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L’esplosione di Jerami Grant: c’è anche lui come Most Improved Player in NBA

Da sorpresa a solida realtà, l’ascesa di Jerami Grant ormai è sotto gli occhi di tutti. Dal giocatore tuttofare dei Denver Nuggets ad assoluto protagonista in quel di Detroit, i suoi numeri parlano chiaro: Jerami sta giocando da All-Star e solo il pessimo rendimento della squadra potrebbe oscurare la sua splendida stagione.
A cura di Luca Mazzella
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Ogni anno, tra i premi assegnati dall’NBA, c’è anche quello di Most Improved Player, giocatore più migliorato. I criteri secondo i quali la lega assegna questo premio variano da quelli statistici (banalmente, più punti di media rispetto alla stagione precedente) a quelli "sportivi" (da giocatore marginale a giocatore fondamentale, possibilmente in una squadra di vertice). Tra i primi, con un andamento finora sensazionale che nessuno a Denver lo scorso anno poteva prevedere, c’è Jerami Grant. Il cognome vi dirà certamente qualcosa e non vi sbagliate: Jerami è nipote di Horace Grant, ex Bulls, Magic e Lakers tra gli altri, 4 volte campione NBA. Il basket era nel suo destino sin da piccolo.

Migliorarsi ogni stagione

Dopo 4 annate fatte di pochi alti e molti bassi tra Philadelphia e la prima esperienza in maglia Thunder, Jerami ha definitivamente messo la freccia nel 2018-2019, quando la OKC targata Westbrook-George prometteva di fare scintille e aveva in lui uno di quegli indispensabili complementi offensivi capaci di togliere pressione alle star della squadra e a dimostrarsi preziosi in quelli che in America chiamano intangibles, giocate spesso non visibili all'occhio dello spettatore ma ugualmente fondamentali nell'economia di una squadra. In quel momento il gioco di Jerami era un gioco molto meno perimetrale di quello che ammiriamo oggi e decisamente più attendista visti i possessi praticamente divisi tra i due co-protagonisti designati della squadra. Questo gli basta comunque per guadagnarsi una chance in quel di Denver (che lo rileva dagli Oklahoma City Thunder "solo" per una scelta al draft 2020), dove con la ripresa della stagione a Orlando, nella bolla post-covid19 in cui si è conclusa la stagione, si esalta e diventa un perno del gioco della squadra capace di issarsi per due volte dal 1-3 contro Utah prima e Clippers poi fino alla finale di Conference contro i Lakers. In quei Nuggets, Jerami mostra una pazzesca duttilità sui due lati del campo e forse per la prima volta in lui si fa strada l’idea di poter essere non più attore co-protagonista, ma volto numero 1 di una franchigia.

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La chiamata dei Pistons

Su Jerami in estate si sono fiondate più squadre, alcune delle quali con ambizioni da titolo, ma è stata Detroit la più convinta nell'arrivare al giocatore, a cui è stato offerto un lauto contratto triennale da 60 milioni. La cifra totale, non pareggiata da Denver (che aveva diritto a formulare la stessa offerta contrattuale al giocatore con la garanzia, a quel punto, di trattenerlo), non sembra ricevere l’approvazione di tanti addetti ai lavori NBA. Come si adatterà un ragazzo sempre chiamato a recitare il ruolo di comprimario nel diventare improvvisamente il go-to-guy della squadra?

Provare per credere.

Jerami ha raddoppiato la sua produzione offensiva, passando da 12 punti a 23.8 di media, da 9 tiri a 17.8 tiri a partita. Non ha mai preso così tanti rimbalzi in carriera (6.2) , mai distribuito così tanti assist (2.9), mai fatto così tante stoppate (1.2). In poche parole, è diventato quel protagonista che nessuno pensava potesse essere. E oggi, meritatamente, tira la volata a Christian Wood e Collin Sexton per prendersi il premio di giocatore di più migliorato dell’anno. Nell'attesa però che sia Detroit a prendere il volo con lui.

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