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Mare Fuori 4, Alessandro Orrei: “Come Mimmo ho conosciuto la violenza, ma l’ho sempre condannata”

Alessandro Orrei è l’attore 25enne che è apparso sin dalla seconda stagione di Mare Fuori nel ruolo di Mimmo. Un ragazzo tormentato che, in fin dei conti, cerca l’approvazione e l’affetto della sua famiglia, senza riuscirci, e finisce per imbattersi in un mondo più grande di lui.
A cura di Ilaria Costabile
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Alessandro Orrei interpreta fin dalla seconda stagione di Mare Fuori, il personaggio di Mimmo. Un ragazzo tormentato, desideroso di riconoscimento, di appartenenza, sensazioni che prova non nella sua famiglia d'origine, dalla quale viene ripudiato, ma da una famiglia criminale, quella di Wanda Di Salvo. Un percorso difficile, pieno di alti e bassi, in cui Mimmo fa da perno ad una serie di avvenimenti che determinano la narrazione stessa della serie. Dalla morte di Pirucchio nella terza stagione, fino alla scena di violenza all'inizio della quarta, non mancano gli episodi carichi di tensioni, nient'affatto semplici da portare sullo schermo.

Nella sua vita, Alessandro, ha incontrato la violenza dei bulli, ma ha saputo tenerla lontana lavorando su di sé, sulle sue consapevolezze: "Ho capito che quando non sanno più dove colpirti, perché quello che ritenevano un tuo punto debole non lo è più, non sanno dove attaccarti". Da Mare Fuori, passando per Un Posto al Sole e nuovi progetti tra Prime Video e Rai, il 25enne racconta che fare l'attore è un privilegio: "È terapia pura, è un esercizio che dovrebbero poter fare tutti".

Il tuo personaggio attraversa una parabola, entra nella serie dalla seconda stagione, deciso a far parte del mondo criminale, sembra volerne prendere le distanza e poi ricade in quella trappola. Cos'è che lo fa cedere ogni volta?

Credo che ceda per colpa della sua leggerezza, intesa come incoscienza, lui non è pienamente consapevole di quello che sta vivendo. Ogni volta che cerca di uscire da questo mondo, che è complicatissimo, perché tu entri quando vuoi, ma non ne esci quando vuoi, si ritrova catapultato in qualcosa di più grande di lui che lo trascina giù.

Mimmo è un ragazzo tormentato, che si trova a ripensare spesso alle sue azioni. Tu sei più riflessivo o agisci d'istinto?

Sono estremamente riflessivo. Ho passato un periodo della mia vita in cui ero molto istintivo, poi crescendo ho iniziato a riflettere di più sulle cose a prendere delle scelte più oculate, però cerco sempre di mantenere un certo equilibrio, cercando di non cadere troppo nelle filosofia.

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Sin dalla prima stagione in cui appare il tuo personaggio, si ritrova a dover agire anche in risposta alla paura. Qual è la cosa che, ad oggi, pensi di temere di più?

La paura ho sempre pensato che possa avere due effetti, ti può frenare continuamente o ti può alimentare. Rispetto a Mimmo che spesso è bloccato dalla paura, e quindi ha bisogno di un processo molto più lento e sacrificante per arrivare a prendere una scelta, nel mio caso la paura mi dà un'energia, mi dà una spinta. Al momento non penso di avere un timore in particolare, ma se dovessi individuarne uno è quello di essere sopraffatto dalla mie paure, temo che un giorno possano frenarmi.

La spinta di cui tu parli alimenta anche la voglia di riscatto. Nel tuo personaggio sembra ci sia stata una volontà nel non consentirgli di riscattarsi a pieno, c'è sempre qualcosa che lo fa tornare al punto di partenza.

Credo che il problema più di Mimmo sia il fatto di volere qualcosa, ma non avere l'idea di come raggiungerlo. Vive questo disequilibrio, che lo pendere da un lato e dall'altro, e lo porta a sbagliare continuamente.

Nella quarta stagione Mimmo, anche sulla scia delle stagioni precedenti, stringe un rapporto molto forte con il Comandante (Carmine Recano ndr.) che dopo una serie di avvenimenti, inizia a nutrire astio nei suoi confronti. Che tipo di lavoro avete fatto per riportare quella tensione sulla scena?

Il fatto che Mimmo veda il Comandante come la figura di riferimento per eccellenza nell'IPM, mentre il Comandante vede in Mimmo una speranza di riuscire nel suo lavoro è alla base del loro rapporto. Entrambi sanno di potersi completare, di poter portare trovare una risoluzione l'uno nell'altro, ed è un qualcosa di emotivamente molto forte. Quello che viene a mancare tra loro è proprio la fiducia. Raggiungere quell'astio è stato abbastanza semplice quando abbiamo dovuto tagliare questa emotività, positiva, che c'era di noi.

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Nella quarta stagione c'è stata una scena di violenza. Cosa hai provato nel girarla, nonostante la violenza non fosse fatta su di te, ma ne eri partecipe, complice. 

È stata una scena complicatissima, è una scena molto molto delicata, quindi prima di tutto c'è bisogno di un grande rapporto tra colleghi e questo con Desirèe (Popper ndr.) l'ho trovato. Il mio personaggio era pienamente contrario a quella situazione, ma non poteva fare nient'altro che subirla dall'esterno e vivere l'inferno dentro. Poi, chiaramente, se spostiamo l'attenzione sul personaggio di Consuelo, che subisce la violenza, è ancora più terribile. Volevamo, però, restituire appieno quell'orrore, che io ho personalmente ho vissuto mentre lo mettevamo in scena, ho sofferto, e il mio corpo ripudiava quanto stava accadendo. Ho empatizzato e credo che le persone guardando quella scena possano fare la stessa cosa. Credo sia un argomento da dover affrontare continuamente, perché sta accadendo troppo spesso, e ritengo che la possibilità di mostrarlo sullo schermo sia molto più potente che sentirlo raccontato e basta.

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Ed è una risposta ad una delle tante polemiche nate attorno alla serie, quella dell'emulazione. Uno spettatore, magari giovane, nel vedere riprodotto un atteggiamento violento sarebbe portato a ripeterlo. 

È esattamente il contrario. Le persone, quando emulano, è perché lo hanno visto dalla realtà, non dalla finzione. In un determinato contesto la finzione può rafforzare quello che accade nella realtà, però bisogna viverci dentro, quindi stiamo parlando di persone che non sono poi così influenzate dall'arte. Il nostro è un prodotto artistico, quindi è la realtà che vivono a condizionarle ogni giorno, in quanto artisti cerchiamo di raccontare una storia e farlo nel modo più vero possibile, quindi tutte le persone che guardano la serie, intelligentemente, quando empatizzano e quindi soffrono, non vogliono replicare quello che accade nella serie, vogliono evitarlo.

A proposito di persone che empatizzano con la serie. Nella terza stagione hai dovuto girare la scena della morte di Pirucchio, qualcuno ti ha scritto rivolgendoti anche commenti negativi?

Eh hai voglia (ride ndr.) Ne ho ricevuti tanti, questo è un po' un problema, in realtà fa piacere perché significa che se è arrivato così tanto c'è qualcosa di buono. Però quando mi dicono "ti odio, perché hai fatto questa cosa?", io rispondo "perché stava scritto in sceneggiatura". Però quando poi si va sugli insulti c'è un problema.

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Come li vivi i giudizi degli altri?

Ho imparato con il tempo, perché non era così, a stare un passo indietro ai giudizi, sia quelli che negativi che positivi, perché poi non puoi fare 50 e 50, o ti prendi tutto oppure lo guardi un passo indietro, lo vivi, sai che è lì, però non ti fai influenzare così tanto. Alcune persone possono cadere anche in frustrazione, depressione, per queste cose. Ho imparato a prendere le distanze, poi ci mettiamo a testa bassa a lavorare.

C'è qualcuno che ti ha aiutato in questo distacco? Qualcuno su cui hai potuto contare?

Sì, la mia compagna. Dico sempre a me stesso che la mia compagna è la mia ancora di salvataggio, è quella persona che mi conosce così tanto bene, conosce ogni sfumatura di me, che ci mette un attimo a riportarmi con i piedi per terra. In un mondo che ti porta così lontano dalla realtà, vivi altre vite, conosci tantissime persone, mi basta guardare lei e mi riporta a me, alla semplice persona che sono.

Magari l'amore potrebbe essere la salvezza anche di Mimmo, non pensi? 

Chissà. In effetti l'amore è un tema abbastanza centrale. Mimmo vive in realtà una storia d'amore, molto complicata, la peggiore in assoluto, quella con la sua famiglia, che non è una storia d'amore canonica, adolescenziale, è un qualcosa di platonico. Lui è ripudiato da sua madre, vive questo tormento dell'allontanamento dalla sua famiglia, dovuto per colpa sua, ed è come se si fustigasse per quanto è successo, perché sa che è colpa sua. Quando vorrebbe rimediare tutto, non gli viene data la possibilità, ed è la più grande frustrazione del genere umano.

Sei per le seconde chance o per subire le conseguenze delle proprie azioni?

Sono per entrambe. Bisogna prendersi le conseguenze delle proprie azioni, significa essere adulti, perché fa parte di un processo in cui comprendi che ogni tuo gesto non può non avere conseguenze sul tuo futuro.

Hai raccontato di aver subito episodi di bullismo da ragazzino. Quale è stata la tua prima reazione? Hai mai pensato di reagire con violenza?

Ci sono stati dei momenti in cui ho pensato di replicare alla violenza con la violenza, non lo nego, perché anche quella fa parte, secondo me, di un istinto di sopravvivenza. Però la primissima reazione è stata chiusura totale, ed è normale che sia così. Ti trovi in una situazione in cui sei tu quello debole, sei tu quello che non può reagire, in inferiorità numerica, in inferiorità fisica, quindi hai tutte le variabili contro di te. Poi ho capito che le persone ti attaccano, o fanno branco contro di te, su qualcosa che pensano sia un punto debole per te, e proprio per questo ho capito che è un punto debole, se lo decido io. Quando smetti di pensare che quella cosa sia un disagio per te, smettono di attaccarti, non sei più una loro preda, perché vedono che gli insulti e le violenze non intaccano la tua persona.

Un attore, poi, ha la fortuna di lavorare su stesso sempre. Dovrebbe essere un esercizio da far fare a tutti. 

È terapia pura. La bellezza è che ti rendi conto che puoi lavorare su te stesso tutta la vita e non arrivare mai dove vorresti.

Che epilogo vorresti per il tuo personaggio?

Direi che dopo quello che ha vissuto, felice. Un epilogo felice. Anche per una chiusura di un percorso e per dimostrare che tanta sofferenza e tanto sacrificio possono realmente portare a qualcosa. E anche se il rapporto tra quello che si ottiene e quello che si è sofferto, non è lo stesso sul piatto della bilancia, ne vale comunque la pena, perché anche poter migliorare se stessi di poco, vale tutto lo sforzo fatto prima.

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