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Simone Grazioso: “A Masterchef antipatico, mai usata la tattica del pianto. Normale non gioire per la vittoria di Anna”

Simone Grazioso ripercorre la sua esperienza a Masterchef con Fanpage.it. Dalla fama di concorrente “antipatico” alla scelta di non esporsi con racconti personali: “Ritengo che la carta del pianto, del far commuovere come strategia, non faccia per me”. E sulla reazione dopo la vittoria di Anna Zhang: “Ero lì per vincere”.
A cura di Sara Leombruno
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Simone Grazioso, finalista dell’ultima edizione di MasterChef Italia, torna a raccontarsi a Fanpage.it dopo un anno dalla fine di quell'esperienza. Sicuro di sé, puntiglioso e a tratti un po' burbero, è stato spesso percepito come “l’antipatico” della Masterclass, ma ha saputo distinguersi con piatti creativi e una personalità fuori dal comune. Dall’esperienza nel cooking-show di Sky alla sua "culinary boutique" ad Alba, fino alla carriera da food content creator, lo chef piemontese racconta le strategie del programma, come ha gestito le etichette sui social e il suo futuro professionale, ancora tutto da scrivere, senza abbandonare il sogno di tornare in TV.

Qual è il tuo ricordo più bello legato al programma?

Penso che sia stato il mio ingresso nella finale, vedere la postazione con il mio nome è stata un'emozione intensa.

Spesso hai cercato di dare ai tuoi piatti un’impronta territoriale, le Langhe erano la tua ispirazione principale.

Sì, cercavo sempre di inserire qualche ingrediente o preparazione che richiamasse la tradizione del mio territorio. Anche se, personalmente, apprezzo di più una cucina innovativa, in cui si intrecciano stili diversi, dalla fusion alle influenze internazionali.

Dopo Masterchef, hai continuato su questa linea?

Assolutamente sì. Ho aperto un punto sushi take away, con un concept che unisce il sushi tradizionale a piatti più creativi, usando ingredienti piemontesi e internazionali. Il Pata negra Roll, il Mexican Roll, il Milano Roll, sono esempi di come mixo sapori italiani e del mondo.

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L'hai definita una "culinary boutique". Ci spieghi perché?

Oltre al sushi, offro gastronomia e menù d’asporto. È una cucina moderna e raffinata, l’idea è differenziarsi dai ristoranti tradizionali, puntando sulla qualità delle materie prime.

Lo ritieni un sogno realizzato?

Questo locale è solo un punto di partenza. Sto valutando se trasformarlo in un ristorante con posti a sedere o aggiungere un’esperienza più creativa per pochi ospiti. L’obiettivo è ampliare il progetto mantenendo alta la qualità degli ingredienti.

Nel momento in cui Anna Zhang è stata annunciata vincitrice, la tua espressione sembrava un po' contrariata. Perché?

Sui social le persone interpretano sempre tutto a modo loro. È normale che io non fossi completamente felice, ero lì per vincere, non solo per partecipare. Ma ero comunque contento di aver portato un menù tradizionale e innovativo in una finale di Masterchef, sono fiero di rappresentare le Langhe. Una parte di me era dispiaciuta, certo, ma fa parte del gioco.

E il rapporto con i giudici? Come hai gestito la pressione?

All’inizio è normale sentirsi sotto esame, ma con il tempo impari a conoscerli. Lo chef Cannavacciuolo, ad esempio, è molto esigente, ma questo ti spingeva a dare sempre il massimo. Locatelli e Barbieri sono stati altrettanto stimolanti, erano sempre pronti a incoraggiarmi.

Hai imparato qualcosa che ti è utile ancora oggi?

Sì, Masterchef è una sorta di scuola indiretta: osservi errori e tecniche degli altri e le memorizzi. È un’esperienza che ti resta impressa.

La sensazione è che lo scorso anno tu sia stato percepito come l'“antipatico” della Masterclass. L'hai notato anche tu?

Penso che, come in ogni programma televisivo, il montaggio debba catturare l’attenzione dello spettatore. È possibile che il montaggio, in alcune situazioni, abbia fatto sembrare il mio atteggiamento antipatico, è una cosa che ho notato anch'io. Mi è dispiaciuto, ma io sono sempre stato me stesso, non ho mai voluto creare un personaggio o usare una storia strappa lacrime per emergere. Né mi interessava creare amicizie in quel contesto, volevo che il pubblico mi ricordasse solo per i piatti che preparavo.

Alcuni concorrenti, però, scelgono di esporsi anche sul piano privato. Credi che questo giovi in quel contesto?

Personalmente, ritengo che la carta del pianto, del far commuovere come strategia, non faccia per me. Se in qualche rara occasione ho parlato di mia moglie o mia figlia, è stato più per cercare di avvicinarmi ai giudici, ma non ho mai seguito un piano.

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Qual è stato il momento più difficile?

L’inizio, adattarsi alle telecamere e alla presenza dei giudici. È stato impegnativo, ma sotto pressione rendevo meglio. Bisogna essere pronti a tutto, anche al rischio di un piccolo errore che ti può eliminare.

Hai ricevuto offerte di lavoro da ristoranti?

Sì, è successo, ma ho preferito partire con un mio progetto gestibile e crescere passo dopo passo. L’obiettivo è ampliare il mio locale, in questa fase della mia vita non penso a lavorare per qualcun altro.

E nel frattempo lavori anche come food content creator.

Propongo piatti semplici ma curati, studiando i trend internazionali, senza snaturare la mia cucina. I social servono a farsi conoscere, ma non sostituiscono il lavoro reale in cucina. Personalmente, non ho guadagnato un centesimo sotto questo punto di vista.

Ti rivedi in televisione in futuro?

Sì, assolutamente. Vorrei continuare con qualche programma attinente al mondo della cucina, ma sono aperto anche a reality o altre esperienze.

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