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Doardo il giramondo: “Ranieri a Monte Carlo mi diede una lezione. Un anno in Cecenia, è stato tosto”

Domenico Doardo è stato per quasi vent’anni un portiere di livello, poi è diventato un preparatore ed ha girato il mondo: Inghilterra, Cecenia, Qatar e ora Arabia Saudita con Di Biagio. I suoi racconti, di campo e di vita.
A cura di Alessio Morra
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Domenico Doardo è stato un portiere professionista per oltre tre lustri, ha vestito le maglie anche di Torino e Genoa, oltre che dell'Under 21 guidata da Cesare Maldini. Dal 2011 è un affermato preparatore dei portieri. Un preparatore dei portieri che ha avuto modo di girare il mondo. È stato in Inghilterra, con Swindon Town e Sunderland, in Russia con il Grozny e in Qatar. Adesso fa parte dello staff dell'Under 23 dell'Arabia Saudita, con il CT Di Biagio. Doardo ha rilasciato un'intervista a Fanpage.it nella quale parla delle sue esperienze in giro per il mondo e dei tanti insegnamenti che ha tratto. Ma ha anche parlato delle tante persone trovate sul suo percorso: da Claudio Ranieri a Maldini.

Domenico, nel tuo girare il mondo oggi con chi stai lavorando? E cosa fai?
Sono nello staff della nazionale dell’Arabia Saudita, sia dell'Under 23 che dell'Under 21. Lavoro con il nostro mister Gigi Di Biagio, dallo scorso maggio. Sono in uno staff tutto italiano anche con Fabrizio Piccarreta, che è l'allenatore in seconda, c'è anche il preparatore atletico Basile, mentre io sono il preparatore dei portieri.

Per quasi vent'anni sei stato un portiere. Da oltre dieci anni sei un preparatore, come è cambiato il ruolo in questi anni?
Il ruolo del portiere è cambiato tanto. Quando io ho iniziato mai avrei immaginato che nel 2025 il portiere avrebbe potuto toccare più palloni rispetto a tanti altri calciatori. Pareva impossibile, pura fantascienza, ma ora ne tocca di più. Devo dire che oggi c'è quasi una costruzione esasperata con il portiere che costruisce il gioco. Il ruolo è in evoluzione e di conseguenza anche il ruolo del preparatore è cambiato. Prima non veniva considerato con la stessa importanza. Ricordo che quando ero piccolino e ho iniziato l'allenatore dei portieri non era fisso.

Il ruolo è cambiato ma saper giocare con i piedi non è l'unica cosa che conta?
No, perché il portiere deve parare. Una volta parlando per grandi numeri. Il portiere doveva superare il metro e novanta, doveva avere una bella struttura. Ora il target è cambiato. Tutto dipende dall'impostazione dell'allenatore. Se hai una squadra che vuole difendere prendi un goalplayer, io li chiamo così, e non un goalkeeper. Cerchi un portiere che ha un bel rilancio lungo. Non fai la ripartenza dal basso e vai a caccia della seconda palla. In ogni caso il portiere in primis deve parare. Ora lo si cerca completo: deve parare e costruire.

Hai iniziato la tua carriera con successo da giovane e sei stato portiere anche di una grande Under 21.
Si, ero nel biennio 1973-1974, anche se naturalmente c'era qualche ragazzo del 1975 e del 1976, come Totti che è venuto presto in Nazionale essendo un talento precoce. C’erano Fabio Cannavaro, Bobo Vieri, Inzaghi, Del Piero, ma anche Galante, Dionigi, Ametrano, una squadra di talenti puri.

Doardo è il quarto da destra. Fa parte dello staff di Di Biagio nell’Under 23 dell’Arabia Saudita.
Doardo è il quarto da destra. Fa parte dello staff di Di Biagio nell’Under 23 dell’Arabia Saudita.

Il vostro allenatore era Cesare Maldini, che con i giovani ha ottenuto risultati straordinari. Come ci riusciva?
Cesare Maldini per me è una sorta di Ancelotti dei suoi tempi, ma si può anche paragonare al ‘Ranieri della Roma’. Sapeva cosa dirti e ti faceva star bene. Il calcio di una volta era meno tattico, c’era meno esasperazione tattica, era una cosa meno complicata. Maldini era bravo a farti star bene. Quando vai in Nazionale, fai cinque allenamenti e giochi. È così anche ora, che la vedo dall'altra parte. Non hai modo di inventarti nulla. Se metti a tuo agio i tuoi campioni, li metti in modo che possano rendere al massimo. Era un allenatore che ti capiva. Un uomo tranquillo, sempre con modi pacati, non era il sergente di ferro che incuteva paura.

Tu da allenatore dei portieri sei stato in Inghilterra, Russia, Qatar e ora in Arabia Saudita. Quali sono le principali differenze con l'Italia?
Se inizi a girare devi saperti ad adattare ad altre culture e ad altri modi di pensare. Poi noi italiani abbiamo un vantaggio. Perché al di fuori dell’Europa gli italiani sono ben visti ovunque. Appena dici che arrivi dall’Italia ti guardano di buon occhio. La cosa fondamentale è sapersi adattare. Una grande lezione ce la diede Claudio Ranieri. Quando ero nello staff di Di Canio, anche con Piccarreta ci recammo nel Principato per seguire gli allenamenti del Monaco, che era allenato da Ranieri. A fine allenamento il Mister si avvicina a noi e si mette a chiacchierare. Ti confesso che speravamo di parlare un po’ con lui. Ricordo bene le sue parole. Lui è stato dovunque e ci disse: ‘Ricordatevi che noi siamo ospiti in casa degli altri'. Siamo noi che da ospiti ci dobbiamo adeguare alle loro abitudini".

Hai vissuto due esperienze differenti in Inghilterra, cosa ti resta?
L’esperienza inglese è stata quella più bella, sono tra i fortunati che ha vissuto quel tipo di calcio. Ma è il contorno quello che lo rende bello. Il pallone è sempre uno, i calciatori in campo sono sempre ventidue. Il contesto lo rende particolare, unico nel loro caso. Sembra di andare a una festa quando vai allo stadio. Ricordo che allo Swindon non partimmo bene, poi finimmo per vincere il campionato. Ma non fu tutto così semplice. C'è un episodio che fotografa bene questa situazione. All'inizio dopo l’ennesima sconfitta pensai: ‘Ora passiamo sotto la curva dei nostri tifosi sarà dura'. Erano in tantissimi in trasferta per noi. Invece nonostante la sconfitta ci applaudirono e ci incitarono, non mi sembrava vero pensando anche alla nostra realtà italiana.

Doardo ha fatto parte dello staff all’Al Gharafa in Qatar di Stramaccioni.
Doardo ha fatto parte dello staff all’Al Gharafa in Qatar di Stramaccioni.

Poi sei stato in Russia, anzi in Cecenia al Grozny e hai vissuto un'altra esperienza importante a trecentosessanta gradi.
Io sono stato in Cecenia e ho fatto parte del settore giovanile di in una squadra professionistica. Senz'altro è stato particolare, ero in un posto islamico all’interno della Russia, cultura musulmana, il mio primo contatto con il mondo musulmano, perché poi sono andato in Qatar e in Arabia. Sono stato un anno a Grozny. Se qualcuno non era a conoscenza del passato non si poteva accorgere che era stata rasa al suolo qualche anno prima. Si vedeva, si capiva che era una ferita aperta. Il calcio è stato importante per loro. Abbiamo provato a lavorare tanto, provando a insegnare il nostro modo di pensare agli allenatori locali, i giocatori erano molto disponibili, cultura russa: lavoro, lavoro, lavoro. Ci siamo trovati bene da quel punto di vista.

Dopo di che sei finito in Qatar. Qual è la principale differenza con l'Arabia Saudita?
Doha è una Dubai più light, è una città in generale simile a quelle degli Emirati Arabi. Ma in Qatar ti permettono l’alcol negli hotel ed è un passo di apertura al mondo non islamico. Io ero lì nel 2022, era l’anno di preparazione ai Mondiali, c’era tutta l’attenzione sul Qatar. Il modo di vivere simile a quegli arabi, forse sono un po’ più aperti mentalmente al cambiamento, hanno accettato di avere turismo e hanno dato ai turisti la possibilità di venire e pure di bersi alcol agli interni degli hotel. Avrei voluto seguire dal vivo quei Mondiali, ma non riuscii a seguirli perché andai via per tornare in Italia, firmai per l'Udinese.

Conosci meglio l'Arabia Saudita. Prima hai lavorato in un club e ora per le nazionali giovanili. In questo lasso di tempo come è cambiato il Paese?
In Arabia sono stato la prima volta al Damac. La differenza tra cinque anni fa e adesso c'è ed è rappresentata dai campioni. Già prima la qualità media era buona, ma adesso ci sono grandi campioni. Sono state cambiate le regole, in modo intelligente, perché ci sono spazi anche per i giocatori locali – si possono schierare ‘solo' otto stranieri. Ma il fatto di poter tesserare tanti giocatori stranieri fa si che il livello del campionato si alzi e di molto. Vai a vedere una partita Al Hilal e l’Al Nassr e trovi nomi importanti. I calciatori locali sono migliorati allenandosi con calciatori di livello mondiale e la crescita c'è anche grazie a degli allenatori di alto livello. D'altronde non è da tutti giocare con Cristiano Ronaldo e Benzema.

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