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Chiara Rabbi: “Cresciuta con papà perché mamma non mi voleva, non mi riavvicinerei nemmeno in punto di morte”

Chiara Rabbi, ex compagna di Davide Donadei di Uomini e Donne, racconta l’insistente legame con la madre che avrebbe smesso di prendersi cura di lei quando aveva circa 12 anni.
A cura di Stefania Rocco
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Una madre assente e un padre che l’ha cresciuta da single, con il supporto della nonna. È questa la storia familiare resa nota, via Instagram, da Chiara Rabbi, ex corteggiatrice e poi scelta di Davide Donadei a Uomini e Donne. Già qualche giorno fa, riflettendo sui legami familiari, quelli cosiddetti “di sangue”, la giovane aveva reso nota per la prima volta la storia della sua adolescenza. Una storia dolorosa ma che oggi le ha permesso di avere le idee chiare a proposito di quanto ha appreso di non volevo nel suo quotidiano.

La versione di Chiara Rabbi

I miei si sposarono molto giovani. Io sono nata che mio papà aveva 23 anni e mia mamma 22, e si conoscevano da poco. Mia madre non è una persona molto stabile. Papà ha aspettato i miei 12/13 anni poi se ne è andato e io ho deciso di andare con lui. Lei non ha mai voluto essere una madre, lei era la ‘moglie di’ e noi eravamo giocattoli”, aveva raccontato Chiara su Instagram in un primo momento, parlando di legami affettivi instabili e separazioni dolorose.

Chiara Rabbi: “Il legame biologico non è una garanzia di amore”

In risposta a coloro che l’hanno giudicata eccessivamente severa nei confronti della madre, Chiara ha voluto chiarire che in nessuna situazione considererebbe giusto 5tornare sui suoi passi o provare a stabilire un legame con una persona che non desidera faccia parte della sua vita:

Per voi è normale – quasi obbligatorio – voler bene a chi condivide il tuo stesso sangue. Madre, padre, fratello, zio… Come se il legame biologico fosse garanzia d’amore. Ma è proprio lì che nasce l’equivoco perché io non ho rancore, non sono arrabbiata e non sto covando nulla. Sto bene, sono in equilibrio, sono oltre. E in questo “oltre” non c’è né odio né amore. Se domani uno di loro venisse a mancare, ne sarei dispiaciuta, ma come lo sarei per qualsiasi essere umano. Nulla di più, nulla di meno. Perché non fanno parte della mia vita, anche se abbiamo condiviso lo stesso sangue. E no, non c’è nulla da risolvere, il nodo che pensate sia li, io l’ho già sciolto. E sapete che c’era dentro? La libertà. La libertà di non dover fingere affetto. La libertà di non dovermi sentire in colpa. La libertà di scegliere chi è famiglia e chi no. E no, nemmeno in punto di morte sarebbe giusto riavvicinarmi. Non lo farei per ripulire la loro coscienza, né per assecondare il buon senso di una società che vive le relazioni in modo diverso da come le ho vissute io. Perché io, in quel momento, starei peggio ad andare. A fingere. A mettermi da parte. A seguire “il giusto comune” solo per poter dire di aver fatto la cosa giusta secondo gli altri. E invece rimanere a casa, lucida, serena, magari brindando alla mia vita, alla mia coerenza, al mio rispetto per me stessa… quella sì, sarebbe la mia pace. Non ho bisogno di voler bene a qualcuno solo perché “si dovrebbe”. Non è mancanza di cuore. È lucidità. E a chi mi dice che ho dei conti in sospeso… Rispondo così: no, io ho chiuso il conto. E proprio per questo vivo leggera.

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