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Ci vuole un fiore, Francesco Gabbani: “Mai strumentalizzato l’ambiente per vendere dischi”

Il cantautore sbarca in Tv con uno show in prima serata, “Ci vuole un fiore”. Esito prevedibile per un musicista che dopo i successi a Sanremo e l’Eurovision ha “fatto pace” con la sua identità pop, come racconta in questa intervista a Fanpage.
A cura di Andrea Parrella
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Francesco Gabbani e la televisione, binomio che in tanti vedevano come un passaggio quasi scontato nel processo evolutivo di un artista che, negli ultimi anni ha coniugato una sapiente scrittura musicale con una presenza scenica facilmente appaltabile alla Tv. Il suo debutto avverrà venerdì 8 aprile in "Ci vuole un fiore", in onda in prima serata su Rai1, condotto insieme a Francesca Fialdini. Un "varietà divulgativo", così lo definisce in un'intervista a Fanpage.it, raccontando i tratti di uno show che avrà al centro i temi dell'ambiente e della transizione ecologica.

Uno show che è un'impresa. Di ambiente si parla molto di più da due anni, ma il tema continua a fare fatica a penetrare nel nostro sistema di pensiero. 

L'idea è coniugare leggerezza e concetti di base profondi, impegnativi, seri. Sono un largo sostenitore del principio secondo cui tutto passi dall'ironia. Abbiamo combinato la presenza di ospiti musicali e di intrattenimento noti al grande pubblico (Massimo Ranieri, Ornella Vanoni, Morgan, Tananai, Maccio Capatonda, Elena Sofia Ricci, Gilberto Gil etc., ndr), per fare affacciare su un tema complesso anche chi fa ancora fatica. Allo stesso tempo ci saranno personalità di caratura scientifica e spessore tecnico, da Cottarelli a Piero Angela, il premio Nobel per la fisica Parisi. Proveremo a parlare in modo più appetibile di concetti che stanno alla base di come dovrebbe essere il nostro nuovo vivere.

L'idea di un programma balenava nella tua testa?

Direi di no, non ho particolari velleità di fare il conduttore. Ho accettato, oltre che per questa piccola sfida personale, per un tema in cui sono naturalmente coinvolto. Nasco in un contesto molto verde e naturale, quindi si tratta di un'inclinazione e attitudine personale che ho conservato: oggi di base continuo a vivere nelle colline di Carrara.

È vero anche che per alcuni personaggi della musica molto estroversi la Tv appare quasi come la consacrazione definitiva. 

Sento di avere qualche caratteristica comunicativa pop che si armonizza al linguaggio televisivo, non era il mio scopo principale condurre ma non si sa mai. Mi sta divertendo, ma tra l'altro sarò un conduttore allargato, essendo affiancato da Francesca Fialdini che è una conduttrice di mestiere.

Solo tre anni fa un "varietà divulgativo" sull'ambiente in prima serata su Rai1 sarebbe stato impensabile. Come lo renderete fruibile?

L'intento è metterci la faccia su un tema importante. Chiaramente non offriremo soluzioni repentine, l'idea è quella di riuscire a convincere le persone a prendere consapevolezza di questo tema e cambiare leggermente le proprie abitudini quotidiane. Vogliamo andare dritti su una leva emotiva.

Il problema comunicativo, se vogliamo, risiede anche nella sensazione comune che il cambiamento non debba partire da noi.

Questa è un'evoluzione che deve compiere tutta la filiera industriale, non possiamo farla da soli, ma le nostre azioni quotidiane possono contribuire a questo cambiamento sistemico.

Il vostro show testimonia che la sensibilità comune è cambiata negli ultimi due anni. L'incidenza di questi temi pensi stia influenzando anche la tua musica?

Non credo, la musica che faccio è lo specchio della mia evoluzione personale e devo dire che negli ultimi due anni non ho subito un cambiamento così significativo. Compongo in modo molto sincero e genuino e posso essere orgoglioso di non strumentalizza mai temi come questo del green per cavalcare un'onda.

Ovvero?

Per esempio nel mio prossimo disco ( “Volevamo solo essere felici” uscirà il 22 aprile, ndr) non ci canzoni dichiaratamente green, scritte a tavolino, però in automatico dentro si troveranno ragionamenti rispetto al rapporto con la natura che fanno parte di me.

Per assurdo, se non fosse accaduto tutto quel che c'è stato negli ultimi due anni, il tuo disco sarebbe stato identico?

Probabilmente no, la pandemia e il lockdown non hanno cambiato me radicalmente ma hanno inevitabilmente influenzato quello che ho scritto.

In che modo?

Il lavoro precedente, Viceversa, affrontava il processo di comprensione di me stesso attraverso il mettermi in relazione agli altri, a come venissi visto. Questo nuovo disco fa un'analisi che forse è più autoriferita, ma è stato inevitabile proprio perché questo biennio di pandemia ci ha costretti a guardarci dentro, osservarci da angolazioni che prima, coinvolti dal rapporto con gli altri e la condivisione, non vedevamo.

La linea intimista è da sempre visibile nella tua scrittura, però al contempo tu sei anche l'artista ultra pop che ha vinto Sanremo ed è andato all'Eurovision. Come hai vissuto questa sorta di dissidio?

Inizialmente faticavo ad accettarlo. Dopo il successo di Occidentali's Karma a Sanremo, per esempio, quasi mi infastidiva che quel lavoro fosse apprezzato prevalentemente per l'aspetto ludico, come se non si capisse il significato più profondo della canzone. Poi questa cosa l'ho metabolizzata e accettata, perché in fondo è in linea con la mia naturale espressione pop che si presta a più livelli di lettura. Mi sta bene così, fa parte della mia natura e ci ho fatto pace.

Hai fatto il il tuo Eurovision a Kiev. Che effetto fa pensare che quella città, come altre, è al centro di una vicenda che sembra opposta ai valori di quell'evento?

Riuscire a descrivere la situazione di smarrimento che questo evento ha scaturito in me è complicatissimo. Io ho visto Kiev per la prima volta proprio nel 2017, trovandomi davanti una città inaspettatamente solare, inclusiva, anche al di là della dimensione Eurovision. Questo legame personale al luogo mi ha lasciato ancora più sconcertato.

Appartieni a una generazione che ha conosciuto la guerra come lontana, fuori dalla storia. Come hai reagito a questo shock?

Oltre la condanna quasi scontata del male che si sta producendo, a caratterizzare la mia reazione è stata l'idea di inconcepibilità della guerra. Siamo spettatori di un'idiozia umana che, uscendo dall'analisi geopolitica e con un paragone forse azzardato, a me pare similare a quello che lancia la bottiglia di plastica o la carta dal finestrino. Non ha senso.

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