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Gianpiero Marini, campione del mondo 1982: “Oggi gestisco un’azienda agricola e mi occupo di borsa”

Gianpiero Marini continua a parlare di calcio con la stessa passione di quando correva sul prato di San Siro: a Fanpage.it il campione del mondo nel 1982 e simbolo dell’Inter scudettata di Bersellini, poi tecnico vincitore della Coppa UEFA nel 1994, ha ripercorso i momenti più intensi della sua carriera.
A cura di Vito Lamorte
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C’è un calcio che vive nei ricordi e nelle voci di chi lo ha attraversato con passione, concretezza e intelligenza tattica. Gianpiero Marini appartiene a quella generazione che ha fatto la storia senza clamore, ma con la sostanza di chi in campo dava equilibrio, ordine e spirito di squadra. ‘Pinna d’Oro', come lo ribattezzò Gianni Brera, è stato il cuore operaio dell’Inter dello Scudetto del 1980 e uno degli uomini del trionfo ai Mondiali del 1982 in Spagna, simbolo di un calcio meno spettacolare ma infinitamente più autentico.

Dopo una carriera vissuta da protagonista tra campo e panchina — con la Coppa UEFA vinta da allenatore dell’Inter nel 1994 — Marini, oggi 74enne, ha continuato a reinventarsi, tra calcio giovanile, FIGC e finanza. A Fanpage.it ha ripercorso i momenti più intensi della sua carriera, tra ricordi, riflessioni e uno sguardo lucido sul calcio di oggi.

Gianpiero Marini cosa fa oggi?
"Lavoro parecchio: gestisco un’azienda agricola nel Lodigiano, di cui sono amministratore, e mi occupo di borsa per conto mio, non come broker. Faccio investimenti personali, è una passione che coltivo da anni".

Continua a seguire il calcio con la stessa curiosità di un tempo?
"Certo, sempre. Il calcio fa parte di me. Seguo molto l’Inter, ovviamente, ma in generale guardo tutte le partite che posso".

Giampiero Marini, con il numero 11, ai Mondiali del 1982.
Giampiero Marini, con il numero 11, ai Mondiali del 1982.

Che impressione le fa la nuova Inter di Chivu?
"Mi piace. All’inizio ho avuto qualche dubbio, com’è normale quando cambia qualcosa, ma trovo che Kivu stia lavorando bene. Ha idee chiare, conosce la società e i giocatori. L’Inter ha tutte le carte in regola per fare una stagione importante".

Lei è rimasto all’Inter per vent’anni: che cosa rappresenta per lei questa società?
"È la mia famiglia. Ho passato lì una vita, ho vinto trofei importanti e mi sento legato per sempre a quei colori. Anche oggi, ogni volta che succede qualcosa, il primo pensiero va all’Inter. È dentro di me".

Torniamo agli inizi: come nacque la sua carriera da calciatore?
"Ho cominciato nella Nuova Lodi e nei Vaschem Boys, due squadre del mio quartiere. Poi sono passato al Fanfulla, dove ho esordito giovanissimo in prima squadra. Dopo un anno sono andato a Varese: due stagioni nel settore giovanile e poi tre anni con i grandi, vincendo anche un campionato di Serie B".

Prima dell’Inter ci furono anche Triestina e Reggina.
"Sì, alla Reggina solo un paio di mesi, poi la Triestina mi volle a tutti i costi e con loro vinsi un campionato. Diciamo che sono stato fortunato: dove andavo, di solito, arrivava anche qualche vittoria".

Gianni Brera la soprannominò “Pinna d’Oro”. Come nacque?
"Fu un onore. Brera era un genio e capiva il calcio come pochi. Scrisse che la mia corsa non era elegantissima, ma efficace, e che con quella ‘pinna d’oro' facevo sempre la cosa giusta. Era il suo modo poetico di dire che apprezzava il mio gioco. Mi fece molto piacere".

Marini con la Coppa UEFA vinta sulla panchina dell’Inter nel 1993–1994.
Marini con la Coppa UEFA vinta sulla panchina dell’Inter nel 1993–1994.

Lei è stato un mediano di grande intelligenza tattica. Che cosa serve per interpretare quel ruolo?
"Serve capire il gioco prima degli altri. Io in realtà ero nato come regista, quasi una mezza punta. Poi, arrivando all’Inter, ho arretrato la posizione e sono diventato un regista difensivo. È un ruolo dove conta la lettura, il sacrificio, la capacità di collegare i reparti".

Impossibile non parlare del 1982: che ricordi ha di quel Mondiale leggendario?
"Indelebili. All’inizio fummo molto contestati, ma non per i risultati: c’erano tensioni tra Federazione e Bearzot. Lui però fu un maestro. Sapeva gestire il gruppo, conosceva ogni giocatore, era rispettato da tutti. Ci fece sentire parte di una famiglia. E quello spirito ci portò al trionfo".

Lei poi ha lavorato anche con la FIGC, allenando la B-Italia. Come vede oggi i giovani italiani?
"Hanno talento, ma faticano a emergere. Troppi stranieri, anche nei settori giovanili. Ai miei tempi, se uno aveva qualità, a 18 anni giocava in Serie A: Bergomi, Ferri, Altobelli… oggi è più difficile. Un ragazzo bravo dovrebbe poter giocare presto, altrimenti rischia di perdersi".

Da allenatore ha scritto un’altra pagina di storia interista, vincendo la Coppa UEFA nel 1994. Come riuscì a trasformare quella stagione?
"Quando subentrai, la squadra era in difficoltà. Mancavano Berti, Ferri, Bianchi, c’erano tanti infortunati. Però i ragazzi mi ascoltarono e ritrovarono motivazioni. Lasciammo perdere il campionato e ci concentrammo sulla Coppa UEFA. Fu durissima, ma alla fine vincemmo: una gioia immensa".

Marini in azione con la maglia dell’Inter.
Marini in azione con la maglia dell’Inter.

Temette mai la retrocessione?
"No, mai. Eravamo in difficoltà fisica, ma lo spirito non mancava. Sapevamo che in Coppa potevamo fare qualcosa di grande, e così è stato".

Ha allenato anche Como e Cremonese, vincendo e lasciando bei ricordi. C’è una piazza a cui è più legato?
"Mi sono trovato bene ovunque, ma l’Inter resta casa mia. A Como vinsi la Coppa Italia, a Cremona il campionato. Ovunque ho avuto giocatori seri e persone perbene, e questo conta più di tutto".

Lo Scudetto vinto nella stagione 1979-80 con Bersellini è rimasto nel cuore dei tifosi. Che gruppo era visto da dentro?
"Una squadra giovane, forte e affamata. Bersellini e Onesti erano tecnici straordinari, severi ma giusti. A mio avviso, in quel periodo le quattro squadre più forti d’Europa erano Inter, Juventus, Real Madrid e Stella Rossa. E noi eravamo pienamente all’altezza".

Lei non ha segnato tanti gol: pochi giorni fa ho rivisto il suo gol alla Real Sociedad, se lo ricorda?
"Eccome! Un gran tiro. Arconada non poté far nulla. Bei tempi, bei ricordi".

Il gol di Marini alla Real Sociedad nella Coppa UEFA 1979–1980.
Il gol di Marini alla Real Sociedad nella Coppa UEFA 1979–1980.

Guardando il calcio di oggi, cosa le piace e cosa le manca del passato?
"È cambiato tutto. Una volta la base era la tecnica, poi la parte fisica e infine quella tattica. Oggi è l’opposto: si parte dalla tattica, poi viene il resto. Ai nostri tempi ogni allenamento iniziava col pallone, due o tre ore di tecnica pura. Ora la tattica domina, e si vede".

Le manca il campo?
"Il campo manca sempre. Ma sono sereno: ho avuto tanto dal calcio, e mi piace ancora parlarne, guardarlo, viverlo. È parte di me, e lo sarà sempre".

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