Detenuto si suicida nel carcere di Rebibbia impiccandosi alla porta aperta della cella

Tragedia nel carcere di Rebibbia a Roma, dove un detenuto italiano di cinquantasei anni si è suicidato, impiccandosi alla porta aperta della cella. L'episodio è avvenuto nella serata di ieri, venerdì 18 aprile. Per l'uomo, quando è stato trovato, non c'è stato purtroppo nulla da fare per salvargli la vita. Da quanto si apprende è una persona con problemi psichici. Dopo la sua morte i detenuti hanno dato il via ad una protesta, danneggiando l'infermeria. Si tratta del ventinovesimo suicidio dall'inizio dell'anno, nel 2024 il drammatico bilancio ne ha contati novanta.
"Serviva alternativa alla detenzione per motivi di salute"
Sulla vicenda è intervenuto il garante dei detenuti del Lazio Stefano Anastasìa: "Non sappiamo, non possiamo sapere le intime cause di quel gesto. Sappiamo però che si trattava di un uomo di una certa età, cinquantasei anni, in carcere da tempo e con un fine pena ancora lontano, alloggiato nella sezione dedicata ai detenuti con problemi psichici di Rebibbia penale, ma non era destinato a una Rems, perché sempre riconosciuto responsabile delle sue azioni.
Piuttosto, avrebbe potuto essere ammesso a un’alternativa alla detenzione per motivi di salute, ma la caccia alle streghe in atto nel nostro Paese contro chiunque sia o sia stato in carcere e la penuria del sistema di assistenza psichiatrico territoriale rendono difficile trovare e concedere alternative. È l’ennesima dimostrazione di un sistema che, nonostante l’impegno degli operatori sanitari e penitenziari, non funziona e che invece viene continuamente sovraccaricato di domande a cui non può rispondere.
Ora abbiamo anche quello scellerato e incostituzionale decreto-legge, che prevede quattordici nuovi reati, nove aggravanti e la detenzione per le donne incinte e i neonati, mentre le carceri scoppiano e noi continuiamo a contare le morti di cui vi è costretto".
"Non avrebbe dovuto trovarsi in carcere"
"Si deve rapidamente passare per la prevenzione dalle parole ai fatti, cresce il numero dei suicidi di detenuti con problemi mentali – ha commentato Aldo Di Giacomo, segretario generale del sindacato di polizia penitenziaria – Si tratta di persone che non avrebbero dovuto trovarsi in istituti penitenziati ma in strutture socio-sanitarie-assistenziali specializzate.
I posti disponibili nelle Rems sono insufficienti, l’attesa per il trasferimento dal carcere è molto lunga e non sono stati attuati protocolli di collaborazione tra sanità e giustizia, alla base dello sviluppo di prassi ancora non generalizzate ma in molte realtà assai proficue per l’assistenza ai detenuti con problemi psichici.
Inoltre, nelle carceri il personale medico, psicologi e psichiatri risulta del tutto insufficiente. Occorrono strumenti e finanziamenti mirati ed efficaci, anche per la sanità penitenziaria, più collaborazione tra strutture sanitaria e amministrazione penitenziaria se realmente vogliamo interrompere questa strage".