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Doc - Nelle tue mani 3

Doc 3, Giacomo Giorgio: “Non mi distaccherò da un ruolo se è piaciuto al pubblico. Federico? Si farà amare”

Lo abbiamo visto in diversi prodotti tv in questi mesi, ora Giacomo Giorgio è Federico Lentini in Doc-Nelle tue mani 3. L’attore 25enne si è raccontato in questa intervista, parlando del mestiere dell’attore, dell’importanza di certi ruoli e di quanto sia inutile fare distinzioni perché è sempre il talento a fare la differenza.
A cura di Ilaria Costabile
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"Essere un attore è come essere un fedele, per me questo mestiere ha una sua sacralità", è così che Giacomo Giorgio descrive la dedizione che nutre nei confronti della recitazione, il suo pane quotidiano ormai, che lo ha portato in pochi anni a misurarsi con i ruoli più disparati. Ora lo vediamo nella terza stagione di Doc – Nelle tue mani, la fiction di Rai1 con protagonista Luca Argentero, in cui veste i panni di Federico Lentini. Sin da quando ha iniziato a fare l'attore quello del medico era un ruolo che avrebbe voluto interpretare, e ci è riuscito prima di quanto potesse immaginare. Nonostante il successo, ottenuto dalla sua prima apparizione sul piccolo schermo, ciò che più conta, come racconta in questa intervista, qualunque sia la storia da raccontare, è la capacità di fare nella maniera migliore possibile il proprio lavoro, perché il cinema, come la televisione, hanno ancora il potere di veicolare messaggi importanti, basta solo saperli riconoscere.

Allora, come ti è sembrato questo debutto di Doc – Nelle tue mani? 

Direi buono, sembra ci sia molto affetto da parte dei telespettatori e credo ci sia un pubblico nuovo oltre quello affezionato, visti i primi ascolti. A quanto pare alle persone sono piaciute queste prime puntate, speriamo gli piaccia anche il resto.

Federico Lentini è il tuo personaggio. Ad un primo sguardo un menefreghista, privilegiato, però avrà un'evoluzione. Cos'è, senza fare spoiler, che gli farà scattare la voglia di cambiare?

Le esperienze. Ho amato Federico perché è un personaggio reale. Quando mi è stato proposto di farlo ero un po' contrariato, perché pensavo che avrei dovuto fare il solito medico giovane, estremamente empatico, e invece è stato l'esatto opposto. Con lui ho rappresentato una categoria di ragazzi, che fanno i conti con il loro passato, con quelle che credono siano le cose importanti della vita, per poi capire che non è affatto così.

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Mi ha colpito il fatto che per prepararti tu volessi capire, in maniera approfondita, perché si sceglie di diventare medici. 

Ho voluto addentrarmi, oltre il lato pratico, perché penso che un lavoro del genere ti caratterizzi anche come persona. Volevo osservare gli atteggiamenti, l'incidenza sul privato. Il medico salva la vita, lo si fa per vocazione, sono le solite cose ovvie, che si sanno, ma io volevo sapere il perché. Una delle persone più interessanti da questo punto di vista è stata il professor Landolfi, il nostro consulente nella serie.

E cosa hai capito da questa analisi?

Ho capito che essere medici non ha solamente a che fare con l'empatia e ovviamente con la preparazione, significa prendere consapevolezza e accettare serenamente le cose. La medicina ha un controllo parziale, l'altra parte dipende da noi e dal potere che ogni giorno decidiamo di esercitare su noi stessi e sulla nostra vita.

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Tra i vari filoni narrativi che affronterà il tuo personaggio, c'è anche quello amoroso. Vedremo finalemente Giacomo Giorgio nella sua versione più sentimentale?

Spero non arrivi mai quel momento, perché quando si vedrà Giacomo Giorgio sentimentale vuol dire che sono stato un pessimo attore (ride ndr.) La differenza la fa il personaggio che interpreti, se la scrittura prevede di far vedere anche l'amore e come lo vive, devo essere aderente a come viene descritto. Ad ogni modo, sì, qui ci sarà anche un risvolto amoroso, ma non sarà scontato.

Doc è stato sin dalla prima stagione un successo. Mare Fuori, altrettanto. Eppure per entrambe non c'è il rischio che possano ripiegarsi su se stesse?

Senz'altro. Però questi sono aspetti produttivi e di sceneggiatura, dipendesse da me farei le cose al contrario, non sempre mi trovo d'accordo con gli scrittori.

Sai che c'è chi ti definisce un astro nascente delle serie tv? Non so se questa cosa ti inorgoglisce o magari ti mette angoscia. 

Per la verità non mi piace. Astro nascente mica tanto, quanti anni di lavoro si devono fare prima di essere considerato un attore professionale, seppur giovane? E poi delle serie tv è limitante, un attore è un attore. Solo in Italia facciamo queste distinzioni un po' classiste.

E da cosa dipendono queste distinzioni classiste? 

Dal fatto che siamo un po' bigotti, c'è sempre stato questo classismo. Prima gli attori di teatro erano quelli fighi e quelli di cinema gli sfigati, ora gli attori di teatro vogliono fare cinema, ma davanti alla macchina da presa alcuni sono inascoltabili, ma perché l'approccio è totalmente diverso. Nella contemporaneità, invece, la distinzione si è spostata tra cinema e televisione. Ma lascia il tempo che trova. Pensiamo a Cillian Murphy, protagonista di Oppenheimer, ha fatto sei stagioni di Peaky Blinders.

Dici che in Italia siamo lontani da questo traguardo?

In Italia, mi dico, uno che fa sei stagioni di Mare Fuori, lo fa il protagonista di Garrone o Sorrentino? Non lo so. Però sarebbe un grande errore, perché un attore lo si deve valutare per quello che è capace di fare, ovunque lo faccia. Ma d'altronde, se pensiamo ai David di Donatello…

Che hanno fatto i David di Donatello?

È il premio italiano per eccellenza, il più prestigioso. Nelle categorie è stato introdotto il premio ai casting director, ma non agli attori di serie. Ora, non voglio dire che un attore che fa una serie debba competere con un attore in un film, perché sarebbe sbagliato dal punto di vista del lavoro e dell'approccio. Però, almeno, un David per il miglior attore protagonista o non protagonista di serie, sarebbe l'ora di metterlo.

Sarebbe un modo ulteriore di premiare il talento, che non guasterebbe. 

Per l'appunto. Sono convinto che se uno è bravo lavora al cinema, in teatro, in televisione, dappertutto. Non è e non sarà la maggioranza delle cose che hai fatto, a determinare dove dovrà finire la tua carriera. Sono convinto che la bravura, il talento, lo studio, che tipo di attore sei, siano la più grande protezione da queste false credenze.

A questo proposito, vieni da un periodo molto intenso, in cui sei stato protagonista di molti prodotti tv. Più si lavora, più si ha l'occasione per farsi vedere. Però, hai mai avuto il timore potessero pensare "ma lui è ovunque"?

Onestamente no. Sono credenze che si affibbiano agli attori che fanno serie tv, assieme alla convinzione che la gente possa identificarti sempre in un personaggio, soprattutto se è stato importante, come Ciro di Mare Fuori e quindi bisogna prenderne le distanze. Penso che io non debba distaccarmi da nessuno, ancor di più se un ruolo ha avuto successo. Ma perché dovrei farlo? Forse è un timore che cova chi pensa di non poter fare altro.

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Mi sembra di capire che, invece, hai imparato a credere nelle tue potenzialità. 

Si impara con lo studio, con la consapevolezza di quello che si sa o non si sa fare. Finché il pubblico mi sopporta, cerco di ringraziare le persone che accendono la televisione per guardare una cosa che ho fatto io, mettendoci impegno e dedizione, cercando di mandare messaggi sinceramente emotivi.

Percepisco una sorta di sacralità nel modo in cui parli del tuo lavoro.

Hai centrato in pieno. Per me fare l'attore è come essere un un fedele, è una religione. Potrei fare la metà del lavoro che faccio, ma è per l'amore spassionato che nutro per questo mestiere che se un progetto mi piace, mi colpisce, non dico no anche se so che comporterà fatica. La tua vita privata, le tue energie iniziano a vacillare quando fai due, tre, quattro produzioni all'anno.

A proposito di impegno e della tua abitudine di immergersi completamente in un ruolo, come è stato dover interpretare un personaggio non di finzione, come è successo con Luciano Claps?

Per come sono abituato a lavorare, l'approccio è lo stesso. Nel caso di Luciano Claps, quello che cambia è la responsabilità. Portavo in scena, con tutti gli altri chiaramente, 30 anni di storia, segreti, questioni non risolte e una cosa importante, in questi casi, è mettere a tacere l'egocentrismo attoriale. "Lo faccio mio, ci metto un mio messaggio dentro" ho accantonato quest'idea, ho pensato fosse più giusto rispettare la realtà dei fatti quanto più possibile. E siamo stati ricompensati.

Giacomo Giorgio e Gianmarco Saurino in Per Elisa-Il Caso Claps
Giacomo Giorgio e Gianmarco Saurino in Per Elisa-Il Caso Claps

Nel senso che hai toccato con mano quanto questa serie abbia smosso un po' le coscienze?

Sì, quando sono andato a Potenza, ragazzi di tutte le età erano per strada. Non ne ho visti così tanti nemmeno per Mare Fuori, che solitamente richiama un fiume di persone. Questa è la cosa che mi ha emozionato di più, perché vuol dire che abbiamo mosso qualcosa, e me l'ha detto anche Gildo Claps "Ci volevate voi, dopo trent'anni, a far svegliare un po gli animi delle persone". Checché se ne dica, il cinema, la televisione, possono ancora veicolare messaggi sociali importanti.

Il cinema d'altra parte sta vivendo una nuova rinascita, i dati del botteghino lo confermano e con film che portano messaggi di un certo livello. 

Sì, però, anche qui, c'è una strana credenza. Il successo di film o serie televisive, mi è capitato tantissime volte di sentirmelo dire anche per Mare Fuori, viene associato alla potenza dei social, ma non è assolutamente così, anzi, è proprio il contrario.

Ovvero?

Il social non è il motore, è la conseguenza di aver fatto una cosa fatta bene, bella, che la gente ha amato. L'unico vero segreto è fare bene il proprio lavoro, in maniera onesta, solo così conquisterà il cuore delle persone a prescindere dai gusti. Se un prodotto è costruito così, allora l'unico vero mezzo progressista e innovativo è solo il passaparola. È ancora l'arma più potente per rendere una cosa di successo. Non saranno né i social, né gli influencer e nemmeno i cantanti molto famosi nei film.

Pensi se ne sia fatto un abuso?

Penso solamente che sia giusto che ognuno faccia il proprio lavoro al meglio, questo non significa che se faccio una cosa non ne posso fare un'altra, ma non posso dimenticare quale sia la mia provenienza.

Tra le serie di cui sei stato protagonista quest'anno c'è anche Noi siamo leggenda, dove i poteri dei supereroi erano alimentati dalle loro debolezze, paure. Se Giacomo dovesse riconoscere una sua fragilità, ad oggi, quale sarebbe?

Dipende talmente tanto dal personaggio che interpreto, mi cambia completamente l'esistenza e davvero adesso non saprei individuarne una. Però, c'è una costante nella mia vita, che in qualche modo potrebbe rappresentare una fragilità: il tempo. La rincorsa costante del tempo, ne manca sempre troppo o non ne abbiamo mai abbastanza. Ti racconto una chicca.

Giacomo Giorgio in Noi siamo Leggenda
Giacomo Giorgio in Noi siamo Leggenda

Dimmi pure. 

C'è una frase, scoperta grazie a Carmine Elia, che è ricorrente nei vari prodotti che ho girato, da Mare Fuori sul letto di Ciro, in Noi siamo Leggenda, accanto a quello di Nicola, ci sarà anche in Sara, una serie che ho girato per Netflix, ed è questa "Non è il tempo che ci manca, ma siamo noi che manchiamo al tempo". Ora è diventata il mio vademecum.

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