Lorenzo Battistello: “Al GF pagavano 100 mila lire al giorno, nascosto in un pollo mi ritrovai il risultato di una partita”

È passato un quarto di secolo. Un quarto di secolo da quell’esperienza che avrebbe stravolto il destino della televisione italiana e cambiato la vita a dieci protagonisti, passati da illustri sconosciuti a veri e propri personaggi di tendenza. “Il marchio del Grande Fratello fu talmente forte che dopo venticinque anni faccio fatica a levarmelo di dosso”, confida Lorenzo Battistello a Fanpage. “Se oggi andassi ospite in tv, faticherei a impormi come cuoco. Sarei ancora quello del Gf”.
Originario di Breganze, comune di 8 mila anime in provincia di Vicenza, Battistello vanta un’esperienza di oltre trent’anni nel settore della ristorazione. Una passione che non ha mai mollato, anche quando i riflettori e le tentazioni dello spettacolo avrebbero potuto indirizzarlo altrove. “Approdai al Grande Fratello non come tanti miei colleghi, ma come uno che possedeva un know-how importante. Per questo venni visto un po’ come il saggio della situazione. Già a 15 anni mi ero allontanato da casa per andare a fare l’Istituto Alberghiero a Merano. Partivo la domenica e tornavo il venerdì. D’estate lavoravo e, una volta compiuti i 18 anni, mi trasferii prima in Austria, poi negli Stati Uniti e infine a Londra. Quando rientrai in Italia mi chiamarono per il servizio militare. Mi domandarono se avessi voluto cucinare. Risposi di no, dal momento che l’avrei fatto per il resto della mia vita. Quindi accettai di fare il carabiniere. Una prova di vita importantissima che mi fruttò un encomio solenne”.
Per cosa?
Per aver salvato la vita a due persone finite in un canale con l’auto. Questo per dirti che arrivai al Gf con un’esperienza maggiore rispetto agli altri inquilini.
Cosa ti convinse a partecipare?
Mia madre, titolare di una macelleria, si infortunò ad una spalla. Mi chiese di darle una mano e rientrai in paese. Complice la noia, mi capitò di leggere l’annuncio in televisione. Mi incuriosii. Inizialmente pensai che si trattasse di un gioco a premi e decisi di tentare. Magari avrei potuto vincere dei soldi. Telefonai e mi ricontattarono a distanza di qualche giorno.
A quel punto scattarono i provini.
Mi recai a Milano e solo quando mi chiesero di rivedermi, stavolta a Roma, cominciai a capire di cosa si trattava. Fu un momento particolare, non volevo più proseguire. Un ruolo decisivo lo rivestì proprio mia madre. ‘Vatti a fare un giro a Roma e vedi cosa ti propongono’, mi disse. Le diedi retta e mi recai ai casting senza ansie e obiettivi. Non avere ambizioni fu probabilmente il mio vantaggio, perché mi mostrai per quello che ero.
Quando ti avvisarono che saresti entrato nella Casa?
Verso la fine di agosto. Alla vigilia dell’ingresso ci spiegarono che avremmo dovuto portarci dietro dei vestiti senza marchi evidenti. Inoltre, avremmo potuto inserire in valigia qualcosa di nostro. Io optai per una bottiglia di vino di Breganze. Non sapevamo minimamente cosa saremmo andati a fare. Oggi i concorrenti colgono l’importanza delle inquadrature, per noi non era così.

In che senso?
Nessuno di noi si preparava per la puntata del giovedì sera. Io per l’intera permanenza non misi mai le scarpe. A malapena ci truccavamo, non sapevamo come l’Italia ci vedesse. Anche il famoso confessionale per noi non aveva grossa importanza, lo percepivamo come un obbligo. Non immaginavamo come i nostri sfoghi potessero essere usati all’esterno.
Rimanesti dentro la Casa per 43 giorni, che sono nulla in confronto agli attuali sei mesi di durata del reality. Eppure la percezione di chi vide quella primissima edizione è quella di un tempo molto più amplificato.
Noi non ricevevamo visite, né messaggi di parenti o amici. Non c’erano suite e tuguri e la sera del collegamento con lo studio potevamo usufruire solo dell’audio. Sentivamo la Bignardi in voce e non ci venivano mostrate clip sugli avvenimenti della settimana. Quei 43 giorni mi parvero un’infinità perché il tempo non passava mai. In tal senso, consentimi una riflessione.
Vai.
Se per strada tocchi fortuitamente una ragazza, non dai importanza all’accaduto. Se succedeva nella Casa, passavi ore ed ore a pensare a quel gesto. Riflettevi sulle piccole cose perché ogni azione veniva appunto amplificata, così come le tue sensazioni. Tutto ti sembrava più lento. I miei 43 giorni equivalgono ai sei mesi di oggi.
Vi privarono di tutto, persino di carta e penna. Fu traumatico?
Creammo un mazzo di carte usando i fogli di una prova settimanale ed il rossetto delle ragazze. Eravamo in un’epoca diversa, priva di internet, social e smartphone. I cellulari si utilizzavano per chiamare e mandare gli sms. Non si viveva sullo schermo come adesso. Nel mio caso, la vera mancanza furono i giornali.
Eravate solo dieci concorrenti, ma anche gli spazi erano molto più ridotti.
La struttura era piccolissima, con due camerette da cinque persone l’una. I letti possedevano i cassettoni alla base e spesso non riuscivamo ad aprirli perché il letto accanto ce lo impediva. Non a caso, la maggiore difficoltà per me fu trovare degli spazi per me stesso. Quando sei triste o arrabbiato, in genere ti rifugi in un posto del cuore, cammini o leggi un libro. Nella Casa del Grande Fratello non esisteva il concetto di solitudine. Se andavo a sedermi in giardino, dopo due minuti arrivava qualcuno. Io amo svegliarmi la mattina e bermi il caffè in santa pace, lì era praticamente impossibile. Tentavo di alzarmi prestissimo, non perché fossi un solitario, ma perché avevo la necessità di stare per conto mio. La produzione ci impediva di possedere oggetti che ci avrebbero garantito solitudine e svago. Insomma, era un isolamento puramente teorico.
Quale fu il segnale che vi fece capire che la trasmissione stava funzionando?
Intuimmo qualcosa quando iniziarono a lanciarci oggetti dall’esterno. Motivo per cui piazzarono delle reti per impedire che ci pervenisse altra roba. Servì relativamente, visto che arrivarono a mettere dei biglietti dentro ai polli.
Dentro ai polli?
Sì. Facevamo la spesa e dal supermercato da cui il programma si riforniva mi arrivò un messaggio con il risultato di Torino-Sampdoria (ride, ndr). Questo aneddoto divertente deve tuttavia farti capire una cosa importante.
Ossia?
Che il Gf non colse di sorpresa solo noi, ma anche gli addetti ai lavori. Era una novità pure per gli autori e i produttori, che si dovettero adeguare strada facendo. Gli stessi manager non furono pronti a gestire la nostra improvvisa popolarità. Una volta usciti, lavorammo solo con le serate in discoteca. Non ci fu preparazione per la costruzione del personaggio. Basti pensare che, nonostante fossimo sulla cresta dell’onda, nessuno di noi prese parte a pubblicità importanti. Fu complesso vendere in giro il marchio del Grande Fratello, purtroppo.
Alludi ad una certa puzza sotto il naso?
Esatto. Il Gf dava molta visibilità, ma non la credibilità professionale. Il Lorenzo cuoco non veniva visto bene dai colleghi ristoratori. ‘Ho studiato, sono preparato’, ripetevo. A loro non interessava. Ero e rimanevo quello del Grande Fratello. I media non sapevano come curare la nostra immagine, non sapevano se saremmo stati un valore aggiunto per una determinata azienda.
Il “Gf” ti ha arricchito?
Noi della prima edizione fummo sfortunati. Il grosso dei guadagni lo facemmo nel 2001 e con il passaggio dalla lira all’euro si dimezzò il valore del denaro. Per non parlare dei social: se fossero esistiti, avremmo avuto centinaia di migliaia di follower. Se ripenso alla popolarità che mi travolse, mi viene da ridere.
Ricordo una copertina di “Cioè” con te al fianco di Francesco Totti e Ricky Martin.
Assurdo, ma posso garantirti che se fossi uscito a passeggiare con Fiorello, le persone avrebbero circondato me e non lui. Una volta a Roma venni portato via da piazza di Spagna a causa della folla che si era creata e dovetti nascondermi in un negozio. Andavo in discoteca e mi ritrovavo 5 mila persone che mi osannavano, mi recavo allo stadio e la gente urlava il mio nome. Ci sono miei carissimi amici che ogni tanto me lo ricordano per pigliarmi per il culo.

Tornando ai guadagni, possiamo dire che il “Grande Fratello” ti ha cambiato la vita?
In proporzione al clamore di quel periodo, non ho incassato cifre enormi. Certo, senza il Gf forse non sarei riuscito ad aprire il mio primo ristorante a 30 anni. Una volta usciti dalla Casa, avevamo una sorta di esclusiva con Mediaset, ma non contratti veri e propri. Ho partecipato a tantissime puntate di Buona Domenica e ad altri programmi sempre con la modalità del gettone di presenza. Tranne che al Maurizio Costanzo Show, lì non pagavano. Invece, per la permanenza in casa ricevetti 100 mila lire al giorno in gettoni d’oro. Mia zia credo ne abbia qualcuno, glielo regalai.
Nel 2000 avevi 26 anni, ora ne hai 51. Quel Lorenzo potrebbe essere tuo figlio. Rimanere eternamente legati a quell’immagine rappresenta una condanna?
Non rinnego niente, il Gf mi ha cambiato la vita. Ma appena spieghi che ti dà fastidio essere ancora associato a quel ragazzo ti accusano di sputare nel piatto dove hai mangiato. Non è così. Dico solo che la vita va avanti, si cresce e vorrei essere giudicato come professionista, non come quello del Grande Fratello.
Sei comunque consapevole di aver contribuito a scrivere un pezzo di storia della televisione.
Assolutamente sì. Quella primissima avventura non sarà più replicabile. Non eravamo speciali, ma possedevamo quella naturalezza che non si può ricreare. Eravamo incoscienti ed inconsapevoli. Mi auguro che per i 25 anni Mediaset pensi a qualcosa. Non pretendiamo i tappeti rossi, tuttavia quell’esperienza trasformò il modo di fare tv a livello globale. Su di noi hanno scritto tesi di laurea e svolto congressi di psicologia. Scardinammo le abitudini, fu una metamorfosi enorme. Prima del Gf era impensabile che una persona sconosciuta potesse fare qualcosa in televisione, occorreva la gavetta. Adesso l’uomo di strada approda al grande pubblico come se nulla fosse.
Nel tuo caso, subito dopo l’eliminazione, arrivò “Mezzogiorno di cuoco”.
Era un programma di cucina con Cesare Cadeo, che ricordo con grande affetto. Era una persona gentile, eccezionale, che mi riempiva di consigli. Andavamo in onda al sabato mattina su Canale 5, in una fascia oraria strana e all’esordio totalizzammo il 27% di share. Ci produceva la società di Bongiorno e le prove generali le svolgemmo a casa di Mike. Facemmo una seconda edizione, ma purtroppo lo show venne tagliato dalla sera alla mattina. Per anni Mediaset non ha più avuto trasmissioni di cucina, quasi a voler lasciare in pace La Prova del Cuoco.
Se allora i programmi di cucina avessero avuto il risalto che hanno oggi, magari il tuo percorso televisivo sarebbe stato differente.
Nei primi anni duemila il cuoco non era celebrato come una rockstar e le trasmissioni dedicate al tema si limitavano a quella di Wilma De Angelis e di Andrea Pezzi su Mtv, che tra l’altro reputavo bellissime. Ora il percorso sarebbe stato più semplice, sicuramente. Ad ogni modo, non ho rimpianti. La popolarità di venticinque anni fa, con la testa e le conoscenze di adesso, l’avrei gestita in maniera differente, al netto di ciò che offriva il mercato in quella fase. A 26 anni vivevo alla giornata, oggi avrei pianificato meglio e rinunciato al futile.
Diversi concorrenti di quel “Gf” cercano ancora luce in tv. Non è il tuo caso.
Lasciai il mondo dello spettacolo perché mi resi conto che non ero portato per quel mestiere. Non ero telegenico, non possedevo un buon accento e non avevo le giuste caratteristiche. Perché insistere? Ognuno ha percorso la sua strada. Ammiro Rocco (Casalino, ndr) per quello che è riuscito a fare. Ha avuto determinazione muovendosi in un contesto non semplice, mentre altri hanno fatto le loro scelte, tutte rispettabili. Per quel che mi riguarda, sono un imprenditore. Non sto chiudendo le porte alla televisione, ma se mi contattassero vivrei l’esperienza non col desiderio della notorietà, che già ho avuto, bensì valutando da un punto di vista imprenditoriale.
Cosa fa oggi Lorenzo Battistello?
Vivo in Spagna dal 2011, a Barcellona. La mia fidanzata, successivamente diventata mia moglie, lavorava qua e mi sono trasferito. La città è bellissima e l’Italia non è lontana, ci torno spesso per motivi familiari e di lavoro. Sono un consulente ed opero nel mondo della ristorazione. Lavoro per grossi brand che vogliono inserirsi nel mercato spagnolo. Parallelamente curo catering, eventi e realizzo show cooking.
Ho letto che gestivi due ristoranti, mollati appena prima che esplodesse la pandemia.
Sì, a Barcellona. Ma dovendomi operare per l’asportazione di un tumore decisi di tirarmi indietro all’inizio del 2020, giusto prima che si diffondesse il covid. In caso contrario, sarebbe stato un dramma. Poco dopo aprii un locale che faceva solo servizio delivery e durante il lockdown riuscimmo a lavorare parecchio. Ma anche in quel caso a fine 2021 ho venduto il mio 50 per cento di quote perché ero stanco di quella vita. Lasciai in favore di una tranquillità familiare.
La tv ti ha più cercato?
L’anno scorso c’è stato un lieve contatto con Pechino Express. Mi sarebbe piaciuto partecipare. A tal proposito mi sono dato una regola: non intendo prendere parte a programmi che potrebbero andare a ledere me o i miei cari. Un Gf, a 51 anni, non lo rifarei. So come funzionano certi meccanismi. Ma Pechino Express sarebbe diverso.
