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I New York Knicks hanno trovato la chiave per il successo e possono sognare in grande

Al terzo anno di Tom Thibodeau nella “Grande Mela” i tifosi sognano in grande grazie a un gruppo unito come non si vedeva da tempo.
A cura di Luca Mazzella
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Sette vittorie consecutive, nove delle ultime dieci, quinto posto della Eastern Conference, occupato dai Cleveland Cavaliers, distante una partita e mezza. In questo momento la striscia positiva più lunga in NBA, alle spalle dei Milwaukee Bucks (a quota 17) arriva direttamente dalla Grande Mela, dove i New York Knicks sembrano aver definitivamente trovato la quadratura del cerchio e oggi possono permettersi anche di sognare in grande.

Merito di Tom Thibodeau, coach storicamente criticato per gestione delle rotazioni, minutaggio concesso alle sue star e per la rigidità nelle bocciature con giocatori coi quali non scatta l'immediato feeling, ma che con i giusti agonisti a disposizione si è sempre dimostrato in grado di creare la giusta chimica ottenendo spesso risultati ben superiori rispetto ai semplici valori tecnici dei suoi roster.

Con alcuni correttivi operati via trade (lo scambio tra Josh Hart e Cam Reddish l'ultimo in ordine di tempo) e altri prettamente interni, come la scelta di passare a una rotazione di 8/9 giocatori identificando un core ben definito di titolari e riserve, l'ex allenatore dei Chicago Bulls ha compattato la squadra e di conseguenza l'ambiente, che come ogni anno alle prime settimane non all'altezza aveva iniziato a rumoreggiare.

Il risultato è sotto l'occhio di tutti: i Knicks al momento hanno il settimo net rating della lega (la differenza tra rendimento offensivo e difensivo), e dopo la deadline hanno aumentato e di molto i giri in difesa, trasformandosi in una squadra rocciosa a cui va riconosciuta un'incredibile capacità di far giocare male gli avversari, spesso ricorrendo anche a un gioco oltremodo fisico.

Le stelle al centro del villaggio

L'altro grande fattore dei nuovi Knicks si chiama Jalen Brunson: arrivato da free-agent dopo l'addio ai Mavs, che non hanno pareggiato il quadriennale da 110 milioni offerto dal front-office di New York tra lo scetticismo di tanti addetti ai lavori, la point-guard mancina ha abbracciato da subito il ruolo di leader offensivo della squadra (23.8 punti contro i 16 di un anno fa in Texas, ai quali aggiunge 6.2 assist e il 41% da tre) offrendo una validissima spalla a quel Julius Randle che negli ultimi due anni è stato sì croce e delizia dei tifosi, ma che era obiettivamente diventato per le difese avversario un bersaglio fin troppo facile da arginare in assenza di ulteriori valvole di sfogo.

È così che l'attacco di New York è passato dall'essere il 22esimo per offensive rating (punti segnati su 100 possessi) al quarto della lega (117.1 punti), pur mantenendo in pieno "stile-Thibodeau" un ritmo compassato – 27esimo pace in NBA – e non colpendo certo nell'occhio per fluidità e giocate spettacolari.

Anzi, è proprio affidandosi ciecamente ai suoi due migliori giocatori che Thibo ha costruito un attacco che dai loro isolamenti e tre giocatori funzionali da contorno ha trovato il suo punto d'arrivo. Dopo Dallas e Philadelphia (Luka Doncic, Kyrie Irving, Joel Embiid e James Harden bastano come motivazione?), New York è la terza squadra in NBA per numero di isolamenti giocati, con il duo Brunson-Randle a dividersi i possessi e la loro gravity a liberare spazio per i compagni (New York è ottava per triple tentate a partita).

Il supporting-cast più funzionale

Tra gli altri segreti di quest'anno c'è la second-unit guidata da Immanuel Quickley, giocatore che pur non brillando per ordine in campo garantisce energia e punti veloci in uscita dalla panchina e che nelle vesti di leader del secondo quintetto sembra aver trovato il suo ruolo più congeniale alle sue caratteristiche. E quel Josh Hart arrivato fin troppo in sordina nelle ultime ore di trade deadline, prendendo il posto di un Cam Reddish bocciato e mai usato con continuità, e subito entrato nel cuore dei tifosi con le sue giocate fisiche, la sua aggressività a rimbalzo e e i 12.9 punti di media finora costruiti grazie anche al 60% da tre nelle 7 gare giocate in uscita dalla panchina.

Nomi non di spicco, ma tremendamente funzionali e che assieme a RJ Barrett (terzo miglior marcatore della squadra), Quentin Grimes e Mitchell Robinson costituiscono i fedelissimi di Thibodeau, che nella loro compattezza ha trovato il mix giusto per fare grande New York partendo dai suoi pretoriani.

L'obiettivo è attirare una superstar

Sia chiaro: alla lunga i limiti tecnici e di talento della squadra emergeranno e oggi, soprattutto guardando le corazzate di nome Bucks, Celtics e 76ers, il gap sembra ancora enorme. Non è però nella competitività di questa stagione in ottica anello che va valutato il progetto dei Knicks, che al momento hanno un slot da "max player" occupato dagli ingombranti contratti di Evan Fournier (18 milioni) e Derrick Rose (15 milioni il prossimo anno, opzione a suo favore) e che aspetta di essere riempito con quello che può essere il tassello mancante.

Nelle ultime ore della deadline è stato fatto un tentativo per Zach LaVine, giocatore dal talento purissimo che sembra aver interrotto la sua crescita a Chicago, segno di una volontà evidente di voler aggiungere il tassello che manca. Pur non essendo convinti che sia il nome giusto, la direzione della franchigia sembra chiara. Oggi, i Knicks stanno creando la base culturale vincente per attirare finalmente una grande star e provare a fare un ulteriore passo in avanti. È solo questione di tempo, ma la strada è quella giusta.

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