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Caldara dà l’addio al calcio a 31 anni: “Tutti erano preoccupati per me, quella sensazione mi uccideva”

Mattia Caldara ha deciso di dare il suo addio al calcio a 31 anni. Nella sua lettera racconta tutto ciò che è successo: “Tristezza, frustrazione, buio. Non so se si chiami depressione. So, però, cos’ho provato. Ho deciso di lasciare andare”.
A cura di Fabrizio Rinelli
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Mattia Caldara ha detto stop al calcio giocato. Addio al sogno di una vita a soli 31 anni quando si dovrebbe essere nel pieno della propria carriera. Il difensore, esploso nell‘Atalanta, è poi finito in un vortice infinito di infortuni che non gli hanno più consentito di tornare ai tempi in cui incantava nella squadra bergamasca tra anticipi, stop e chiusure da manuale. Un'avventura terminata con l'annuncio ufficiale attraverso una lettera pubblicata a ‘Gianlucadimarzio.com'. Qui il difensore ha voluto spiegare a tutti cosa sia successo. Caldara spiega chiaramente di aver subito tanto la frustrazione di non riuscire a tornare ad essere quella di una volta dopo l'infortunio.

Non riusciva a sopportare più il giudizio di chi si chiedesse perché non riuscisse più ad avere gli spunti visti con l'Atalanta. Era cambiato, e lo ammette. E allo stesso tempo preoccupato: "‘Non ti riconosco più, non sei te stesso'. Risuonano ancora forti in me le parole di mia moglie – si legge in un passaggio della sua lettera -. Anche papà me lo aveva confessato. Erano preoccupati per me, glielo leggevo negli occhi. Non riuscivo più a essere per loro quello che ero sempre stato. Una sensazione che mi uccideva. Ho compreso col tempo il male che ho fatto".

Caldara all’Atalanta.
Caldara all’Atalanta.

Caldara ha spiegato il calvario vissuto dopo i primi infortuni: "Ero al Milan, stavo correndo, all’improvviso una sensazione mai provata prima, come se qualcuno mi avesse sparato sul tendine – racconta ripensando all'infortunio in rossonero dopo il trasferimento dalla Juventus -. Pensavo che qualcuno mi avesse calpestato la caviglia. Mi ero voltato a guardare: non c’era nessuno. Ricordo la faccia di Maldini mentre ero sul lettino".

Fu l'inizio della fine. La lenta ripresa, il recupero e poi finalmente il momento di tornare a giocare in Serie A prima di quell'allenamento del giovedì dopo un contrasto con Borini: "Mi cade sul ginocchio. “Crack”. Mi sono rialzato in piedi per tornare a correre, non potevo essermi rotto ancora. Appena ho appoggiato il piede, sono crollato a terra. La gamba non mi reggeva, il mio ginocchio era spappolato. Un suono, un secondo, un istante. La mia anima era devastata. Qualcosa era cambiato in me. Dal tendine mi ero ripreso, il ginocchio era diverso. Lo sentivo".

Caldara in campo col Venezia.
Caldara in campo col Venezia.

Il difensore racconta ciò che è accaduto dopo: "Non riuscivo più a camminare per strada a testa alta – spiega ancora -. Mi guardavo allo specchio e non mi riconoscevo. Leggerezza e spensieratezza non facevano più parte di me. E quando vivi situazioni simili, non fai del male solo a te, ma anche alle persone vicine a te. Le spegni. Le contamini con il tuo malessere. Smettono di stare bene. E la responsabilità è la tua. A me è successo questo". E poi ancora:

"Tristezza, frustrazione, buio. Non so se si chiami depressione. So, però, cos’ho provato. Ho deciso di lasciare andare. Non per dimenticare. Ho deciso di lasciare andare per riprendere in mano la mia vita". A luglio 2025 poi la visita da un nuovo specialista: "Non hai più la cartilagine della caviglia. Se continui tra qualche anno dovremo metterti una protesi”. Caldara così spiega che è a questo punto che ha deciso di smettere: "Era il momento di dire basta, ho ripreso in mano la mia vita. Sto recuperando quello che ho perso. Anche se, a volte, perdersi serve. Serve per ritrovarsi in una prospettiva e consapevolezza diversa". 

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