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Il nemico immaginario di Michael Jordan: inventare una provocazione solo per motivarsi

Come si costruisce il mito? Michael Jordan non avrebbe certo bisogno di romanzare una carriera ai limiti della fantascienza. Eppure, nel periodo in cui stimoli e motivazioni iniziavano a vacillare sotto il peso schiacciante della fama e del successo, “His Airness” cercava in nemici immaginari la molla per rendere al meglio.
A cura di Luca Mazzella
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Quando sei Michael Jordan e sei al top della forma, due volte campione NBA e volto della pallacanestro mondiale, tutto è concesso. Compreso inventare una storia a te stesso per caricarti e giocare una delle tue tante indimenticabili partite. È esattamente quello che MJ ha fatto riferendosi a un giocatore praticamente anonimo, reo di aver segnato 37 punti in una gara comunque vinta dai Bulls del 23, ma in cui i titoli non furono tutti per "Air Mike".

LaBradford Smith, classe 1969 dalla Louisville University e 19esima scelta del draft NBA 1991, è stata una assolutamente dimenticabile shooting guard vista nella lega americana tra Washington Bullets (attuali Wizards) e Sacramento Kings. 183 partite in totale dal 1991 al 1995 a poco meno di 7 punti di media. Un nome che – non a caso – dice poco se non niente persino ai più grandi appassionati di basket, ma reso appunto famoso da un aneddoto passato alla storia e raccontato dal più grande di tutti, Michael Jordan, che in LaBradford riuscì a trovare un vero e proprio "nemico immaginario".

"Bella partita, Mike!"

Nella stagione 1992-93, la più prolifica nella carriera di Smith (9.3 punti di media) la guardia riuscì a registrare quella che senza dubbio fu la miglior partita dei suoi anni NBA e proprio contro la squadra detentrice degli ultimi due titoli, gli iconici Chicago Bulls. Era il 19 marzo, si giocava a Chicago e, come poi raccontato da Michael Jordan ai giornalisti nel post-partita, dopo aver segnato 37 punti con 15/20 al tiro e 7/7 ai liberi nel suo primo quintetto della vita, Labradford avrebbe avuto la brillante idea di provocare il 23 con un “Bella partita, Mike” sussurrato dirigendosi verso gli spogliatoi con tanto di pacca sul sedere consolatoria. Fu questa la presunta molla che spinse MJ a “promettere” la vendetta Smith. “Quando ti affronterò la prossima volta, segnerò i tuoi 37 punti, ma tutti nel primo tempo” sarebbe stato quanto detto davanti ai compagni di squadra una volta uscito dal campo.

La rivincita

Quanto tempo ci volle per vedere la vendetta consumata? 24 ore. Il tempo di un back-to-back (in questo caso home-and-away, quando nell’arco di due giorni due squadre si incontrano sui rispettivi parquet di casa). In Bullets-Bulls (il secondo episodio era di scena nella Capitale) Jordan arrivò a quota 36 punti nei primi due quarti, mancando di un punto l’aggancio ai 37 promessi. In compenso, fu capace di issarsi fino a quota 47 (con 8 rimbalzi, 4 assist e 2 palle recuperate) a fine partita. La parte più bella della storia fu che molti anni dopo, quella provocazione nella prima sfida che Smith gli avrebbe rivolto fu definita inventata di sana pianta con il semplice fine di darsi una motivazione maggiore per riscattare una partita modesta per i suoi standard ("appena" 25 punti con 9/27 al tiro) ma soprattutto i titoli di giornale dedicati a Smith nonostante la sconfitta di Washington. Smith che, per inciso, dopo i 37 punti pregò nel dopo-partita i giornalisti affinché non esaltassero eccessivamente la sua prestazione, proprio nel timore che Jordan potesse in qualche modo vendicarsi. Fu forse proprio la paura a fermarlo davanti al suo pubblico segnando solo 15 punti con 5/12 al tiro, spesso marcato proprio da MJ.

In poche parole, Jordan riconobbe poi di aver lavorato di pura immaginazione per darsi uno stimolo in più, in quello che fu proprio il periodo più difficile della sua carriera, coi 2 anelli consecutivi e un terzo che sarebbe arrivato a breve, prima del ritiro di 2 anni per fare spazio al baseball e spegnere i riflettori eternamente puntati su di lui.

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