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Soldi e Rolex in cambio di visti: nei guai funzionari dell’ambasciata del Bangladesh. Volevano corrompere un parlamentare di FdI

Per i cittadini del Bangladesh disposti a pagare 15mila euro, il processo burocratico per ottenere un visto di lavoro per l’Italia era molto più veloce. Merito di due funzionari dell’ambasciata a Dhaka che approvavano le pratiche, ora sono accusati di corruzione.
A cura di Enza Savarese
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Quindicimila euro per acquistare un visto di lavoro e poter entrare in Italia. A comprarlo i cittadini del Bangladesh, a venderlo i rappresentati della associazioni della comunità bengalese in Italia, ora sotto indagine insieme ad alcuni funzionari dell'ambasciata a Dhaka, che venivano corrotti per consentire il rilascio dei documenti.

Le indagini della Procura di Roma hanno rilevato un vero e proprio business di compravendita illegale di visti di lavoro attraverso un sistema di corruzione che avrebbe tentato di coinvolgere, invano, il deputato di Fratelli d'Italia, Andrea Di Giuseppe, componente della Commissione Affari Esteri.

Visti di lavoro a pagamento: il tentativo di corruzione anche di un deputato di Fdl

In cima alla piramide della vendita illegale di visti di lavoro ci sarebbe il presidente a Roma dell'associazione della comunità bengalese. Sarebbe lui ad aver organizzato il tariffario e ad aver coinvolto due funzionari italiani dell'ambasciata di Dhaka, ora accusati di corruzione. I prezzi andavano dai settemila ai quindicimila euro per poter ottenere un visto di lavoro, che avrebbe consentito l'accesso in Italia ai cittadini del Bangladesh. Per chi riusciva a pagare le somme ingenti, il processo burocratico diventava magicamente più veloce.

Il "merito" era di alcuni funzionari nell'ambasciata, che acceleravano le pratiche dopo aver ricevuto sotto banco un compenso. Le mazzette andavano da ingenti somme di denaro a beni di lusso. Tra questi le indagini hanno rilevato Rolex, iPhone di ultima generazione, AirPods e addirittura viaggi all inclusive dal valore di cinquantamila euro con destinazione Dubai per i funzionari che permettevano il rilascio dei documenti.

I vertici del business illegale avrebbero tentato senza successo di corrompere anche un rappresentante politico. Si tratta del deputato di Fratelli d'Italia, Andrea Di Giuseppe a cui sarebbero stati offerti due milioni di euro per entrare nel giro. Il deputato non solo avrebbe rifiutato l'offerta, ma avrebbe anche denunciato pubblicamente il sistema illegale che si alimentava negli uffici diplomatici.

Inscritte nel registro degli indagati ci sono al momento quattro persone, due di queste sono funzionari dell'ambasciata italiana in Bangladesh che lavoravano nella sezione visti. Gli altri accusati sono invece i rappresentanti dell'associazione bengalese in Italia, che gestiva il traffico illegale.

Dalle mazzette alla percentuale sui compensi

I profitti illegali non venivano solo dalla vendita dei visti di lavoro. Per i fortunati che riuscivano ad entrare in Italia e a ottenere un contratto di lavoro, i rappresentati del business chiedevano una percentuale sui guadagni mensili che ricevevano dal datore.

Come riporta Repubblica, per i difensori dei due funzionari dell'ambasciata sotto accusa i loro assistiti "hanno agito con spirito di solidarietà verso alcuni connazionali in difficoltà". Gli avvocati hanno inoltre criticato le azioni di denuncia pubbliche del deputato Di Giuseppe che è intervenuto "durante la fase coperta da segreto istruttorio con modalità che sembrano più orientate alla visibilità personale che al rispetto delle istituzioni", dichiarano i difensori.

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