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Karim, recluso a Ponte Galeria nonostante fragilità mentali e dipendenze: “Diritto alla salute negato ai migranti”

Dalla tossicodipendenza ai disturbi psichiatrici, passando per certificazioni sanitarie sommarie e mancate visite specialistiche: il caso di Karim, liberato dal Cpr di Ponte Galeria dopo l’intervento della Corte d’Appello di Roma, riporta al centro le gravi falle del sistema sanitario nei centri di permanenza per i rimpatri e una prassi che continua a colpire persone vulnerabili.
A cura di Gaetano De Monte
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Immagine di repertorio
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Karim (il nome è di fantasia ma la sua storia è vera) è un uomo di 25 anni di nazionalità marocchina, vive a Roma e ha una relazione sentimentale con una ragazza italiana. È un consumatore stabile di sostanze stupefacenti e, a causa di questa sua dipendenza, ha commesso piccoli reati per i quali è stato detenuto nel carcere di Velletri. Dopo aver scontato la pena, mentre era in cura al Serd dove assumeva psicofarmaci, un giorno è stato fermato dalle forze dell’ordine e, poiché risultava sprovvisto di un titolo di soggiorno regolare, è stato condotto all’interno del Centro di permanenza per i rimpatri di Ponte Galeria.

Quando entra nel Cpr, però, a Karim viene chiesto soltanto di compilare un modulo sanitario prestampato e l’unica visita medica che riceve presso l’Asl di Fiumicino si limita ad attestarne l’assenza di malattie infettive, senza nessuna considerazione in ordine all’idoneità della sua permanenza in una struttura dove non vengono erogati, in sede, i servizi per il trattamento delle dipendenze. Così, per tutelare il diritto alla salute del proprio assistito, l’avvocato Gennaro Santoro informa il medico dell’ente gestore e l’Asl Roma 3 del possibile stato di tossicodipendenza dell’interessato. Richiede una nuova visita di idoneità alla vita ristretta e segnala, inoltre, che durante la passata permanenza in carcere il suo cliente ha avuto bisogno di assistenza psichiatrica. Trascorrono i giorni ma dall’azienda sanitaria locale non viene data al legale nessuna risposta alle sue sollecitazioni.

Il medico della struttura, invece, risponde, affermando di aver richiesto copia della scheda sanitaria alla casa circondariale di Velletri, e poi nel carteggio con l’avvocato ancora precisa: "La informiamo che il servizio sanitario interno del CPR ha quotidiani contatti con il servizio delle dipendenze al fine di garantire non solo la necessaria presa in carico ma altresì la somministrazione di terapie sostitutive qualora necessarie".

Tuttavia, queste rassicurazioni non soddisfano il legale di Karim, il quale chiede alla Corte d’Appello di Roma la non convalida del trattenimento del suo assistito all’interno del Cpr di Ponte Galeria, poiché l’uomo, si legge nel ricorso, "ha una storia clinica caratterizzata da disturbi psichici già certificati e ha necessità di un monitoraggio costante e della possibilità di essere eventualmente sottoposto alle necessarie cure presso una struttura in cui possa essere adeguatamente preso in carico".

La sentenza è arrivata alla metà di novembre e ha dato ragione a Karim che, nel frattempo, aveva fatto domanda di asilo politico. Nel decreto che ha disposto la liberazione dell’uomo, la giudice Maika Marini ha riconosciuto, "la presumibile sussistenza di una condizione di vulnerabilità del richiedente asilo incompatibile con il suo trattenimento presso il Centro di permanenza per i rimpatri", e ha contestato l’assenza di un adeguato certificato medico attestante la compatibilità alla permanenza al suo interno.

Quello di Karim, però, non è un caso isolato. È accaduto anche alla fine dell’estate che, ad un uomo ristretto a Ponte Galeria, il giudice di Pace di Roma non abbia convalidato il suo trattenimento all’interno del Cpr, perché l’uomo presentava tagli sul corpo e, dunque, come si legge nella sentenza, "non potendosi pertanto escludere con certezza l’assenza di patologie di natura psichiatrica stante l’assenza di specifico certificato psichiatrico depositato in atti", il migrante è stato liberato dal Cpr. Ciò che lo stesso avvocato Gennaro Santoro è riuscito a dimostrare in questo caso, è l’assenza totale di un contatto tra la persona in questione e uno psichiatra, nonostante il medico dell’ente gestore del Cpr aveva riportato nella scheda di primo ingresso la presenza di tagli al braccio e al polpaccio. Ma anche per quest’uomo, come per Karim, l’Asl competente di Fiumicino aveva certificato l’idoneità alla vita ristretta attraverso un modulo prestampato compilato da un medico generale senza il consulto di uno specialista. "Questo avveniva in aperta violazione della norma secondaria prevista dall’articolo 3 del così detto decreto Lamorgese che vieta il trattenimento di persone con vulnerabilità psichiatrica, e impone dunque che l’assenza di patologie psichiatriche debba essere verificata prima dell’ingresso in struttura", ha spiegato a Fanpage.it l’avvocato Santoro.

Ma anche questa non è una storia isolata e dimostra una prassi: quella di trattenere nel Cpr di Ponte Galeria persone con vulnerabilità psichiatrica, almeno fino a quando non interviene a loro tutela un legale che, oltre sul già citato decreto Lamorgese, può far leva anche sulla sentenza n.96 del 2025 della Corte Costituzionale che stabilisce in questi casi l’obbligo di una visita psichiatrica per tutte le persone destinatarie di un provvedimento limitativo della libertà personale. Tant’è.

In tutti i casi, è un fatto conclamato l’incapacità del servizio sanitario nazionale di garantire all’interno di tutti i centri di trattenimento italiani quella continuità assistenziale e quel monitoraggio costante che costituiscono presupposti imprescindibili per la tutela del diritto alla salute di soggetti con problematiche psichiatriche.

Nello specifico di Ponte Galeria, poi, dopo due recenti visite all’interno del Cpr, la deputata del Partito democratico Rachele Scarpa ha evidenziato gravi criticità relative alle condizioni strutturali e organizzative del Centro. In particolare, tra le altre cose, si apprende che i locali di pernotto e i servizi igienici versano in pessime condizioni igienico-sanitarie: le stanze risultano sovraffollate, la pulizia è irregolare e superficiale, i materassi sono spesso deteriorati o sporchi, e gli ambienti presentano cattivi odori, umidità e infestazioni di insetti. A questo si aggiunge il fatto che i servizi igienici non garantiscono standard minimi di salubrità. Ecco, dunque, come a Ponte Galeria, ma anche negli altri Cpr italiani, viene calpestato il diritto alla salute delle persone trattenute.

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