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Sono stato povero, ma mai un poveraccio. Storia della dignità che non ha prezzo

Mentre si festeggia la sconfitta della povertà dal balcone, e la Santanché insegna ai nostri bambini che conta solo il denaro, io che sono stato povero davvero, vi racconto cos’è la dignità e perché il Reddito di Cittadinanza la calpesta.
A cura di Andrea Melis
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Avevo tredici anni quando i miei genitori persero il lavoro. Mia madre ragioniera, mio padre geometra: due appartenenti esemplari della classe media di un tempo. Mio fratello ne aveva dieci. Quattro persone e nessun reddito.
L'euro era ancora lontano, mentre tangentopoli scuoteva i palazzi del potere e il sistema della corruzione. Sulla nostra pelle capimmo che il conto della Prima Repubblica l’avremmo pagato noi: la gente per bene. Licenziati entrambi dall'oggi al domani.
Mia madre passò da un incarico prestigioso a dover vendere ricami fatti all'uncinetto ad amici e parenti.

Mio padre da progettista andò a lavorare in nero in un cantiere come manovale. Una mattina un muletto lo investì. La ruota posteriore lo travolse devastandogli una gamba. La ruota anteriore gli mancò per pochi centimetri la testa. È vivo per miracolo e non vide mai nessun risarcimento danni. Come tanti operai in nero restò vittima del grande ricatto povertà/lavoro.
Così ci ritrovammo due figli, due adulti di cui uno sciancato, e nessuno stipendio e nessun aiuto per molti anni.

Facevamo la spesa nei Discount quando non erano alla moda ma capannoni di scaffalature metalliche dove la pasta si comprava in scatoloni ancora imballati. Quello dove andavamo noi ti regalava un pacco di pasta ogni venti chili di spaghetti.
La nostra adolescenza non conobbe mai abiti di marca, zainetti alla moda, né altre viziose consuetudini (per fortuna non esistevano ancora social e cellulari) e non oso pensare a quante necessità primarie dovettero rinunciare i miei genitori, sebbene giovanissimi, nemmeno quarantenni.
Un periodo durissimo. Sopravvivemmo solo grazie alla parsimonia: negli anni erano stati oculati come formichine e centellinando i pochissimi risparmi e unendo le loro forze, con coraggio, si reinventarono un mestiere da liberi professionisti che perdura ancora oggi, grazie al quale hanno permesso a noi figli di concludere gli studi e poter mantenere un tetto sulla testa.

Per questo oggi ho spiegato a mia figlia che sono stato povero, in un modo tale che lei fortunatamente non conoscerà mai, ma che pure non sono mai stato un poveraccio come la Santanchè e come tutti quelli come lei che nella vita non hanno nient'altro che il denaro.
Per questo stamattina mi sono vergognato di essere cittadino di un Paese dove si elargiscono elemosine di Stato nel modo meno dignitoso possibile.
Certo sto dicendo una cosa impopolare, lo so. D'altronde tutti quanti, da studenti, preferiamo gli insegnanti cialtroni che non ti interrogano e non ti danno compiti a casa.
Ma nella vita poi si finisce per ringraziare il professore più severo, più inflessibile e preparato, che ti ha insegnato l'importanza di non morire di ignoranza, oltre che di fame, in questo Paese.

Perché di cultura non si mangia, ma almeno non si viene sbranati e non ci si sbrana tra poveri.
In quegli anni si diceva che la vera differenza tra ricchi e poveri stava in chi sapeva una parola di più. Ed è ancora così.
E la parola che oggi può salvare un popolo allo sbando è, appunto, dignità. Non certo quella sancita per Decreto.
Persino mio nonno, quando impietosito mi allungava 10 mila lire di nascosto dai miei genitori, non si sognava certo di dirmi come e quando avrei dovuto spenderli. Sarebbe stato umiliante. Mio nonno semplicemente si fidava.

Per questo un Reddito di Cittadinanza che elargisce soldi con la pretesa di dirti che farne, è una schifezza.
Per questo  un Reddito di Cittadinanza che elargisce soldi  illudendo che qualcuno altro nel mentre ti procurerà un lavoro è diseducativo.Per questo un Reddito di Cittadinanza che incentiva nei poveri la cultura dello spendere tutto e subito, perché sennò il mese dopo te ne riprende una parte, è una doppia schifezza: devasta il concetto secolare di risparmio e quello di responsabilità, sui quali si regge l'ultima ricchezza del nostro Paese, quella del risparmio privato delle famiglie.

Un Reddito di Cittadinanza basato sul ricatto di dover accettare qualunque lavoro a qualunque distanza anziché stimolare l'autoimprenditorialità, la voglia di mettersi in gioco, il coraggio di applicarsi nelle proprie passioni, di inseguire i propri sogni fa schifo: come può essere dignitoso? È più ammirevole attraversare il mare rischiando la vita pur di inseguire i sogni.
E per finire, un Reddito di Cittadinanza costruito sul principio che lo Stato non si fida di te e ti controllerà, ed è pronto persino a sbatterti in galera, non è dignitoso.
Bisogna dirlo: siamo davanti a un'accozzaglia mal concepita che unisce elemosina, paternalismo e bieco utilitarismo elettorale.
Eppure bastava poco, davvero, per fare scelte differenti.

Muhammad Yunus, bengalese,  Premio Nobel per la Pace nel 2006 è un banchiere. Non un banchiere che viene salvato tipo quelli di Carige, Etruria, Monte dei Paschi ma un banchiere che dal 1976 combatte la povertà con la fiducia e salva le persone.
Concede piccoli prestiti ai più poveri, proprio a coloro che non possono dare garanzie su nulla, perché nulla possiedono. Il suo primo credito concesso fu di soli 27 dollari USA, che prestò ad un gruppo di donne del villaggio di Jobra (vicino all'Università di Chittagong), che producevano mobili in bambù. Da allora la sua Grameen Bank ha erogato più di 5 miliardi di dollari ad oltre 5 milioni di richiedenti.

Non solo: Yunus non mette i poveri in competizione tra loro ma finanzia gruppi di persone affinché si sostengano vicendevolmente negli sforzi e nella responsabilità di dover rimborsoare il prestito. Il "sistema Yunus" è diventato uno degli strumenti di finanziamento utilizzati in tutto il mondo per promuovere lo sviluppo economico e sociale, diffuso in oltre 100 Stati, dagli Stati Uniti all'Uganda.

Quando sono stato povero, lo confesso, non volevo un’umiliazione di Stato, ma un'opportunità di riscatto. Perché dare fiducia ai cittadini e non trattarli da furbetti o da accattoni li responsabilizza e restituisce loro la dignità e il coraggio.
"In Bangladesh, dove non funziona nulla – disse una volta Yunus – il microcredito funziona come un orologio svizzero".
Grillo e compagnia conoscono bene la storia di Yunus. Chissà se funzionerà altrettanto bene il Reddito di Cittadinanza.
Altrimenti, va da sé, la colpa sarà dei poveri e mai di una classe politica miserevole.

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Andrea Melis (Cagliari, 1979), grafico, videomaker e scrittore, ha pubblicato articoli di cultura, interviste, inchieste e racconti per riviste e quotidiani nazionali e stranieri. Tra i membri fondatori del Collettivo Sabot, ha firmato romanzi insieme ad autori come Massimo Carlotto e Francesco Abate, tra cui Perdas de Fogu (E/O, 2008). La sua prima opera in poesia, #Bisogni, una selezione di versi autoprodotta in mille copie grazie a una campagna di crowdfunding, è andata esaurita in poco più di un mese. Il suo ultimo libro è edito da Feltrinelli, Piccole tracce di vita. Poesie urgenti (2018). Collabora come autore di testi con artisti, illustratori, fotografi, musicisti e compagnie teatrali di tutta Italia. Scrive editoriali poetici per FanPage.it
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