Mirko Setaro dei Trettré: “Ci siamo sciolti perché non ci divertivamo più. Berlusconi mi telefonava la mattina presto”

È stato il 33,3% di un trio che ha fatto la storia della tv, ma anche la sua carriera in proprio non è passata inosservata, avendo firmato decine di trasmissioni entrate nell’immaginario collettivo. Mirko Setaro non è stato solo “quello dei Trettré”, ma anche un autore di primissimo livello in programmi comici e di intrattenimento.
“La commedia e il teatro mi hanno sempre affascinato”, confessa Setaro a Fanpage.it. “Da ragazzo conoscevo a memoria i testi di Eduardo e mi esibivo su richiesta degli astanti. Ero bravo pure nel raccontare le barzellette, mi piaceva intrattenere. Al liceo la gente mi aspettava nei bagni per ascoltarle. Pur essendo un timidone, quell’attenzione mi divertiva”.
Concepito e cresciuto a Napoli, Setaro risulta però nato a Firenze: “Abitavamo a Fiesole, in una casa sulle colline, ma dopo tre anni riscendemmo al sud. Di quel periodo non ricordo nulla, la Toscana imparai a conoscerla dopo, per lavoro e per turismo”.
I primi passi nel mondo dello spettacolo avvennero, a sorpresa, al fianco di Beppe Vessicchio: “Cominciai con lui nel mondo della musica. Incidemmo un disco, ‘Odore di capra’, che era tutt’altro che leggero. Voleva essere intimista, sulla scia del cantautorato vecchia scuola”.
Il cabaret come arrivò?
Entrai a far parte de I Rottambuli, per gioco. Oltre a me e Beppe, il gruppo era formato da Edoardo Romano e Amalia Vetromile. Mettevamo su spettacolini per noi stessi, fino a quando più persone ci invitarono ad andarli a proporre in giro. E così iniziammo a farci conoscere per Napoli.
Come avvenne l’evoluzione nei Trettré?
Vessicchio giustamente decise di seguire la strada della musica e anche Amalia si allontanò. A quel punto rientrò Gino Cogliandro, che se ne era andato prima che io arrivassi. Rimanemmo in tre e optammo per il cambio di nome. L’idea dei Trettré non fu nostra, ma di Marcello Casco, un autore con cui scrivemmo il nostro primissimo spettacolo.
Nel 1983 approdaste al “Drive In”. Leggenda narra che a volervi esplicitamente fu Silvio Berlusconi.
È vero. Ci aveva visto e gli eravamo piaciuti. Il cast era quasi definito e lui insistette affinché venissimo inseriti. Al contempo, un grande contributo lo diede il regista Giancarlo Nicotra, che avevo conosciuto a ‘Chewing Gum’ e con il quale avevo un rapporto strettissimo. Facemmo un provino di un’ora e un quarto, in uno studio con telecamera fissa.
Il successo fu immediato e clamoroso.
I nostri sketch prendevano spunto dalla realtà e dalla vita quotidiana. Entrammo in questa squadra ricca di personaggi senza che fossimo la quota fissa del programma. Di settimana in settimana eravamo chiamati a conquistarci la presenza nella puntata successiva. Ogni tre episodi ci rinnovavano il contratto e andammo avanti in questo modo per tutta la prima edizione. Poi, fortunatamente, ci stabilizzarono.
“A me, me pare na strunzata” divenne il vostro brand. Come nacque?
Nacque dalla voglia di dissacrare anche le situazioni più ufficiali. Non fu facile farla accettare, perché sembrava un’uscita eccessiva per il linguaggio dell’epoca. Oggi in tv si dice di tutto e di più, ma quarant’anni fa esisteva una linea che non consentiva di andare oltre. Ma noi insistemmo e alla fine riuscimmo a spuntarla.
In effetti è una chiusa perfetta.
Esattamente. Era una battuta inserita in un contesto non grave, ma greve. Si trasformò in un tormentone e non immagini quanta gente la citasse. Una volta ero in treno e un signore mi si avvicinò: ‘Per colpa sua stavo per perdere il posto di lavoro’.
Cos’era successo?
Era in riunione col responsabile del marketing. Al termine di una lunga spiegazione del piano strategico dell’azienda gli venne chiesto cosa ne pensasse e se ne uscì con ‘a me, me pare na strunzata!’. Incredibile. Ma nonostante ciò, non ho mai ritenuto la nostra una comicità volgare. Non abbiamo mai detto parolacce. ‘Merda’, ‘cazzo’ le trovo spesso uscite gratuite, non mi divertono. Ritengo che per far ridere esistano altri meccanismi.
Chi prendeva le decisioni all’interno del trio?
In genere io. Capitava di discutere, ma da parte dei miei colleghi c’era fiducia. Vedevano che le cose che pensavo e scrivevo erano azzeccate. Su diverse idee c’era spesso il contributo di Gino, mentre Edoardo era quello meno produttivo da quel punto di vista. In ogni caso, il 90% di ciò che si creava era mio. Curavo la regia, i testi, i toni. Qualche volta si generava qualche tensione, lo riconosco. Mi si chiedeva come mai Beppe Recchia si rapportasse principalmente con me. Ma era normale che il rapporto lavorativo con terzi venisse portato avanti così. Sapevano che ero l’autore e istintivamente si rivolgevano a me.
Lavoraste con Paolo Villaggio in ben due occasioni.
Sì, in ‘Un fantastico tragico venerdì’ e in ‘Che piacere averti qui’. Non fu facile. Paolo era un accentratore. Era una persona particolare, intelligente, colta, però a volte eccedeva nel voler dettare le sue regole agli altri, su cose che oltretutto non gli competevano. Si scatenò qualche diatriba, ma assolutamente contenuta e civile. Alla fine capì e tutto sommato ci divertimmo. Col tempo si creò un bel rapporto e capitò di andare di frequente a cena assieme.
Alla fine degli anni ottanta si inventò la sitcom “I-taliani”.
La scrissi con Lorenzo Beccati e furono ottanta episodi complessivi. Un esperimento che nessuno aveva mai fatto, ovvero ottanta storie diverse ed indipendenti. Coi Trettré mettevamo in mostra le manie e i tic degli italiani. Era una comicità che affondava nella tradizione napoletana. In ‘I-taliani’ c’erano farsa e commedia.
Arriviamo al “Tg delle Vacanze”. Pure qui ci fu lo zampino di Berlusconi.
Era maggio del 1991 ed ero andato a riposarmi nella casa al mare. Con noi c’era anche mia suocera che un giorno mi avvisò: ‘Ha telefonato l’amico tuo, Berlusconi’. Pensai: ‘Figurati se è vero. E poi come fa ad avere il numero di quest’abitazione?’. Quando richiamò e andai a rispondere cercai di capire per tutto il tempo se la voce avesse qualcosa di strano e se il timbro mi ricordasse qualche mio amico. Ma più si andava avanti e più capivo che si trattava proprio di lui. Mi spiegò che voleva lanciare una trasmissione con degli inviati, il ‘Tg delle Vacanze’ per l’appunto, e che voleva noi tre alla conduzione. Firmammo un’esclusiva di tre anni e a giugno eravamo in onda.
Insomma, era pazzo di voi.
Con lui ho sempre avuto un ottimo rapporto. Accadeva spesso che mi telefonasse al mattino presto. A ‘Tg delle Vacanze’ iniziato, mi chiamò per chiedermi chi fosse quel pazzo che scendeva dalle montagne. Gli risposi che si chiamava Antonio Albanese e che si sarebbe parlato a lungo di lui.
Ebbe ragione.
Ero sicuro che sarebbe diventato un grande. Lo avevo conosciuto qualche tempo prima in Emilia Romagna. Aveva aperto uno spettacolo prima del nostro ingresso. Lo notai e lo convocai immediatamente per il ‘Tg’.
Al “Tg delle Vacanze” rimaneste tuttavia per una sola stagione.
Eravamo entrati nella squadra di ‘Buona Domenica’ e, di conseguenza, lo mollammo. Ci dicemmo: ‘L’abbiamo fatto una volta e ci siamo tolti lo sfizio, può bastare’. Ero curioso di capire se la nostra comicità funzionasse anche altrove e i miei soci accettarono la scommessa. In fondo, facemmo così pure a ‘Drive In’, che lasciammo per tentare la strada al fianco di Villaggio. E’ importante cambiare.
Ha citato “Buona Domenica”. Un’avventura tanto impegnativa, quanto indimenticabile.
Facemmo tre annate, due con Columbro e Cuccarini e una con Scotti e Carlucci. Si facevano sei ore di diretta e per noi fu una maratona faticosissima, ma estremamente formativa. Avevamo l’opportunità di esprimerci in una maniera che non fosse monocorde. Fu un divertimento unico, soprattutto nel primo biennio. Realizzavamo delle scenette e non si contano gli scherzi che mettemmo in atto.
Quella del 1993-94 fu la vostra ultima edizione.
Notammo che ‘Buona Domenica’ era già in fase calante. Stava cominciando ad inabissarsi.
Compariste in qualche altro programma, ma alla fine degli anni novanta annunciaste lo scioglimento. Perché?
Non litigammo, ma quando un comico non si diverte più, come fa a far ridere chi lo ascolta? E’ una fatica. Qualcuno aveva più voglia, qualcun altro meno. In più, invecchiando i ‘no’ diventano tanti. Ci siamo resi conto da soli che era il caso di lasciare e di abbandonare onorevolmente, senza finire nel cimitero degli elefanti. Nemmeno immagini quante partecipazioni ho rifiutato. L’unica eccezione è stata per un ruolo marginale ne ‘L’amica geniale’ e per una partecipazione rapidissima in un film dei ‘Ditelo Voi’. Mi supplicarono e acconsentii, ma senza la velleità di tornare in pista.
Come autore ha firmato una miriade di trasmissioni.
Ne avrò fatte una quarantina. Ad esempio, ritrovai Gerry a ‘Forza Papà’ e lavorai a ‘Beato tra le donne’ nella stagione con la Estrada e Brignano. Per Enrico ho scritto un bel po’ di robe, come lo spettacolo ‘Brignano con la O’, sempre per Canale 5. Feci inoltre ‘Il grande bluff’ con Luca Barbareschi. Ideai due scherzi che passarono alla storia: quello a ‘Forum’, col travestimento di Loretta Goggi, e quello a ‘Sarabanda’, con Pupo finto concorrente. Realizzarono addirittura uno ‘Speciale Sarabanda’ dove trasmisero per intero quel filmato.
Rivedendoli oggi, spesso ci si domanda come non ci si potesse accorgere di chi si nascondeva sotto ai travestimenti.
Era tutto vero, te lo assicuro. Non se ne accorgevano perché nel bailamme dei programmi televisivi, con trecento persone che andavano e venivano, i conduttori non pensavano allo scherzo. Leggevano la scheda che gli fornivano gli assistenti e si limitavano a presentare l’ospite.
In pochi sanno che anche il “Seven Show” fu opera sua.
Ero ideatore ed autore unico. Il programma ancora oggi viene citato come punto di riferimento. Andava su Italia7 e fu uno show cult per tutto il Lazio. Da lì uscirono Teo Mammucari, Beppe Braida, Alessandro Greco, Ficarra e Picone, Max Giusti, Gabriele Cirilli, Maurizio Battista, Antonio Giuliani. Solo per citarne alcuni.
Non si fece mancare nemmeno “Scherzi a parte”.
Scrivevo gli scherzi e mi occupavo di ciò che avveniva in studio. Arrivai nell’edizione con Marco Columbro e Simona Ventura, che introdusse i gavettoni e le scariche elettriche sulle poltroncine. Rimasi pure con Teo Teocoli, Massimo Boldi e Michelle Hunziker, nel 2002.
Quindi assistette all’infortunio di Boldi.
Quando cadde e si ruppe la spalla ero lì e fui il primo a soccorrerlo. Mi si vede nei video. Purtroppo non venne asciugato il pavimento dopo il lancio dell’acqua e scivolò durante un balletto.
L’ultimo progetto televisivo al quale ha collaborato quale è stato?
’Made in Sud’. Tre edizioni e poi mi sono fermato, come vedi il tre è un numero che mi perseguita. Coordinavo l’intera struttura, oltre a seguire i ‘Ditelo Voi’, Gigi e Ross e Gigi D’Alessio. Attualmente mi diletto nello scrivere delle commedie. Nel 2024 ho lavorato ad ‘Un balcone a tre piazze’, portata in tournée da Biagio Izzo, mentre ora sto completando una sceneggiatura cinematografica. Non si sa ancora a chi sarà destinata. Mi è stato chiesto di buttarla già e qualcuno sembra già interessato. Vedremo.
L’ultima apparizione assoluta dei Trettré risale al 2013.
Al Teatro Cilea di Napoli facemmo una sorta di reunion dopo diciott’anni di silenzio. Poi ricordo una partecipazione a ‘Che tempo che fa’ da Fazio e, di recente, un’apparizione per celebrare i quarant’anni del ‘Drive In’. Ma purtroppo ci presentammo in due. Gino non c’era più.
I Trettré erano anche amici nella vita, oppure appena spenti i riflettori ognuno se ne andava per la sua strada?
Io e Gino lo eravamo, per una questione di affinità elettive. Era una persona di una bontà estrema e pure dopo lo scioglimento del trio restammo in contatto. Con Edoardo, comunque, c’è sempre stato un buon rapporto, ci sentiamo tutt’oggi. Ha ancora aspirazioni artistiche ad 83 anni. Chiunque gli consiglierebbe di stare calmo a quell’età (ride, ndr).
Considera la tv un capitolo chiuso?
Non mi hanno mai cercato per i reality e nemmeno si sono permessi. Non li farei, così come non sarei interessato a fare il giurato in un talent. Lungi da me. Sono una persona moderatamente riservata e ho troppo rispetto per lo spettacolo per parteciparvi. Detto questo, i programmi musicali li guardo. La musica mi ha tanto nel mio lavoro di scrittura. Fu il mio primo amore e non lo dimentico.
Cosa le piace della televisione di oggi?
La tv è l’espressione dei tempi che viviamo, è come vedere il telegiornale. Ultimamente non mi è affatto dispiaciuto ‘Money Road’, una specie di ‘Squid Game’ dal finale sconvolgente. L’ho trovato bellissimo. E’ stato un racconto in un certo senso anche istruttivo. Se ci pensi, la vita è quella roba lì, nel bene e nel male.
Se guarda indietro, cosa vede?
Ho fatto tantissime cose, non mi è mancato niente. Coi Trettré abbiamo regalato al pubblico bei momenti. E’ stata un’avventura che fa parte della mia vita. Mi ha arricchito di esperienze e conoscenze. E, soprattutto, mi sono tanto divertito.