
La grande apocalisse culturale. Rita De Crescenzo a Belve tale doveva essere per alcuni. L'evento che avrebbe dovuto far crollare il servizio pubblico, scatenare l'ira degli dei e distruggere le fondamenta della televisione italiana. E invece? Una donna che ha raccontato la sua storia. Punto.
Marco Rizzo che tuonava contro la "vergogna per la Rai". Gli intellettuali che storcevano il naso. I salotti buoni che preannunciavano il tracollo della cultura televisiva. E tutto per cosa? Per un'intervista che, alla fine, è stata esattamente quello che doveva essere: il racconto di una vita difficile, di un riscatto personale, di contraddizioni umane.
Una storia che scandalizza solo Napoli
Il punto vero è un altro: solo a Napoli ci si pone il problema Rita De Crescenzo. Solo a Napoli questa storia diventa un caso nazionale, un affronto, una questione di dignità cittadina. Il resto d'Italia? Se ne frega bellamente. Guarda l'intervista, si fa un'idea, passa oltre. Ma no, noi napoletani dobbiamo per forza trasformare tutto in una battaglia ideologica, in uno scontro tra chi difende "la Napoli per bene" e chi rappresenta "la Napoli che ci fa vergognare". È lo specchio deforme, scrive bene Ciro Pellegrino. Ma non è un po' provinciale tuto quello che è successo attorno al nome della De Crescenzo? Pretendere che c'è chi può e chi non può raccontarsi in televisione?
Cosa è emerso davvero
Rita De Crescenzo ha raccontato un'infanzia devastante. Una madre con disturbi mentali, un padre malato, una gravidanza a 13 anni. Trent'anni di droga e psicofarmaci. Una violenza subita alla stazione centrale che è diventata, nelle sue parole, paradossalmente "una liberazione" perché l'ha spinta a smettere con la droga. Sette anni pulita.
Ha parlato del processo in cui è coinvolta, dichiarandosi estranea. Ha raccontato del rapporto con i figli, di come oggi stia cercando di ricostruire quello che la droga ha distrutto. Ha ammesso di non sapere nemmeno quanto guadagna. Ha confessato di sognare un film con Christian De Sica. Rita De Crescenzo è stata umana. Contraddittoria. A tratti ingenua, a tratti lucida. Esattamente come dovrebbe essere un'intervista a Belve: senza filtri, senza copioni, senza la patina finta della retorica televisiva tradizionale.
L'ipocrisia di chi l'ha attaccata
Ma naturalmente, per chi aveva già deciso che Rita De Crescenzo fosse "indegna" del servizio pubblico, niente di tutto questo conta. Perché il problema non è mai stato quello che avrebbe detto o fatto. Il problema era lei. La sua origine. Il suo percorso. Il fatto che rappresenti un'Italia che fa paura. Un'Italia indisposta a farsi incasellare in una narrazione comoda.
Chi l'ha attaccata prima dell'intervista voleva semplicemente negarle il diritto di esistere mediaticamente. Voleva decidere che certi personaggi devono restare confinati su TikTok, che non possono varcare la soglia della "televisione seria", che non meritano la dignità di un'intervista. E tutto questo mentre Belve ha sempre intervistato personaggi controversi, discussi, con passati complicati. Ma quelli andavano bene. Rita no. Perché Rita viene dalla strada sbagliata, parla la lingua sbagliata, rappresenta il ceto sbagliato.
Il provincialismo napoletano
La verità è che questa polemica è stata una pippa tutta napoletana. Un'autocelebrazione della nostra capacità di scandalizzarci per cose che, fuori dai confini cittadini, interessano relativamente. Solo noi riusciamo a trasformare la presenza di una tiktoker in televisione in un dibattito sulla dignità cittadina. Solo noi ci dividiamo tra chi difende "la nostra immagine" e chi vorrebbe nascondere sotto il tappeto tutto ciò che non corrisponde all'idea oleografica di una città perfetta.
Ma Napoli non è perfetta. Napoli è contraddittoria, barocca, eccessiva. È Totò e la camorra, è Maradona e i bassi, è il teatro San Carlo e i vicoli dove si spaccia. E Rita De Crescenzo è parte di questa città tanto quanto lo sono i professori universitari. Rita De Crescenzo è andata a Belve, ha raccontato la sua storia, ha mostrato le sue contraddizioni. Nessuna apocalisse. Nessun crollo culturale. Solo un'intervista che ha fatto esattamente quello che doveva fare.
E mentre noi napoletani continuiamo a litigare su chi ci rappresenta meglio, il resto d'Italia ha già cambiato canale. Perché, alla fine, l'unico vero problema di Rita De Crescenzo siamo noi. Noi che pretendiamo di decidere chi merita dignità e chi no. Noi che trasformiamo ogni cosa in una battaglia identitaria. Noi che, invece di guardare la sostanza, ci fermiamo alla forma. Rita De Crescenzo ha fatto la sua parte. Ha raccontato una storia vera, difficile, umana. Il resto è solo rumore. Rumore napoletano, per la precisione.