miglior giocatore della rosa (con Lautaro miglior giocatore del campionato) a gennaio saluta tutti e se ne va a Parigi.

Il Napoli di Spalletti aggrediva gli avversari pensando a come dimostrare la bellezza e la consapevolezza del proprio gioco, quello di Conte aggredisce chi lo affronta rannicchiandosi, rintanandosi, per poi esplodere con incursioni da guerriglia sudamericana guidate dai corpi-monumento di Lukaku e McTominay.

Rainer Maria Rilke in un verso delle sue “Elegie duinesi” scriveva: “Perché la bellezza non è che l’inizio del terrore”. Questo verso è perfetto per il Napoli dello scorso anno, che ha cancellato ogni meraviglia spallettiana dimostrando mediocrità in ogni partita giocata, ma è anche un verso che apre a questa stagione, perché il terrore che il Napoli di Conte incuteva agli avversari non è quello del bel gioco arioso e tambureggiante, ma quello del manipolo pronto a tutto per difendere e attaccare insieme, uniti dalla speranza più che dall’idea.

Da un punto di vista strategico inoltre, ancora una volta mai scudetti sono stati così lontani. Il tricolore 2022-2023 viene dalla volontà di smantellare la squadra di Sarri (via Mertens, Insigne, Fabian Ruiz, Koulibaly), per ripartire attraverso la media borghesia del calcio giovane presente in Europa: Olivera dal Getafe, Kim dal Fenerbahce, Kvaratskhelia dalla Dinamo Batumi, Raspadori dal Sassuolo e Simeone dal Verona erano tutti calciatori in fase di affermazione. Portare tutti al livello successivo è stato il grande merito di Spalletti, il quale ha innestato queste nuove forze su un telaio già ben predisposto.

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Questo Scudetto invece viene da scelte probabilmente estreme ma alla fin dei conti efficaci. Questa vittoria è prima di tutto figlia dei pareggi e delle sconfitte a questo punto benedette e molto probabilmente volontarie nelle ultime sette partite del campionato 2023-2024. Grazie a quei pochi punti racimolati, il Napoli evita di giocare Europa League e Conference League l’anno successivo, in questo modo compra pochi calciatori pagandoli tanto, migliorando quindi davvero la rosa e dà a Conte i corpi che ha sempre desiderato. Una squadra con Buongiorno, Lukaku, McTominay, Olivera, Anguissa, Billing e Spinazzola strizza l’occhio alla massa corporea che mettono in campo le squadre di Premier League, campionato e calcio che Conte ha sempre ammirato e guardato come riferimento.

Se da una parte quindi con Spalletti il Napoli voleva tutto, in alcuni momenti ha potuto tutto, esaltandosi attraverso la creatività funzionale di Kvara e la fisicità strabordante di Osimhen, il Napoli di Conte ha voluto poco (fuori appena possibile anche dalla Coppa Italia), giocando di misura grazie alla potenza d’artiglieria dei corpi a disposizione.

Due scudetti diversi, diversissimi quindi, che aprono anche un’ennesima riflessione. Quando si vince tanto e in sequenza gli altri cercano di imitarti, come è ovvio che sia, per superarti. Ma di queste due annate napoletane quale scia seguire? Resterà il dubbio nella testa di presidenti, amministratori delegati, direttori tecnici e allenatori di mezza Italia, che magari nelle prossime stagioni sapranno rispondere.

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