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Dialetti d'Italia

Scurnacchiato: il significato del curioso termine napoletano, fra vergogna e infedeltà

Essere definito uno “scurnacchiato” era per un napoletano la cosa peggiore che potesse accadere: anche se nel tempo questa parola ha assunto connotazioni positive essa resta, nell’immaginario comune, simbolo di una condizione molto, molto particolare.
A cura di Federica D'Alfonso
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Cosa vuol dire "scurnacchiato"?
Cosa vuol dire "scurnacchiato"?
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La vergogna può avere tantissime cause. Una delle più sentite e temute, a Napoli, è la vergogna per l’infedeltà coniugale: il povero “cornuto” viene da sempre compatito e in non pochi casi, deriso per la sua inconsapevole sfortuna in amore. La lingua napoletana, con la sua vivace varietà di aggettivi, ci fa scoprire che esiste una categoria ben peggiore di quella del semplice cornuto: essere definito uno “scurnacchiato” è infatti molto peggio, sintomo di una condizione particolarmente degna di biasimo.

Si tratta di un termine molto diffuso nel gergo napoletano, che nel tempo ha finito col comprendere significati non per forza negativi: non è raro udire questo termine quando si parla di una persona particolarmente sveglia e vivace. Ma la sua origine è tutt’altro che positiva: lo “scurnacchiato” etimologicamente è colui che non ha “scuorno”, vergogna, della propria condizione di cornuto. Lo “scornacchiato” a Napoli è propriamente colui che non soltanto viene tradito dal proprio partner, ma è addirittura consapevole di tale infedeltà. Che il soggetto in questione sia contento o meno di questa condizione, non è dato saperlo.

Si tratta del peggio che potrebbe capitare ad un uomo (o a una donna): essere tradito e sbeffeggiato pubblicamente, privato della propria vergogna attraverso la consapevolezza dell’insulto. Il verbo “scornacchiare” racchiude in sé, abilmente, il senso profondamente negativo dell’essere “senza vergogna”: il suffisso “acchio” infatti, corrispettivo del latino “aculum”, designa proprio il peggio del peggio.

San Martino, il patrono degli scurnacchiati

San Martino in un affresco di Simone Martini.
San Martino in un affresco di Simone Martini.

Gigi Pisano, nella sua celebre canzone “N’accordo in Fa”, mette in guardia il giovane innamorato dai pericoli del matrimonio: nonostante l’affetto, prima o poi tutti noi finiamo “A San Martino a fa’ o Priore”. La curiosa frase si riferisce alla Certosa di San Martino, luogo simbolo di Napoli, e in essa è racchiuso tutto un universo di credenze che hanno eletto il povero Martino di Tours, vescovo francese del 300 d. C., quale protettore dei cornuti: essere “priore della Certosa” vuol dire essere il primo cornuto della città.

Scopriamo così che i poveri cornuti e scornacchiati non sono soli nelle loro sventure amorose: ce lo ricorda anche Totò un una sua poesia, che “stu segno ormai da tutti è risaputo ca ‘o porta mmiezo ‘a mano San Martino, o Santo prutettore d’ ‘e cornute”. Ma perché proprio lui veglia e protegge le vittime dell’infedeltà coniugale?

Un altro detto napoletano vuole che "San Martino se purtava ‘a sora ncuollo": si racconta che l’uomo portasse sempre con sé sua sorella per evitare che cadesse preda degli uomini vogliosi, ma con scarso successo. La ragazza trovava sempre il modo di fuggire, per dedicarsi ai suoi amanti. Ma al di là delle leggende, è molto più probabile che la causa di questo onorevole compito per San Martino risieda nel fatto che durante il periodo in cui si festeggiava il suo nome, l’11 novembre, si svolgessero contemporaneamente una lunga serie di sfrenate feste pagane durante le quali avvenivano molti adulteri.

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