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Ben Simmons non vuole più giocare con i Philadelphia 76ers: una storia finita male

Dopo l’ennesima bruciante eliminazione in post-season e i soliti, ciclici problemi emersi nella gestione tecnica di un giocatore perennemente in primo piano più per i difetti che per i pregi, Ben Simmons ha deciso: non parteciperà nemmeno al training camp dei 76ers e ha chiesto di essere scambiato quanto prima.
A cura di Luca Mazzella
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Il capolavoro – eufemisticamente parlando – è servito. 7 giugno 2020 termina gara 7 della semifinale di Eastern Conference tra Atlanta Hawks e Philadelphia 76ers. I quotatissimi uomini di Doc Rivers, dopo una regular season che tanto bene aveva fatto sperare per il cammino ai Playoffs, cedono davanti al proprio pubblico contro una squadra partita con ben altre ambizioni e trovatasi dinanzi a un roster impaurito, tornato improvvisamente disfunzionale e dilaniato dall’interno dal solito enorme equivoco tattico di nome Ben Simmons. Una gestione in campo, quella della point-guard australiana, che se possibile è stata comunque migliore di come invece è stata gestita la vicenda lontano dal parquet, con il coach della squadra Doc Rivers e la stella Joel Embiid che nei minuti immediatamente successivi a gara 7 non persero occasione di criticare il 25enne ignorando tutti quelli che sarebbero poi stati i risvolti in ottica mercato di quelle pesanti dichiarazioni.

Perché se è vero che un giocatore come Simmons sia ancora oggi, nonostante lo status affermato di star NBA (3 volte All-Star), difensore d’élite (sempre in corsa per il premio di DPOY), giocatore dall’invidiabile visione di gioco (viaggia quasi in tripla doppia di media in carriera (15.9, 8.1 rimbalzi e 7.7 assist in 275 partite giocate in carriera) un rebus irrisolto in determinate situazioni di gioco (basti pensare al 34% con cui ha tirato i liberi in post-season) a causa di un tiro mai realmente allenato e ormai condizionato da troppi dubbi e insicurezze, dall’altra parte un giocatore esteso pochi mesi fa e ancora titolare di 33, 35, 38 e 40 milioni di dollari di contratto per le prossime 4 stagioni non andava svalutato e bistrattato al punto da mettere tutti i team NBA nella condizione di attendere la svendita di un potenziale uomo-franchigia.

Ma Ben Simmons è davvero un uomo franchigia?

Il problema è il limite del giocatore o un suo errato utilizzo in campo? Messo nelle giuste condizioni tecniche (il più volte paventato utilizzo offensivo in stile-Draymond Green di Golden State) Simmons può ulteriormente migliorare e avere un ruolo non più macchiato da una lacuna evidente come quella del tiro in un attacco di una contender? La risposta è si, ma allo stesso tempo tutto questo non può avvenire, per questioni di spacing, nella stessa squadra di Joel Embiid. Non nel basket odierno, non col il centro più dominante della lega, ma altrove.

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Questo apre quindi uno scenario interessante sulle prospettive di mercato dell’australiano. C’è chi parla dei Rockets (in cambio di John Wall), c’è chi continua a menzionare Golden State, chi pensa ai Kings come sponda di una trade a più squadre e pronti a ricevere Simmons per fare uno step decisivo nella crescita di un roster da troppi anni nella mediocrità, c’è chi associa il caos generato a Philadelphia all’insoddisfazione di Damian Lillard in quel di Portland, ipotizzando uno scambio tra le due squadre.

Di certo c’è che a meno di una settimana dall’inizio del media-day e della pre-season di Philadelphia, Ben ha già fatto sapere di non essere minimamente intenzionato a giocare per la squadra di Embiid e Rivers, seccato dalle polemiche e desideroso di cambiare aria. E ogni tentativo di correggere il tiro della dirigenza dei 76ers si è dimostrato finora un mezzo fallimento, vista la tensione esistente e ormai irreparabile. Se anche il GM Morey si convincesse a cedere il giocatore, auspicio in realtà di tutti viste le parole di allenatore e uomo-franchigia, il trattamento post-eliminazione ha comunque ridotto il suo valore al punto da non avere reali pretendenti pronte a sacrificare preziosi assets per una star già messa alla porta. E a nulla servono le minacce di pesanti sanzioni da parte di Phila (si parla di 227.000 dollari al giorno), dal momento che alla lunga il timore di dilapidare fino ad azzerare del tutto il valore di Simmons porterà, molto probabilmente, la dirigenza a cedere e ad accontentarsi di noccioline pur di liberarsi di un problema. Che con un po’ di intelligenza, potevano mascherare nel migliore dei modi.

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