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Massimo Giuliani: “Totti si infuriò per la mia imitazione. Da bambino recitai per il Papa. Per 10 anni voce di Bugs Bunny”

Intervista all’attore e doppiatore romano: “Iniziai da bambino. Potevo diventare calciatore, ma scelsi la recitazione. Sul set de I Ragazzi della 3ª C inventavo e improvvisavo”.
A cura di Massimo Falcioni
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Doppiatore, attore al cinema e in tv, imitatore. Impossibile incasellare la carriera di Massimo Giuliani. Impossibile e riduttivo, dal momento che i suoi primi passi li mosse già a quattro anni ed ancora oggi è convintamente deciso a non fermarsi.

“La mia grande fortuna è stata quella di fare un po’ di tutto, non ho mai avuto momenti di blocco – racconta a Fanpage – gli attori che fanno solo cinema o televisione magari si ritrovano a stare fermi per otto mesi e ad aspettare una nuova chiamata. Io, muovendomi su più fronti, ho sempre trovato il modo di essere impegnato”.

Classe 1951, l’esordio assoluto di Giuliani avvenne in “Suprema Confessione” e la modalità di selezione fu a dir poco rocambolesca: “Franco Rossi, un regista che stava preparando il film ‘Amici per la pelle’ sulle difficoltà adolescenziali, cercava bimbi in tutta Roma e visitò l’accademia di danza sull’Aventino dove studiava mia sorella, che venne scelta per un provino. Mia madre la accompagnò e mi portò con sé. Per tutto il tempo mi aggirai per gli studi e nell’attesa mi misi a giocare con un fucile finto, che pensai di potermi portare a casa. Quando mi chiesero di restituirlo scoppiai a piangere come un disperato”. Per uno scherzo del destino, però, passava di lì Luigi Zampa: “Mi rassicurò e mi disse di non piangere perché in serata me ne avrebbe fatto consegnare uno a casa. E la sera arrivò davvero un autista della Titanus con il regalo. A quel punto, quando si trattò di cercare dei bambini per un lavoro, fu lo stesso Zampa a segnalarmi. Gli ero rimasto impresso”.

Il vero successo arrivò tuttavia il 25 aprile 1958, quando la Rai trasmise “Marcellino pane e vino”. “Interpretavo il protagonista e fu un risultato clamoroso, non potevo camminare per strada. Piacque così tanto che a distanza di un anno facemmo la replica”.

Questo perché, non esistendo i registratori, si andava esclusivamente in diretta.

Esatto. Non c’erano le copie. Ricordo che la replica la realizzammo direttamente dal Teatro Olimpia di Milano, dato che eravamo in tournée con lo spettacolo.

Papa Giovanni XXIII chiese addirittura una recita privata.

Ero a girare dei film all’estero tra la Germania e l’Austria e la produzione chiamò mia madre informandola che ci cercava il Vaticano. Il Pontefice voleva che riproponessimo ‘Marcellino’ per lui e ci organizzarono il volo. Fu molto dolce, parlò con me e mi regalò una medaglia. Custodisco ancora le foto.

Tanti film in giovane età. Al doppiaggio, invece, come si avvicino?

Come ti dicevo, avevo girato dei film di coproduzione italo-tedesca ed erano tutti recitati in lingua straniera. Quindi quando li riadattarono in italiano mi dovetti doppiare. Cominciai così. In seguito Loris Gizzi, che mi aveva conosciuto in ‘Marcellino’, mi organizzò un provino a cui presenziò Carlo Romano. Quest’ultimo mi sentì e mi contattò per doppiare un film.

A 12 anni diede la voce a Semola ne “La spada nella roccia”.

Fu bellissimo. E’ uno di quei pochi casi in cui non è avvenuto il ridoppiaggio. La mia voce resiste. Mi sarebbe dispiaciuto il contrario, anche perché spesso vedo in giro delle nuove versioni di capolavori che hanno perso totalmente fascino e qualità.

Per la recitazione e il doppiaggio mollò quasi subito una possibile carriera da calciatore.

Mi piaceva il pallone. Tentai un provino alla Roma e venni preso di corsa. Ero onestamente bravino, ma dopo sei mesi mi resi conto di non farcela tra allenamenti, partite, scuola e lavoro. Annunciai che avrei mollato e mi guardarono come se fossi pazzo. ‘C’è gente che pagherebbe per stare al tuo posto e tu te ne vai?’, disse qualcuno. Ma volevo fare l’attore, era la mia volontà. Una passione che ancora adesso mi dà la carica.

I suoi genitori come commentarono la decisione?

Mamma e papà erano separati. Mia madre mi disse che la scelta spettava a me. Come attore avevo già collezionato un bel curriculum, con tanti lavori all’attivo, mentre come calciatore avrei dovuto comunque fare la trafila. Una volta cresciuto ebbi la possibilità di giocare con la Nazionale Attori e un giorno incontrai Giacomo Losi. ‘Se ti avessi preso, a 18 anni avresti giocato in Serie A’, mi confidò. Ma chi lo sa se sarebbe successo veramente.

Spesso i bambini prodigio entrano in crisi una volta cresciuti. Non fu il suo caso.

No, non affrontai questa fase che, ammetto, è molto frequente. Ci sono stati bambini che a 17 anni hanno lasciato la carriera da attore e si sono messi a fare tutt’altro.

Nel 1974 approdò in tv al fianco di Gigi Proietti.

’Sabato sera dalle nove alle dieci’ nacque da un’idea di Ugo Gregoretti. Prima di allora non avevo mai fatto robe brillanti e Gigi lo conobbi lì. Avevamo un bellissimo rapporto. Caso ha voluto che condividessimo anche l’ultimo suo lavoro da doppiatore nel film ‘Attraverso i miei occhi’, nel 2019. Lui era la voce narrante ed io lo dirigevo. Ad ogni modo, il programma andò bene e contribuì a farmi avvicinare ad altri progetti di taglio comico.

Infatti arrivarono “Tante scuse”, “Di nuovo tante scuse” e “Noi no” con Raimondo Vianello e Sandra Mondaini.

Li ho venerati ed amati sia dal punto di vista professionale che umano. Erano straordinari. La loro morte fu per me un enorme dolore. Raimondo non pretendeva che facessi solo la sua spalla. Se in prova avevi una battuta divertente, ti spingeva a rifarla in scena. Era questa la sua grandezza, era un generoso, dava spazio agli altri. Due figure clamorose.

Si tende a dire che fossero in privato così come apparivano in pubblico.

Ed era la verità. Ho una serie di ricordi da sentirsi male. L’ultima volta che vidi Vianello eravamo ad un ‘Derby del cuore’. Ci incrociammo nello spogliatoio e ci abbracciammo. ‘Come sta Sandra?’, gli chiesi. ‘Non me ne parlare’, mi rispose sconfortato. Io mi preoccupai: ’Ma perché, sta male?’. ‘No, no, purtroppo sta bene’. Ha sempre proposto questo umorismo nero. Loro due si adoravano, ma portavano sempre avanti un giocoso battibecco.

I divi americani a cui ha prestato la voce si sprecano: Michael Douglas, Tom Hanks, Mel Gibson, Andy Garcia, Christopher Walken, Billy Cristal, solo per citarne alcuni.

Michael Douglas lo doppiai ne ‘Le strade di San Francisco’. Mi piaceva, era una bella serie. Inoltre avevo con me Glauco Onorato, un professionista eccellente. Mi sono divertito pure con Tom Hanks in ‘Niente in comune’ e nei cinque film con Mel Gibson, tra cui ‘Il Bounty’. Ho avuto il privilegio di vivere un’epoca in cui c’era una qualità straordinaria. Nel doppiaggio ho avuto a che fare con Amendola, Cigoli, Barbetti. Erano tempi in cui i doppiatori provenivano dal cinema e dal teatro. Poi, ad un certo periodo sono arrivati i doppiatori puri, ovvero quelli nati, vissuti e morti davanti al leggio. E quelli hanno una qualità differente.

Dall’elenco ho escluso volutamente John Belushi. Per lui serve un capitolo a parte.

Gli diedi la voce nei ‘Blues Brothers’ e successivamente in ‘Chiamami aquila’. Infine, la Fininvest mi richiamò per doppiare una dozzina di sketch del ‘Saturday Night Live’, che mandò in onda dopo la sua morte. Era fenomenale.

Sui “Blues Brothers” però cannò la previsione.

Hai ragione (ride, ndr). Sentenziai che il film non avrebbe incassato una lira. Mi faceva morire dal ridere, ma quando mi chiesero un parere confessai che mi sembrava troppo intelligente. Era geniale, ma il livello mi sembrava troppo elevato per essere compreso dal pubblico. Un veggente!

Non ha mai legato troppo la sua voce ad un singolo attore.

No, ma è una questione che dipende da molti aspetti. Prima parlavamo di Mel Gibson. Lo avevo seguito in cinque lavori e arrivò il turno di ‘Arma letale’. Avrei potuto doppiarlo ancora, ma quel titolo venne assegnato alla cooperativa di Renato Izzo, mentre io ero sotto contratto con un’altra società. Ad esempio, ad Oreste Lionello fu assegnato Belushi nel film ‘Vicini di casa’, che arrivò immediatamente dopo i ‘Blues Brothers’. Senza dimenticare che a volte sono i direttori di doppiaggio a ritenere una voce più adatta di un’altra. E’ legittimo.

In merito al mestiere del doppiatore ha affermato: “Il nostro compito è quello di restituire esattamente ciò che ha fatto l’attore”. Ci si riesce sempre?

In passato i doppiatori non andavano a prevaricare gli attori del film. Adesso in molti hanno il piacere di essere riconosciuti e portano loro stessi. Non va bene, è il personaggio che deve venirti addosso.

Guardando al passato c’è il caso di Ferruccio Amendola, che offrì un timbro a Sylvester Stallone affatto somigliante all’originale.

Ferruccio aveva seguito la linea trovata da Gigi Proietti nel primo ‘Rocky’ e proseguì su quella falsariga. Ma secondo me anche il suo De Niro era magistrale. Indubbiamente ci metteva qualcosa di suo, però il livello era pazzesco.

Nel 1996 diventò la voce ufficiale di Bugs Bunny, mantenendo il ruolo per dieci anni. Ho letto che dovette sostenere ben sette provini.

Confermo. L’occasione si presentò con ‘Space Jam’. La Warner Bros spedì in tutto il mondo dei rappresentanti per sostenere dei casting. Asserivano che i cartoni fossero doppiati male. Volevano che si tenesse conto della versione originale. La logica era questa: immaginare un turista italiano in vacanza a Tokyo che in hotel accende la tv, va in bagno e, sentendo solamente l’audio, riconosce la voce di Bugs Bunny. In poche parole, pretendevano lo stesso stile a livello globale. Oltre a ‘Space Jam’ e ad altri film, ridoppiai tutti i precedenti 800 episodi dei Looney Tunes. Impiegammo tre anni. Interruppi la collaborazione quando mi rifiutai di accettare un violentissimo taglio economico.

Ne “I ragazzi della 3ª C” era il cartolaio Ciro. Un ruolo che le regalò ulteriore popolarità.

E’ stata una serie cult per una certa generazione. Mi contattarono per una puntata zero e alla regia trovai Neri Parenti, che conoscevo ma che non avrebbe diretto la versione ufficiale. Mi inventai una parlata strana, tra l’umbro e il marchigiano, e la trovata piacque. Le sceneggiature erano scritte bene, mi diedero totale libertà. Dicevo frasi non presenti sul copione, inventavo, andavo a braccio e davo delle sberle a Bracconeri, anche quelle improvvisate. Fabrizio mi pregava di smetterla. Io lo rassicuravo, ma appena giravamo lo schiaffo partiva puntualmente. Mi sono domandato spesso quali fossero i motivi del successo di quel prodotto.

Giuliani in un frame de "I ragazzi della III C"
Giuliani in un frame de "I ragazzi della III C"

E li ha trovati?

Il soggetto di Carlo ed Enrico Vanzina era una bomba. Si parlava di una realtà oggettiva. Chi a scuola non ha avuto la ragazza carina, il tipo figo, la bruttina e il professore antipatico? Avevano ricostruito perfettamente quella struttura, in chiave comica.

Ritrovò i Vanzina nelle serie “SPQR” e in “Anni 60”.

E ne fui felice. Entrambe persone capaci e perbene. Carlo era la dimostrazione della serietà. I suoi film erano facili solo in apparenza. Prova a farli…

Nel 1995, invece, fu la volta di “Pazza famiglia” con Enrico Montesano e Paolo Panelli.

Fu meraviglioso. In ‘Sabato sera dalle nove alle dieci’ avevo lavorato con la moglie di Paolo, Bice Valori. Fui contento di incontrare anche lui. Era un personaggio clamoroso. Ma mi trovai molto bene anche con Enrico. Mi avevano messo paura avvertendomi che non sarebbe stato facile condividere il set con lui. Non era affatto vero. Andammo d’accordissimo, mi lasciò tantissimo spazio e costruimmo un ottimo rapporto professionale.

Arriviamo a “Convenscion”, dove portò in scena la parodia di Francesco Totti.

Mi sottoposero la possibilità di imitare Totti. ‘Hai voglia?’, mi domandarono. Chiesi del tempo per pensarci e iniziai a studiare vari filmati. Sostengo sempre che una parodia deve avere un taglio ironico. Mi bastò intercettare quattro-cinque elementi e lavorai su quelli. Tra le altre cose, notai per primo che Totti apriva ogni frase con ‘E’ normale che…’. Fino a quel momento non se n’era accorto nessuno. Lo trovai divertente e mi lanciai.

Le gag ottennero immediatamente successo, ma il diretto interessato non la prese bene.

La trasmissione era fatta bene e i riscontri furono positivi. Nonostante ciò ebbi dei problemi sia con lui – che la prese malissimo- che con i tifosi della Roma.

Massimo Giannini nei panni di Francesco Totti in "Convescion"
Massimo Giannini nei panni di Francesco Totti in "Convescion"

Un paradosso, visto che il primo a tifare per la Roma era lei.

Mi ritrovai striscioni offensivi allo stadio, gente che parlava male di me sulle radio della Capitale. Arrivarono a consigliarmi di non andare all’Olimpico per un po’. Non capii il perché di certe reazioni.

Stefano Disegni, che scriveva gli sketch, dichiarò: “Sul set Giuliani mi costringeva a modificare battute troppo filo-laziali”.

Gliele tagliavo proprio! Stefano è un carissimo amico, ma è laziale perso. Spesso andava sul pesante e allora intervenivo io. Eppure non bastò. Andai incontro a situazioni antipatiche.

Del tipo?

Era in programma un ‘Derby del Cuore’ e la Rai ci mandò a registrare lo spot a Trigoria vestiti da calciatori. Parteciparono sia Capello che i giocatori. Alla fine Totti pronunciò frasi sgradevoli nei miei confronti. I colleghi rimasero di stucco. Credo sinceramente che all’epoca fosse mal consigliato e che non avesse mai visto i miei filmati. Tutto si poteva dire, tranne che lo trattassimo male. Per me era un idolo.

Quando ad attaccarti è il tuo mito, immagino sia una bella botta.

Come calciatore ho continuato ad amarlo incondizionatamente. Sotto il profilo umano rimasi deluso. Succede.

Non c’è mai stata la possibilità di un chiarimento?

No. L’aspetto buffo è che anni dopo lui fu protagonista di una pubblicità in cui ripeteva la stessa scenetta di una mia gag per la quale si era incazzato. Era identica, sbagliava come sbagliavo io. C’è poi la storia del libro.

Cioè?

Costanzo mi invitò più di una volta. Gli era venuta l’idea di scrivere un libro assieme a Totti, basato pure sulle battute fatte da me a ‘Convenscion’. Gli dissi: ‘Signor Costanzo, non credo accetterà’. E Costanzo: ‘Vedrai che dirà di sì, ci parlo io’. Qualche settimana dopo mi contattò il suo segretario che mi informava che Totti aveva rifiutato. Pertanto, il libro lo fece solamente con Costanzo. Un’altra volta venni invitato da Pippo Baudo, uomo eccezionale, perché voleva che imitassi Trapattoni, altro mio cavallo di battaglia sfornato a ‘Convenscion’. Si trattava di una premiazione a cui avrebbe preso parte pure Totti che, appena seppe che ci sarei stato io, minacciò di non presenziare. Ovviamente declinai, ringraziai e con Pippo ci rivedemmo in altre circostanze.

Prima ha nominato Neri Parenti. Non posso non chiederle di “John Travolto… da un insolito destino”. Lo stesso regista definì quel film “una vera schifezza”.

In effetti non era un granché! Ma Giuseppe Spezia era veramente identico a John Travolta, qualcosa di clamoroso. I ciak si svolsero all’hotel Hilton e i turisti americani andavano in massa da lui a chiedergli l’autografo. Non faceva l’attore, se non sbaglio era un cuoco, o un cameriere. Neri ebbe questa idea e partecipai. Sai, io mi sono sempre divertito a fare questo lavoro e il divertimento è fondamentale. Stranamente, l’Italia è l’unico Paese in cui il concetto del recitare non è associato alla concezione del gioco. In inglese ‘recitare’ si dice ‘play’, in tedesco ‘spielen’, in francese ‘jouer’. Questo è un mestiere che si intraprende per passione. Solo per passione.

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