Renzo Arbore e i 60 anni di Bandera Gialla: “Prima c’erano solo annunciatori, dopo noi la radio non fu più la stessa”

Ricorrono oggi i 60 anni di "Bandiera Gialla", lo storico programma radiofonico di Gianni Boncompagni e Renzo Arbore, andato in onda in radio per la prima volta 16 ottobre del 1965. Un'esperienza radiofonica pionieristica, che ha segnato un momento fondamentale per la storia della radio italiana che ha contribuito a svecchiare in modo considerevole, in un tempo in cui il mezzo veniva spazzato via dall'avvento della televisione. L'anniversario di Bandiera Gialla, che verrà raccontato anche su Radio2 con una puntata speciale di Social Club il 17 ottobre alle 10:30 su Rai Radio2 e lunedì 20 ottobre su Rai2 a partire dalle 8:40, ce lo celebra direttamente Arbore in persona in questa intervista.
Sono passati "solo" 60 anni da quell'esperimento. Cosa ha cambiato Bandiera Gialla?
Bandiera Gialla è stata una vera rivoluzione della radiofonia, prima la radio era fatta da annunciatori e annunciatrici o attori per qualche commedia radiofonica. Tutto era scritto e vidimato dai dirigenti della Rai, non c'erano radio private, quindi quando siamo arrivati noi con Bandier Gialla abbiamo cambiato tutto. Boncompagni è stato il primo a parlare con la sua voce da aretino in radio e subito dopo sono arrivato io a parlare in apulo-napoletano.
Come mai fu una rivoluzione?
Perché la radio, superata dalla televisione, pareva solo appannaggio dei vecchi. Siamo stati una cerniera generazionale e da quando abbiamo iniziato a fare radio noi, lo strumento è diventato beniamino dei giovani. E così è rimasta fino ad oggi, nessuno ci avrebbe scommesso allor, un tempo in cui la radio era totalmente soggiogata dalle immagini.
Poi voi quello stile lo avete portato in Tv negli anni successivi.
Sì ma tutto è partito da lì, perché abbiamo inventato il periodo beat, che non va confuso con gli anni Sessanta di Gianni Minà, che prevedeva anche Morandi, Rita Pavone, artisti un po' più convenzionali. Da noi solo Patty Pravo, Mal, The Primitives. Accoglievamo tutta la filosofia beat, che avevamo noi e qualche giornale nato in quegli anni, tutto destinato ai teenagers, che al tempo di fatto non esistevano e che scoprimmo noi. Il sottotitolo era chiaro: a tutti i maggiori di anni 18, questo programma è rigorosamente riservato ai giovanissimi dagli 11 ai 18.
Hai nominato il Piper, non posso non fare una menzione del mitologico Alberico Crocetta, il fondatore, figura mitologica che ha partecipato alla vostra avventura.
Moltissimo, il Piper per noi era il tempio e lì incontrammo Nicoletta Strambelli, che all'inizio aveva un altro nome d'arte. Alberico inventò quel soprannome che poi è entrato nella storia. Ma Bandiera Gialla era una conventicola di personaggi straordinari, solo nel pubblico c'erano personaggi come Roberto D'Agostino, Dario Salvatori, Loredana Bertè, Renato Zero, Clemente Mimum, Barbara Palombelli, Mita Medici. Venivano ogni sabato ad applaudire i dischi.
Siete stati profeti dei capelloni e delle minigonne. Cosa significava essere beat?
Difficile racchiuderlo in una descrizione, ma posso dire che la cosa ebbe enorme risonanza e diede vita a grandi aneddoti. Una volta me ne fu raccontato uno, manco a dirlo da Napoli. Un ragazzo in moto fu fermato da un vigile che gli chiese la patente. "Non la tengo – rispose – io so' beat".
Sarebbe bello potere ascoltare quelle puntate di Bandiera Gialla.
Purtroppo non è possibile perché allora non conservammo i nastri e non si facevano registrazioni, per questo sarebbe una formula ancora validissima, perché era il pubblico ad ascoltare i dischi e decidere quelli che sarebbero diventati successi. Adesso con le playlist è stato ammazzato anche il ruolo dei selezionatori.