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David Balleri: “Con i piedi ero scarso, mi misero a fare muro. A Livorno ho incontrato la figlia di Che Guevara”

David Balleri a Fanpage.it ha raccontato alcuni momenti inediti della sua carriera e la sua nuova esperienza come vice allenatore in Serie D, soffermandosi su alcuni personaggi che hanno caratterizzato il suo viaggio nel mondo del calcio: da Mihajlovic a Cadregari passando per Eriksson e Spinelli.
A cura di Vito Lamorte
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David Balleri ha macinato km sulle fasce di tantissimi campi d'Italia e ora non ha più voglia di correre. Neanche nel famoso ‘gabbione' della sua bella Livorno. Il calcio fa sempre parte della sua vita e lo guarda dalla panchina, come vice allenatore del Celle Varrazze, in Serie D, ma la passione è sempre la stessa.

Tanta gavetta prima di approdare in una big come il Parma, dove vinse l'unico trofeo della sua carriera (Supercoppa UEFA nel 1993) prima di iniziare un lungo giro che lo ha portato a vestire le maglie di Sampdoria, Lecce e della sua Livorno. In amaranto è stato anche capitano dopo la cessione di Cristiano Lucarelli: "Una grande responsabilità". Non ha mai nascosto le sue idee politiche di sinistra: "Ho detto sempre quello che pensavo e, qualche volta, può essere controproducente". 

A Fanpage.it David Balleri ha raccontato alcuni momenti inediti della sua carriera e si è soffermato su alcuni personaggi che hanno caratterizzato il suo viaggio nel mondo del calcio: da Mihajlovic a Cadregari passando per Eriksson e Spinelli.

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Cosa fa oggi David Balleri?
"Sono allenatore in seconda al Celle Varrazze, in Serie D, a Mario Pisano. È una bella responsabilità e abbiamo finito la prima fase di ritiro e ci prepariamo per la nuova stagione. All’inizio ero un po’ titubante ma dopo i primi allenamenti sono molto contento".

Da ex calciatore che oggi fa parte di uno staff: c’è davvero così tanta differenza tra i giovani di ieri, tra i quali c’era anche Balleri, e quelli di oggi?
"Diciamo che c’è solo una differenza, oggi c’è più possibilità rispetto ad allora. Prima dovevi proprio dimostrare chi sei. Il fatto che c’è devono giocare i giovani ai nostri tempi non c’erano i fuoriquota: ai miei tempi se eri bravo giocavi se avevi 17 o 35 anni. A me piaceva molto di più quell’impostazione, se eri bravo eri dentro mentre se non eri pronto ti facevano capire che dovevi migliorare. Oggi hanno la possibilità di poter fare subito qualcosa in campo grazie alle nuove regole mentre noi ci dovevamo sudare tutto. Ai nostri tempi il calcio era selezione naturale, oggi non più".

Balleri ha fatto tanta gavetta prima di arrivare in Serie A: quanto è stata importante?
"Per me è stata importantissima. Io sono arrivata tra i pro direttamente dai dilettanti e certe dinamiche non le sapevo. Mi è servita tantissimo, specialmente quando sono andato a Siracusa dove ho trovato un allenatore come Cadregari che mi ha aiutato tantissimo. Con i piedi ero scarso e mi ha aiutato a migliorare. Mi disse solo una cosa ‘Lo vedi quel muro, quando l’hai buttato giù ti faccio giocare’. Tutti i giorni prima degli allenamenti io andavo a fare muro per aumentare la tecnica. Io avevo una grande qualità che era la corsa rispetto agli altri, non mi è mai mancata, ma mi mancava la tecnica che da piccolino non mi avevano mai insegnato. Arrivare a 21 anni in una squadra professionistica ed essere tecnicamente non tanto bravo era un problema mentre oggi sono forti perché lavorano molto nei settori giovanili. A me è servita tanto la gavetta, ho fatto il girone sud della C1 e mi ha fatto crescere tanto. Poi ho fatto quello che ho fatto".

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Balleri è un figlio di Livorno che ha giocato con la maglia amaranto: cosa vuol dire per lei?
"Grande responsabilità per la maglia e la città. Per me sono stati fondamentali e bellissimi, è una cosa talmente bella indossare la maglia della propria città che se ti chiedono di buttarti nel fuoco in quei momenti lo fai senza problemi".

A proposito di Livorno, Max Allegri ha parlato spesso del “gabbione”: lei lo ha frequentato questo posto mitico della sua città?
"Sì, ci andavo fino a poco tempo fa. Adesso un po’ meno perché i dolori iniziano a farsi sentire ma fino a qualche anno fa ci andavo con i miei amici ma è più raro. Devo dire la verità, ho corso talmente tanto che a dieci anni dal ritiro ho ancora un po’ il rigetto".

Un’altra parentesi importante è stata la Sampdoria, dove è stato compagno di stanza di Mjhailovic: chi era Sinisa per lei?
"È stato un amico, un punto di riferimento e un uomo straordinario. Da giocatore era fenomenale ma da uomo lo era ancora di più. Ci ho convissuto per tre anni in camera, era intelligentissimo. L’ho sempre ammirato, prima da giocatore e poi da allenatore, e lo ricorderò sempre così. Era una bravissima persona, un uomo straordinario Sinisa".

Quanto è diversa la Serie A di oggi da quella dei suoi anni?
"La Serie A di quel periodo era incredibile. Posso evitare di fare i nomi. Adesso il problema più grande è che dopo un anno buono diventi subito un top player mentre prima ci voleva più costanza. Ora subito richieste enormi per cartellini e ingaggi, soprattutto vedendo i calciatori che girano. Io penso che prima ci fossero calciatori più forti a livello tecnico, anche nelle squadre piccole: se vedevi le rose capivi il tasso tecnico che c’era, soprattutto paragonandolo con le medio-piccole di oggi".

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Gli ingaggi dei suoi anni non erano come quelli di oggi ma si ricorda cosa ha fatto con il primo stipendio da calciatore?
"Ho portato a cena la mia famiglia. Giocavo nella Cuoiopelli in C2 e quando mi hanno dato il primo stipendio ho portato fuori mia mamma, mio papà e mio fratello".

Torniamo al campo. Qual è l’allenatore con cui ha avuto maggiore feeling?
"Cadregari è quello che mi ha insegnato il calcio vero, perché in quegli anni devo dire che era molto avanti a tanti altri più conosciuti. Se devo dirne uno, dico Eriksson. Lui mi ha dato fiducia prendendomi alla Samp e anche a livello umano era davvero un signore. Nel calcio di oggi non ci sono più persone come Eriksson e Sinisa (Mihajlovic)".

C’è stato un momento più delicato di altri nella sua carriera: nel 2008 viene squalificato per 4 mesi per aver tentato di concordare il risultato di una partita. Ci racconta la sua versione?
"Una brutta storia, non è vero niente. Noi perdendo a Bergamo non avevamo nemmeno più un lumicino di speranza per salvarci e qualche volta dalla bocca, sopratutto a caldo in campo, escono cose che non diresti mai. Tutto sommato si risolse in 4 mesi e la mia carriera non si sporca per questo. La versione che viene spesso citata è una cavolata, io nemmeno me la ricordo quella storia. Io penso che quelli che mi conoscono, e mi hanno incontrato nella mia carriera, sanno che cosa sono e sono stato. Ero capitano del Livorno e quella partita lì ci poteva far sperare ancora ma era tutto dettato dall’agonismo, non c’era nulla di tutto. Se vai a leggere la sentenza, dagli anni che mi volevano dare siamo arrivati a 4 mesi. È toccata a me dopo il clamore ma non c’era nulla".

Da livornese, Balleri è stato simbolo di un grande Livorno targato Aldo Spinelli: che personaggio è il presidente? È vero che chiedeva anche ai calciatori di seguire le sue superstizioni?
"Un grande presidente. Lui era molto superstizioso: vestito sempre nello stesso modo e si fermava sempre al solito autogrill, il cioccolatino e tutto il contorno. A noi non diceva nulla però era molto divertente averci a che fare e vedere il modo in cui lui viveva il calcio".

Balleri non ha mai nascosto le sue idee politiche di sinistra: perché oggi è così difficile schierarsi su temi sociali rispetto qualche anno fa?
"Non saprei darti una risposta. Io sono sempre stato uno libero, che ha detto sempre quello che pensava e, qualche volta, può essere controproducente. Non mi hanno mai detto niente nonostante questo mio difetto. Io credo che oggi hanno paura dei giudizi e vanno più dietro alle tendenze. Io ho sempre difeso le mie idee ma credo che la politica nel calcio debba entrarci poco”.

Sempre a proposito di politica, è vero che lei conobbe Aleida Guevara, la figlia del Che, quando venne a Livorno in comune? 
"Sì, era il  20025 o il 2006… non ricordo di preciso. Lei fu molto gentile e ci disse di ricordare il padre più con il cuore e con le azioni e meno con magliette o bandiere“.

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