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Gaia De Laurentiis: “Un errore lasciare Target. Maltrattata a Un medico in famiglia, rifiutai tanti soldi per l’Isola”

L’attrice, esplosa in tv negli anni novanta, si racconta a Fanpage: “Oggi la tv aiuta il teatro, mentre prima del 2000 il teatro snobbava terribilmente il piccolo schermo. Sei Forte Maestro? Lo chiusero dopo due stagioni. Nessuno ha mai capito perché”.
A cura di Massimo Falcioni
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A metà anni novanta era uno dei volti televisivi più popolari e richiesti. Ma il suo primo grande amore, e forse unico, è sempre stato il teatro. E da lì partì da giovanissima Gaia De Laurentiis, con la borsa di studio per entrare al Piccolo di Milano vinta nei mesi in cui si stava preparando per gli esami di maturità. “Mi diplomai a giugno e ad ottobre varcai la soglia della scuola di Giorgio Strehler”, racconta l’attrice a Fanpage. “Il mio obiettivo era quello di fare teatro e se non mi avessero presa al Piccolo avrei tentato alla Silvio D’Amico. Qualora mi fosse andata male pure lì, avrei fatto Medicina. Non avevo certamente voglia di perdere tempo e mi diedi qualche mese di tempo per provare la strada della recitazione. Fortunatamente mi andò bene al primo colpo”.

Figlia del regista Carlo Battistoni e dell’insegnante di conservatorio Lucia De Laurentiis, Gaia porta il cognome di quest’ultima per un motivo preciso, che fotografa alla perfezione l’epoca antecedente alla legge sul divorzio: “Negli anni settanta non si potevano riconoscere i figli nati al di fuori del matrimonio. Mio padre ricoprì il ruolo a tutti gli effetti, ma era solamente separato dalla prima moglie e non divorziato. Il suo cognome lo aggiunsi in seguito, quando però ero già nota come Gaia De Laurentiis”.

Il primissimo incontro con Strehler fu a dir poco traumatico: “Indossavo una maglietta rossa, colore per il quale lui provava orrore, in quanto dava troppo nell’occhio. Durante le prove pretendeva dei colori neutri. In effetti il rosso non ti è di aiuto se stai lavorando su un determinato personaggio. Ti deconcentra. Ma il vero trauma fu un altro”.

Ossia?

Portai il testo della Mirandolina e mi mandò via in malo modo. Riteneva assurdo che alla mia età interpretassi quel personaggio. Aveva ragione, non era un pezzo adatto a me. A quel punto mi chiese di preparare Ofelia di Amleto e ne rimase entusiasta. Strehler era una persona estremamente umana, con noi allievi era paterno ed è difficile incontrare figure così geniali.

La televisione come arrivò?

Una volta diplomata lasciai il Piccolo. Sentivo il bisogno di staccarmi dalla scuola e dal maestro. Dovevo tagliare il cordone. Avevo vent’anni e mi rimboccai le maniche accettando lavori che mi permisero di fare gavetta e soprattutto di guadagnare. Per ‘Mi Manda Lubrano’ recitai in un filmato in cui si parlava di truffe. Ingaggiavano giovani attori ed io impersonai una truffatrice che andava a rubare a casa di un’anziana.

Non rimase con le mani in mano.

Da giovane non puoi rimanere a casa ad aspettare l’occasione. Ora è un lusso che posso permettermi, ma agli inizi non avevo la possibilità di scegliere. Recitai nello sceneggiato di Rete 4 ‘Senza fine’, presi parte a diverse pubblicità e scoprii il mondo del doppiaggio, dando la voce a svariati cartoni animati.

La svolta arrivò con “Target”.

Ai provini ero una delle tante. Il mio vantaggio fu quello di non essere un’annunciatrice. Non avendo alcuna esperienza di tv, avevo una maniera di pormi assolutamente genuina e nuova. L’inesperienza fu la mia forza.

Quel particolare taglio di capelli divenne un suo tratto distintivo.

Mi credi se ti dico che lo feci dieci ore prima del provino, per puro caso?

Racconti.

Avevo accompagnato mia madre dal parrucchiere e decisi di cambiare look, optando per il taglio carrè. In quegli istanti mi arrivò la chiamata da Gianna Tani. Ero a Roma e mi sarei dovuta recare a Milano per il colloquio. Non c’erano le Frecce, il viaggio era assai lungo e il giorno dopo avrei avuto degli impegni lavorativi. Mia mamma mi spronò: ‘Vacci in aereo’. ‘E’ troppo costoso e non posso buttare i soldi’, le risposi. Fu lei a pagarmi il biglietto. Non voleva che rinunciassi a quell’opportunità.

Senza quel regalo non ci sarebbe stato “Target” e tutto il resto.

Esatto. Andai e rientrai alla velocità della luce e mi presero subito. Eravamo rimaste in ballo in due, io e un’altra ragazza totalmente sconosciuta come me. Non ho mai saputo mai chi fosse, ancora oggi me lo domando. Chissà che fine avrà fatto.

La famosa inquadratura di Target.
La famosa inquadratura di Target.

Col successo arrivarono i soldi veri.

Non fu così semplice. Cominciammo a registrare subito, ma i primi compensi giunsero dopo novanta giorni. Non sapevo come pagarmi i continui viaggi dalla Capitale a Milano e mia sorella, figlia che mia mamma ebbe da una precedente relazione, mi portò da suo padre. Gli espose la mia situazione e gli chiese un prestito. Lui mi firmò un assegno da un milione di lire: ‘Quando potrai me li ridarai’. Tempo dopo, quando avevo cominciato ad ingranare, tornai da lui pensando che non li rivolesse. Mi sbagliavo. In ogni caso fece bene: compresi che quel ripretendere i soldi indietro era stato un prezioso messaggio educativo.

A “Target” la differenza la facevano la regia, le pose e le tecniche di inquadratura. Per gli spettatori era tutto inedito.

Quel programma introdusse molte idee innovative, come i primissimi piani e la rapidità nel montaggio. Inoltre, trattavamo argomenti non comuni. Parlavamo di tecnologia e di internet, quando il web era agli albori. Poi ci aprimmo anche ad interviste lampo, alla cronaca raccontata in maniera smart. Temi particolari sommati ad un volto nuovo generarono il botto.

Cinque stagioni all’apice, fino all’abbandono.

L’exploit fu clamoroso e vincemmo tre Telegatti consecutivi. Distaccarmene fu un errore. La responsabilità fu del mio agente, ma non gliene faccio una colpa. Quando fai delle scelte non puoi mai essere sicuro dell’esito finale. Tieni conto che parallelamente era partito ‘Ciro, il figlio di Target’, un altro bel programma con me alla guida. Ero al timone di titoli forti, che avrebbero avuto lunghissima vita. Avrei dovuto tenermeli stretti.

Andò diversamente.

La mia figura era in rampa di lancio, sulla cresta dell’onda. Gregorio Paolini, creatore sia di ‘Target’ che di ‘Ciro’, era andato in Rai e mi venne chiesto di seguirlo. Oggi risponderei di no. Purtroppo avevo la testa altrove, le mie attenzioni erano per il teatro, mentre per la tv seguivo i suggerimenti di chi mi rappresentava, intenzionato a farmi fare una carriera da conduttrice.

Si imbatté in un flop.

La trasmissione ‘Su e giù’ era onestamente brutta. Non se la ricorda nessuno, manco la Rai, tanto che quando vado ospite da loro e devono dedicarmi delle clip, quelle immagini non appaiono mai. Forse si vergognano (ride, ndr).

Del quinquennio a “Target” disse: “Non riuscii a godermi il successo, mi sentivo in prigione”.

Ero a disagio, lo ammetto. Venivo da una famiglia dove si faceva arte e si sudava. Per me era inconcepibile l’idea di essere diventata popolare per un buon primo piano e una buona dizione. Certo, guadagnavo tanto, ero gratificata. Tuttavia, mi domandavo cosa mi attendesse dietro l’angolo. Mi ripetevo: ‘E adesso? Che si aspettano da me?’. Non ero un’autrice, non avevo la più pallida idea di quali servizi andassero in onda. Mi limitavo a imparare a memoria i lanci. Non mi sentivo una professionista e questo faceva sì che non mi godessi il momento.

Si è mai chiesta come sarebbero andate le cose senza quel trasloco in Rai?

Sarei sicuramente cresciuta televisivamente. Ma avevo l’impazienza della giovane età.

In compenso, nemmeno “Target” ebbe fortuna senza di lei.

Si alternarono Natasha Stefanenko e Tamara Donà, brave quanto me, se non di più. Ma quando un programma nasce con una faccia, non la puoi sostituire. Il pubblico non si riconosce più nel programma.

Nel 2000 arrivò “Sei forte maestro”. E’ passato un quarto di secolo.

Si ispirava a ‘Caro Maestro’, ma quella fiction dimostra che quando allestisci un cast di bravi attori, il prodotto al 99% funziona. C’erano Emilio Solfrizzi, Gastone Moschin, Valeria Fabrizi, Emanuela Grimalda, Fabio Ferrari. Dopo due stagioni decisero di chiuderlo. Un mistero, nessuno ha mai capito perché.

Gaia De Laurentiis con Emilio Solfrizzi.
Gaia De Laurentiis con Emilio Solfrizzi.

Presumo si fosse esaurita la trama.

Figurati. Sai quante volte nel ‘Medico in famiglia’ hanno chiuso e riaperto storie. ‘Sei forte maestro’ funzionava e tutto il cast rimase basito quando non ci fu la conferma. Bisognerebbe chiedere spiegazioni alla Endemol. Rimane un grosso punto interrogativo.

Il 10 novembre 2002, ospite alla “Domenica Sportiva” scoppiò un putiferio per una sua battuta rivolta ai laziali. Ancora oggi in rete si trovano tracce di quell’episodio.

Feci una battuta cretina sulla Lazio e scoppiò un casino. Chiesi scusa in tutti i modi, andai persino da Maurizio Costanzo ad un ‘Uno contro tutti’ con i tifosi giallorossi e biancocelesti presenti ai lati. Sbagliai, fui ingenua, ma la mia affermazione fu un tantino peggiorata. Un po’ come avviene nel gioco del telefono senza fili.

La stessa Lazio annunciò una querela.

E’ arrivò. Mi recai dall’avvocato e gli spiegai l’intera situazione. Vengo da una famiglia di romanisti e, non capendo nulla di calcio, volevo prendere in giro proprio loro, ripetendo ciò che sentivo sempre ripetere a casa. Mi espressi male. Caso volle che in quei mesi la Lazio vivesse momenti drammatici a livello societario e la mia uscita fece un rumore maggiore.

Come si risolse la questione?

Mi diedero il numero privato di Massimo Cragnotti e mi consigliarono di riferire a lui le stesse cose che avevo confessato all’avvocato. Cragnotti fu gentilissimo nel ritirare la querela, si rese conto della mia buona fede, ma mi comunicò che coi tifosi me la sarei dovuta vedere da sola. Furono settimane complesse, a tal punto che la Polizia mi suggerì di allontanarmi per un po’ da Roma. E pensare che ero andata alla ‘Ds’ come testimonial dell’associazione per la cura contro i tumori, mica per parlare di sport…

Nel 2004 tornò su Canale 5 con “Changing Rooms”.

Era un reality delizioso, che rispecchiava i miei gusti. Andavamo al sabato pomeriggio e, in ogni puntata, due coppie di amici si scambiavano le rispettive abitazioni per quarantott’ore. Un periodo nel quale potevano modificare l’arredamento di una camera a loro piacimento. Le proposte belle e valide le ho sempre accettate. Al contrario, ho proseguito con i miei impegni teatrali.

In pochi ricordano che fu anche inviata di “Stranamore”.

Un’esperienza che avrei potuto evitare, un ruolo svilente che non mi portò nulla.

Altro capitolo negativo fu l’ottava stagione di “Un medico in famiglia”.

Ecco, quella fu una roba brutta. Il mio ruolo prevedeva una nascita ed un epilogo, con una crescita costante. Ma dopo due puntate mi annunciarono che l’avrebbero cassato. Realizzai pochissime scene. Mi mancarono di rispetto. Non puoi offrire un ruolo ad un’attrice, per di più conosciuta, e dopo pochi giorni dirle ‘ciao, la finiamo qua’. Non si fa.

A “Centovetrine” invece approdò poco prima che venisse annunciata la chiusura.

In realtà girai regolarmente. Avevo una partecipazione a tempo limitato e feci in tempo ad entrare e ad uscire di scena.

Che clima respirò?

Feci solo tre mesi, non percepii nessun tipo di malessere. Trovai grandi attori e il mio ruolo era davvero carino e brillante. Non c’erano scene strappalacrime e melense tipiche delle soap.

Gaia De Laurentiis in una scena di "Centovetrine"
Gaia De Laurentiis in una scena di "Centovetrine"

E’ sempre riuscita a far convivere gli impegni televisivi con la passione per il teatro?

In questi trent’anni ho saputo farmi un nome, lavorando ininterrottamente, ma è inutile negarlo: attualmente la tv aiuta il teatro, mentre ai miei tempi tutto ciò era inimmaginabile. Prima del 2000 il teatro snobbava terribilmente il piccolo schermo e, in senso inverso, lavorare in televisione non ti aiutava a sbarcare a teatro. Poi però il teatro privato ha cominciato a soffrire e la crisi ha portato molte compagnie ad ingaggiare personaggi della televisione, spesso e volentieri senza talento, pur di incrementare gli spettatori. Di conseguenza, pure il teatro pubblico si è adeguato.

Le fecero scontare la fama di “Target”?

Mi capitò di essere presa da Giancarlo Sepe, ma il giovedì dovevo registrare la puntata. Spiegai che avevo un contratto con Mediaset e che non avrei potuto tradire l’impegno. Non ci fu niente da fare, dovetti ritirarmi e rinunciare allo spettacolo teatrale. Oggi una De Laurentiis con quel livello di popolarità farebbe tutte le date, saltando il giovedì.

Uno scenario capovolto, insomma.

Da giovane mi offrivano piccoli ruoli, mentre se adesso ingaggi un big della televisione, il suo nome è il primo esposto in cartellone. Spesso e volentieri si raschia il fondo della tv, contattando personaggi che usano a loro volta il teatro per non sparire definitivamente.

Il teatro rappresenta anche il suo presente, suppongo.

Per me il teatro è stato sempre un obiettivo, mai un ripiego. Sono felice, lavoro tantissimo e la mia crescita è stata esponenziale. L’anno scorso ho portato in scena ‘Una giornata qualunque’, un monologo di Dario Fo e Franca Rame che ha spaccato.

E la tv?

Quando le cose belle hanno cominciato a non arrivare più, ho smesso di farla. Aspetto di capire se può ancora succedermi qualcosa di interessante, come conduttrice o attrice. Deve essere qualcosa di giusto, adatto a me. Se arrivano a offrirti il ruolo di inviata a ‘Stranamore’, significa che non sanno più che pesci prendere. Avendo una mia professione, ho proseguito con quella che è la mia formazione originaria. Sentivo di avere uno stampo diverso. Tirarmi fuori da una televisione che non mi corrispondeva più è stata una scelta vincente, resa possibile dal fatto di avere una preparazione e un background importante.

In altre parole, non le interessa esserci giusto per esserci.

In un mondo dove l’opinionista è diventato un mestiere e tutti vogliono apparire in video, io preferisco dire qualcosa quando questo qualcosa ha un valore. Parlare a sproposito, tanto per farlo, è il sintomo di dove sta andando la società. E’ lo specchio dei nostri tempi.

In questi anni le hanno proposto di prendere parte a qualche reality?

In passato sì, poi hanno smesso. Finalmente hanno capito. Mi offrirono tanti soldi per ‘L’Isola dei famosi’ e rifiutai seccamente. Successivamente ci riprovarono per il ‘Grande Fratello’, mettendo le mani avanti: ‘Tanto sappiamo che ci dirai di no’. Replicai con una grassa risata. Comprendo che andare in tv sia importante, però lo è pure la coerenza. Non ti puoi sputtanare.

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