Dipendente comunale morta di Covid, i famigliari chiedono 500mila euro di risarcimento
I famigliari di una dipendente del Comune di Cassino morta per Covid, hanno chiesto all'Inail 500mila euro di risarcimento. Assistiti dall'avvocato Francesco Malafronte, hanno chiamato il causa l'Inail e ora sono in attesa che si pronunci, ma hanno già anticipato che, qualora la risposta fosse negativa, sono pronti a ricorrere in Tribunale. In questo caso almeno per Cassino sarebbe la prima volta che arriverebbe davanti al giudice un caso del genere, che implica una vicenda in cui è chiamata in causa la richiesta di risarcimento per morte sopraggiunta per Covid-19 contratto presumibilmente sul posto di lavoro. Secondo quanto sostiene la famiglia sostenuta dall'avvocato la donna si sarebbe infettata al lavoro, trattandosi di una mansione che prevede il contatto diretto con il pubblico. Contratta la malattia e avendone manifestato i sintomi, le sue condizioni di salute si sono progressivamente aggravate, fino a condurla al ricovero ospedaliero e alla terapia intensiva. Poi il decesso avvenuto a primavera scorsa, a seguito di alcune complicanze sopraggiunte, che le sono purtroppo risultate fatali.
Il legale: "Virus come infortunio sul lavoro"
Il legale ha spiegato al Messaggero che "le patologie infettive contratte in occasione di lavoro sono inquadrate e trattate come infortunio sul lavoro dal momento che la causa virulenta è equiparata alla causa violenta propria dell'infortunio, anche nell'ipotesi in cui gli effetti propri del contagio si manifestino dopo un certo lasso di tempo – ha detto – Il riconoscimento dell'origine professionale del contagio si fonda su un giudizio di ragionevole probabilità che l'infezione sia avvenuta in contesto lavorativo ed è del tutto estraneo a qualsivoglia valutazione circa l'imputabilità di eventuali comportamenti omissivi in capo al datore di lavoro che ne possano aver determinato il contagio".