
Forse è arrivato il momento di parlare seriamente del successo degli anime al cinema. Dopo i risultati di Demon Slayer: Kimetsu no yaiba – Il Castello dell’Infinito, arrivato a circa 591 milioni di dollari di incasso in tutto il mondo (fonte: Box Office Mojo; dato aggiornato all’11 novembre), e di Chainsaw Man – Il Film: La storia di Reze, arrivato a 157 milioni di dollari di incasso in tutto il mondo (fonte: Box Office Mojo; dato aggiornato all’11 novembre), è evidente che non ci troviamo più davanti a un fenomeno momentaneo, destinato rapidamente a scomparire o a ridimensionarsi. Più o meno una settimana fa, il Japan Times ha pubblicato un articolo firmato da Alicia Haddick che si intitola, e citiamo, “Anime isn’t competing with Hollywood — it’s beating it”. Che, in italiano, suona più o meno così: gli anime non stanno competendo con Hollywood, la stanno battendo.
Indubbiamente questo approfondimento parte da un punto di vista piuttosto specifico e, per certi versi, influenzato dall’enorme fermento che c’è in Giappone intorno all’industria dell’animazione (“influenzato”, in questo caso, non ha alcuna accezione negativa; sono gli effetti, più o meno diretti, di una determinata realtà). Ma è altrettanto vero che gli anime stanno andando bene ovunque, in tutto il mondo, anche nel mercato nord-americano dove un certo tipo di film, come i cinecomic, stanno facendo una fatica enorme e hanno oramai assunto una rilevanza completamente differente rispetto a pochi anni fa. Non è facile dire quando gli anime hanno cominciato ad avere così tanto peso all’interno del mercato cinematografico.
Ci sono altri esempi e, sicuramente, ci sono altri nomi. Dai sempre citati Hayao Miyazaki e Isao Takahata, con lo Studio Ghibli, a Makoto Shinkai e al suo Your name. (menzionato, tra l’altro, anche dall’articolo del Japan Times), ma ci sono pure Mamoru Hosoda, Masaaki Yuasa, Takehiko Inoue, che ha fatto il suo esordio alla regia con The First Slam Dunk (quasi 250 milioni di dollari in tutto il mondo, secondo Box Office Mojo), Mamoru Oshii (in Italia Lucky Red si prepara a portare al cinema, per la prima volta, il suo L’uovo dell’angelo), Satoshi Kon e Katsuhiro Ōtomo. Senza dimenticare, poi, fenomeni come Neon Genesis Evangelion, di cui abbiamo parlato proprio recentemente su queste pagine, che si sono divisi in modo quasi equo tra piccolo e grande schermo.
Insomma, gli anime ci sono sempre stati. Quello che è cambiato, ed è cambiato sensibilmente, è la percezione del pubblico. E il merito, forse, sta nella distribuzione sempre più ampia e senza limiti dello streaming. Più o meno durante il periodo della pandemia, infatti, molte piattaforme hanno cominciato a distribuire serie anime, a portarle in mercati dove, fino a quel momento, erano più o meno assenti. Questo ha sicuramente favorito l’educazione, diciamo così, del pubblico a un linguaggio e a storie differenti. Davanti a questo rinnovato successo, sempre le piattaforme streaming hanno deciso di investire di più nell’animazione, seguendo talvolta gli stessi modelli – tecnici e visivi – degli anime. Pensiamo, per esempio, a Cyberpunk: Edgerunners. Tra l’altro, gli anime si sono trasformati in una vera e propria miniera d’oro per realtà come Crunchyroll, che si è sempre occupata di questo tipo di titoli e prodotti.

Il ruolo di Crunchyroll
Mentre le altre piattaforme si facevano la guerra (la cosiddetta “guerra dello streaming”), Crunchyroll e Sony, che l’ha acquisita, hanno avuto la possibilità di prosperare, spendendo relativamente poche risorse, e di allargare il proprio pubblico. Per intenderci: i due film che citavamo all’inizio, Demon Slayer e Chainsaw Man, sono entrambi distribuiti globalmente da Crunchyroll (qui in Italia, invece, sono distribuiti da Eagle Pictures, che ha un accordo di esclusività con Sony). Se è vero che gli anime ci sono sempre stati, riempiendo la programmazione lineare delle tv regionali (parliamo di un fenomeno abbastanza limitato, che riguarda paesi come l’Italia), con lo streaming la loro diffusione ha assunto una dimensione mai raggiunta prima. E questo, chiaramente, ha avuto degli effetti anche sull’assetto dell’industria dell’animazione giapponese, che ha trovato nuovi partner e nuovi distributori interessati.
Parallelamente alla domanda interna, che rimane e che è indubbiamente fondamentale per la tenuta stessa dell’industria, si è sviluppata una domanda esterna. Spesso le due cose si toccano e coincidono, ma non è sempre così ed è importante ribadirlo. Talvolta, infatti, alcuni titoli restano in Giappone, non trovando interesse nella distribuzione streaming. Altre volte, invece, ci sono dei cortocircuiti piuttosto interessanti. Disney+ ha da poco lanciato la nuova serie anime di Occhi di Gatto. Ecco, si tratta di un titolo originale, proprio di Disney+, che però riprende una storia già famosa e conosciuta in tutto il mondo. Un altro elemento da prendere in considerazione è l’importanza dei manga, da cui, sempre più di frequente, vengono tratti anime (sia serie che film, come il mediometraggio di successo Look Back).
L'accelerazione del fenomeno e l'effetto pandemia
I manga hanno sempre offerto un terreno fertile per la diffusione di determinate storie. E questo rapporto strettissimo tra adattamento animato e materiale originale funziona in entrambe le direzioni. Prima citavamo il “boom” degli anime durante la pandemia. Gli stessi effetti, per forza di cose, si sono allargati anche ai fumetti. Gli anime al cinema si sono trasformati in una risorsa, e non è un caso se quelle storie cominciate come serie, quindi con una distribuzione sul piccolo schermo, siano poi arrivate anche in sala. Demon Slayer e Chainsaw Man, per esempio, hanno avuto stagioni differenti prima di diventare film. Il successo degli anime al cinema non è limitato solo a quei grandi mercati come gli Stati Uniti. Anche in Italia, spesso, ai primi posti del box office ci sono anime, divisi quasi equamente tra titoli più commerciali (di nuovo: Demon Slayer e Chainsaw Man) e titoli d’autore (qualche tempo fa, su queste pagine, abbiamo parlato de La tomba delle lucciole e del suo successo nelle sale italiane).
Con questo discorso, ed è importante ribadirlo, non intendiamo dire che gli anime siano un fenomeno recente, ma solo suggerire che la loro portata e visibilità hanno ricevuto un’impennata negli ultimi anni grazie soprattutto allo streaming e che ora è molto più facile che un anime arrivi al cinema e guadagni le prime posizioni del botteghino. Le infrastrutture, nella maggior parte dei casi, restano giapponesi: gli studi, gli animatori; i designer. Ci sono delle eccezioni, ma sono poche. Sicuramente, poi, c’è stata una contaminazione, con produzioni straniere che hanno collaborato con studi più o meno famosi del Giappone (due esempi su tutti: Trigger e Saru).

Quanto contano i soldi nel successo degli anime
In molti tendono a semplificare il discorso dicendo che “gli anime belli si fanno se ci sono i soldi”. E questo è vero fino a un certo punto. Sebbene sia lapalissiano che la qualità richiede investimento, ci sono dei casi, come il film di Chainsaw Man, che contraddicono abbastanza platealmente questi ragionamenti. Nel caso di Chainsaw Man, infatti, parliamo di un budget di 4.1 milioni di dollari, non molto lontano dal budget di Flow, il film Premio Oscar (ne abbiamo parlato sempre qui). Non ha senso, dunque, mantenere un’unica posizione o essere definitivi. Insieme al successo degli anime, tanto al cinema quanto sul piccolo schermo, va presa in considerazione un’ultima, fondamentale questione: lo stato degli animatori e il modo in cui, in Giappone, vengono ancora trattati e retribuiti.
Nonostante il rinnovato interesse per questo tipo di titoli, l’industria giapponese continua a essere sommersa di richieste e di scadenze, con una manodopera spesso costretta a ritmi intensivi e affaticata chiaramente dalle innumerevoli consegne. Questo ha un effetto tanto sulla salute degli animatori quanto sulla qualità stessa degli anime. Al momento le grandi realtà, le piattaforme streaming che citavamo prima, fanno davvero molta fatica a reinvestire parte delle risorse ottenute grazie alla distribuzione (e, in pochi casi, alla produzione) di anime in un allargamento delle infrastrutture locali e nella formazione di nuovi animatori. Insomma, se esiste un circolo virtuoso tra anime, serie e film, e manga dal punto di vista della visibilità, non esiste per il rapporto tra il successo di determinati titoli e il benessere di chi, quei titoli, li sviluppa. Forse dire come ha fatto il Japan Times che gli anime stanno “battendo” Hollywood è eccessivo. Sicuramente, con tutte le loro contraddizioni, gli anime stanno diventando una parte importante dell’offerta per il pubblico. E questo non può e non deve essere dato per scontato.