Alessia Tarquinio: “Conte mi deve un caffè, disse che ero cattiva. Paolo Maldini lo hanno cancellato”

L'attacco di un pezzo, più ancora quello di un'intervista in diretta tv, è tutto. Alessia Tarquinio sa che il tempo è tiranno, tanto vale giocarsela e andare dritta al sodo. Da Sky è andata via perché il mare calmo non fa per lei ("ho guadagnato dieci anni di vita"). Ad Amazon "mi sono tolta qualche soddisfazione e mi hanno dato la possibilità di essere me stessa". E dai Caraibi (dove vive) all'Europa per la Champions è un attimo. Nell'intervista a Fanpage.it la giornalista di Prime Video ne ha per tutti: l'informazione sportiva in evoluzione, le "bellone" in trasmissione, il pubblico che non è più e solo attento "alla strafiga", la comunicazione al tempo dei social sono alcuni degli argomenti sui quali resta in piedi come sulla tavola da surf perché "l'acqua salata è la cura di tutto". E poi ancora aneddoti su Antonio Conte, Paolo Maldini, Massimiliano Allegri, Jurgen Klopp e Jude Bellingham che resta "un figlio perfetto oltre a quello perfetto che già ho".
Alessia Tarquinio, perché ha lasciato Sky?
"Avevo capito che lì avrei soltanto speso il mio tempo seduta alla scrivania a leggere la mazzetta dei giornali al mattino, senza poter fare più niente e quindi non ci sono stata più".
Mare calmo, quasi piatto. Per una surfista che sta sulla cresta di onde mai uguali deve essere terribile.
"È proprio così. A dire la verità non c'era più niente per me lì. Poi andare a Rogoredo a novembre è un'esperienza mistica… diciamo così. È tutto il contesto che fa la differenza".
D'accordo: il sole, il mare, il clima sempre mite ma forse c'era dell'altro che non andava.
"Diciamo che da quando ho lasciato Sky ho guadagnato dieci anni di vita. In passato mi capitava di pensare: non faccio le cose perché non sono abbastanza brava, non sono abbastanza preparata, devo lavorare di più, devo impegnarmi di più e dimostrare cosa so fare. A un certo punto ho capito che non era quello che volevo. E i direttori scelgono… quello che decide il direttore è legge: o ti va bene o non ti va bene. E a me non è andato più bene. Ho pensato che altrove avrei potuto dare ancora qualcosa e devo dire che mi sono presa delle soddisfazioni".
Cosa le ha dato Prime Video che le mancava?
"Alla base di tutto questo c'è il posto dove lavori. A Prime mi hanno dato la possibilità di essere me stessa e fare le domande che voglio fare, di non pormi limiti, di non avere paura, di non avere retropensieri. Loro si sono sempre fidati. Piace l'informazione, piace la cronaca e piace anche l'entertainment e in questo ambito mi trovo a mio agio. Sono sempre stata così a dire la verità, ma anche il fatto di avere un figlio adolescente mi aiuta: ci sono altri registri di comunicazione, devi stare sempre al passo, devi essere più rapido… attento a quelle cose che possono andare bene e quelle che non vanno bene, a quando sei cringe e a quando non lo sei. Diciamo che è una porta verso la contemporaneità.
Se dovesse fare una domanda a un calciatore israeliano cosa gli chiederebbe?
"Come si sente da essere umano a vivere una situazione del genere? Poi in base alla risposta ovviamente capirei come andare avanti".
Immagini di trovarsi davanti il ct di Israele che dice: chi mi fa queste domande è contro di noi. Cosa gli risponderebbe?
"No, assolutamente. Che non è vero. L'unica cosa contro la quale posso essere è la guerra e il nostro mestiere è far capire che cosa pensano le persone e che cosa provano. E quindi sono domande lecite".
Fino a che punto, considerato il contesto attuale, è possibile scindere l'informazione sportiva da quella di pura cronaca?
"Per come sono io, la persona più lontana dalla diplomazia, quella che quando dico le cose mi si leggono sulla faccia, credo che non si possa distinguere. Mi stupisco della gente che non riesce a prendere posizione, quelli che sono sempre lì sul filo del fuorigioco. Io invece dico: ma rischia ‘sta giocata! Fammi capire che cosa pensi, anche perché le persone che ti dicono cosa pensano sono più trasparenti e riesci a gestirle meglio. Capisco che non sia semplice gestire una situazione come questa, però c'è modo e modo di affrontarlo. È che, secondo me, quando arrivi a un certo punto in alcuni ruoli o ti dimentichi alcune cose o fai in modo di dimenticarle".

Come è cambiato il pubblico che vede il calcio, lo sport in genere? E cosa chiede oggi?
"C'è sempre tanta sete di conoscenza e di curiosità. Non mi piace quando si scade nella morbosità, sia in generale sia in quella sportiva. Tutto il gossip, la malizia, i retropensieri non mi sono mai piaciuti e continuano a non piacermi. Mi piace l'informazione fatta bene, l'informazione intelligente, l'informazione che ti dia gli strumenti anche per sapere e capire qualcosa di più e di farti un'idea. Adesso c'è un pubblico molto più ampio, non mi piace quando si continua a pensare al solito cliché che il calcio è roba da maschi e si è dimostrato che non è così, ci sono tante donne appassionate di calcio, appassionate di sport. Quindi è giusto anche stare attenti a come si racconta lo sport".
Nell'epoca dei social spopola l'interpretazione dell'informazione più che la news in sé. Come si gestisce questo flusso?
"Dobbiamo essere bravi, soprattutto quelli di una certa generazione, ad andare sì al passo con i tempi e con la modernità ma allo stesso tempo dare notizie seriamente e non farci catturare dal prodotto social. Non è che devi andare in onda a dire cose perché sai che la riprenderanno i social e ti fa figo. No, dobbiamo mantenere la nostra serietà, la nostra capacità di racconto, che è fatta di verificare la notizia, raccontarla come si deve, sempre super partes, senza la voglia di attirare i click".
Questo comporta anche una maggiore qualità dell'informazione. In tv, però, c'è un meccanismo ormai consolidato: è un po' lo specchio dell'idea che forse i direttori di rete si sono fatti del pubblico sensibile alla bellezza, con quella femminile che è prioritaria per certi ruoli. Come si conciliano le due cose?
"Questo è profondamente radicato nel passato, perché non è più così. Basta parlare con i ragazzi di adesso, e non sto parlando solo di adolescenti che posso conoscere per esperienza di rete, ma anche di quelli un po' più grandi. Lo vedo perché mi scrivono, lo vedo nei commenti, parlo con quelle persone. Sono sempre la conoscenza e la competenza a fare la differenza. Non è più come una volta, non basta mettere lì la bellona pensando che dall'altra parte ci siano solo morti di figa. La gente, proprio perché adesso ha più possibilità di leggere, sapere, conoscere, a volte ne sa più degli stessi giornalisti. Il problema è che molto spesso si parla troppo di alcuni personaggi e non si parla abbastanza e non si accendono i riflettori su colleghi che sono veramente bravi e preparati. Alcuni perché non hanno le physique du rôle, altri perché non sono in onda e sono magari dietro le quinte, altri perché scrivono e magari vengono presi meno in considerazione. Se un direttore preferisce l'estetica alla bravura è un problema anche per l'uomo. Sì o no? Sì, perché sceglierà sempre la strafiga rispetto a uno preparato, che magari è migliore per condurre un programma".
La spaventa l'idea che un algoritmo possa decidere di rendere invisibile o meno un contenuto e le stesse persone?
"Sì, molto. Devo dire che è così, ma spero sempre ci siano persone intelligenti che evitino questa cosa. Quante volte senti dire: quella ha un sacco di followers allora la facciamo lavorare. Questa cosa mi ha sempre spaventato perché il potere di valutare il talento di una persona, decidere se piace o meno, non dovrebbe dipendere da un algoritmo. A tal proposito, ricordo quel che diceva Cruijff parlando di se stesso: se avessero visto le mie statistiche quando avevo 15 anni, mai sarei diventato un calciatore professionista o un campione".
Che differenza c'è tra il calciatore personaggio e il calciatore persona, recitano tutti un ruolo?
"No, non penso che tutti lo facciano. È un po' come quando conosci persone nuove e fai fatica a fidarti subito. Non è che racconti subito i cavoli tuoi o ti lasci andare. Magari stai un po' sulle tue. Credo che loro siano veramente a volte sovraesposti. Hanno anche paura a dire quello che pensano, perché possono essere fraintesi, perché spesso le parole vengono decontestualizzate, da un video di 5 minuti prendono 30 secondi e li buttano lì. È capitato anche a me, questa roba di un'intervista che mi ha creato pochi problemi. E faccio un ragionamento più generico perché è ovvio che se ti dico Bellingham…".

Bellingham "il figlio perfetto" e quel "vuoi venire a casa con me?" scatenarono commenti di tutti i tipi.
"Certo che Bellingham è il figlio perfetto. Anche se questa cosa mi ha creato un po' di problemi con il mio figlio perfetto, al quale Jude spesso ha dato consigli raccomandandogli di studiare".
Una donna in tv ancora non si può permettere di fare una battuta o avere un approccio più leggero. Se invece certe cose le dice un uomo…
"Invece io lo faccio perché così almeno possono capire che le donne lo possono fare e anche magari in futuro le colleghe si faranno meno problemi".
Fu tutto un grande equivoco che alimentò il gossip sfrenato.
"E certo… si è pensato subito che fossi la milf che voleva rimorchiare il bel giovanotto. Peraltro sono anche più vecchia di sua madre. Quindi, come dire no? Mi fa sempre un po' specie questa cosa: lavoriamo in un ambiente di bellocci e si crede che chissà cosa possa succedere. Ma un po' perché forse sto raggiungendo i 50 e quindi anche un po' la pace dei sensi, e un po' perché ho intervistato i padri, i figli, e se non mi mandano in pensione presto anche i figli dei figli, io li vedo come fossero nipoti, figli. E basta. È una bella liberazione essere arrivata a una certa età, anche se ovviamente i maliziosi e quelli che pensano male ci sono sempre, perché puoi dire un po' quello che vuoi. E poi lavoro in questo ambiente da tanti anni, le persone mi conoscono bene".
Klopp restò quasi estasiato per il gioco di parole "Livercool".
"Sì, mi fece i complimenti. Apprezzò i tempi della traduzione, gli piaceva come suonava".
A chi non offrirebbe un caffè?
"Non offro il caffè ad Antonio Conte. È lui che me lo deve offrire, perché l'ultima volta che l'ho intervistato, quando ci siamo incontrati durante il suo periodo in Inghilterra, mi ha detto che non mi faceva così cattiva…. Ecco lo farei offrire a lui, così magari parliamo anche un po' pugliese, che mi piace un sacco".

Conte è davvero così permaloso anche da vicino oppure il fatto che lamenti spesso obiezioni è solo una falsa impressione che si ricava dalla tv?
"Credo che il Napoli sia una delle squadre più attrezzate e non si possa lamentare. La verità è che lui la partita la sente veramente tanto. La vive ancora anche dopo, quando è finita, perché per lui non si chiude al fischio dell'arbitro e ha subito cose da dire ai giocatori. Questa impressione che c'è di lui è una specie di mantra, qualcosa che gli fa bene, che usa per proteggere la squadra e caricarla, per non esaltare troppo l'ambiente. Quando l'ho visto l’ultima volta in Inghilterra gli erano successe cose personali che gli avevano tolto un po' di smalto. Ma è un grande allenatore".
Con chi prenderebbe volentieri un caffè?
"A chi lo offrirei in questo momento? Mi piacerebbe offrirlo a Kevin De Bruyne. Ma c'è un'altra persona con il quale prenderei un caffè".
Chi?
"Paolo Maldini, per sapere come sta e cosa pensa realmente. E cosa pensa anche del suo Milan".
È uscito di scena da quando ha lasciato il Milan.
"L'hanno voluto dimenticare o un po' anche far dimenticare secondo me. Un po' perché forse lui stesso ha voluto distaccarsi da tutto quanto. Conosco Paolo da una vita perché, avendo lavorato a Milan Channel, è stato uno dei primi che ho intervistato da ragazzina, essendo io cresciuta con quel Milan lì. E quindi mi piacerebbe adesso fare due chiacchiere con lui".

Non c'è due senza tre… com'è Massimiliano Allegri?
"Livornese. E lo dico perché mio zio era livornese e sono di cosa parlo. È come tutti i personaggi, ha i suoi momenti in cui è più rilassato e altri in cui è un po' più teso. Però, personaggi così mi piacciono perché hanno carattere… e non sono quelli che stanno sempre sullo 0-0, che fai fatica a tirargli fuori qualcosa. Che magari sono bravissimi ma dal punto di vista della comunicazione ti annoiano".
A proposito di Milan: giusto o sbagliato giocare con il Como in Australia?
"Diciamo che se mi mandano lì come giornalista, sono contenta… me ne vado a un po' a surfare a Perth. E magari Como-Milan è anche l'occasione per far vedere un po' di calcio vero, oltre che un'opportunità per tanti italiani che stanno lì. Per il resto e tutto quanto di cui s'è discusso dico solo una cosa in generale: la rovina è l'ipocrisia, ma da parte di tutti".
E un po' di milioni in tasca fanno sempre comodo.
"Esatto. A tutti".
Le piacerebbe fare qualcosa di diverso in tv?
"Sì, ma non programmi di cucina perché in cucina sono una schiappa… proprio zero. Quelli in cui viaggi per l'Italia, scopri paesi, persone, cultura, radici… quelli sì. Meglio se vicino al mare. Dico sempre che sono una gipsy radicata e da quando a dicembre scorso è scomparso mio papà, al quale ero molto legata, ho ancora più voglia di ritornare alle origini. Però c'è una cosa che mi piacerebbe fare".
Cosa?
"Un crime, una specie di La Tarqui in giallo… tutte queste serie sono pazzesche. Posso fare il poliziotto, l'investigatrice oppure la morta".
Dall'odore del prato dei campi di calcio al brivido puro sul set.
"Esatto, sì. Sono emozioni anche quelle (e ride)".