Chi ha ucciso Antonella Di Veroli? Dopo 30 anni l’omicidio della ‘donna nell’armadio’ è un mistero

L’assassino di Antonella Di Veroli non ha ancora un nome e un volto dopo oltre 30 anni. Nuove indagini aperte alcuni mesi fa potrebbero dare nuove risposte.
A cura di Simona Berterame
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Roma, domenica 10 aprile 1994. Antonella Di Veroli rientra nel suo appartamento nel quartiere Talenti dopo aver pranzato con un’amica. Ha 47 anni, è una commercialista stimata. Vive da sola, una routine tranquilla la sua. Nessuno immagina che quella sarà la sua ultima sera. Un omicidio rimasto senza colpevole per oltre 30 anni. Ma c’è una sorella, Carla, che non ha mai smesso di cercare la verità. "Era una donna tenace, una donna retta, generosa. Amava la famiglia e lei tante cose se le teneva dentro e non parlava. Purtroppo era una donna molto sola" ci dice Carla, ricordando Antonella.

L'ultima notte

Alle 22.45 di quella sera Antonella telefona a sua madre: è l’ultimo contatto,  Il giorno seguente non si presenta a lavoro, la vicina e amica Ninive Colombo non la vede uscire. Una circostanza anomala per chi conosce Antonella, una donna molto precisa e seria. La madre e la sorella la chiamano più volte, ma senza ricevere nessuna risposta. Nel pomeriggio Carla, la sorella, entra per la prima volta nell’appartamento alla ricerca un indizio, una spiegazione di tale assenza. L'appartamento è in ordine anche se Carla nota un leggero disordine, una circostanza anomala per la sorella che era molto precisa e pignola. Le luci sono accese, delle due serrature solo una risulta chiusa, ci sono dei faldoni di lavoro sul tavolo da pranzo e il tappetino in bagno è tutto arricciato. Niente di allarmante ma soprattutto non ci sono tracce di Antonella.

A cercarla non ci sono solo i familiari: c’è anche il suo ex socio Umberto Nardinocchi. È lui a tornare lì una seconda volta con il figlio e un agente di polizia: stesso risultato, nessuna traccia di Antonella. A 48 ore dalla scomparsa Nardinocchi chiama Carla: vuole rientrare nell’appartamento, questa volta con lei e con un’amica di Antonella. “Magari ci è sfuggito qualcosa”, le dice.

“Io e mio marito volevamo andare a sporgere denuncia visto che erano passati due giorni ma Nardinocchi mi ha convinto a fare prima un terzo passaggio in casa visto che la caserma era lì vicino. Cominciamo a vedere se c'era qualcosa che ci era sfuggito. Io l'unica cosa che ho avvertito appena aperta la porta di casa Antonella era un odore che il giorno prima non c'era. Era l’odore del mastice, dopo ho ricollegato.” racconta Carla.

Per la terza volta iniziano le ricerche della donna all'interno della sua abitazione. Nardinocchi apre un armadio nella camera da letto e ci si rende conto che le porte erano state sigillate con del silicone. Lì dentro c’è Antonella. Il suo cadavere è posizionato all'interno dell'armadio, seminascosta da alcuni abiti. Il corpo è rannicchiato quasi in posizione fetale, indossa il pigiama e il suo volto è ricoperto di sangue e avvolto con un sacchetto di plastica trasparente. Il killer le ha sparato due colpi di pistola alla testa, utilizzando un cuscino per attutire gli spari. I due spari colpi non l’hanno uccisa ma solo tramortita. L'autopsia stabilirà infatti che Antonella è morta per asfissia, attraverso quel sacchetto intorno alla testa.

Le indagini e il mistero

Da quel momento via Damiano Oliva diventa una scena del crimine. È l’inizio di un mistero lungo più di trent’anni. Chi ha ucciso una donna che all’apparenza non aveva nemici? Un fatto è chiaro: Antonella conosceva il suo assassino. “Il cerchio si restringe tantissimo, perché lei frequentava poche persone, pochissime persone frequentano la sua casa. Gli apre in pigiama, semi struccata, come se fosse stata interrotta nel momento della preparazione per andare a letto. Se lei apre è perché quello che sta dall'altra parte della porta è persona di cui lei si fida.” ci spiega il giornalista e scrittore Mauro Valentini che per anni si è occupato di questo caso.

Più di una persona potrebbe aver partecipato all’omicidio? Di questo sembra essere convinto l’avvocato della famiglia Di Veroli, Giulio Vasaturo: “In un primo momento l'assassino uccide Antonella Di Veroli, però poi c'è una fase successiva, che non necessariamente è contestuale, in cui Di Veroli viene spostata dal letto all'interno dell'armadio. Ora noi pensiamo che una persona da sola avrebbe avuto enormi difficoltà a spostare un corpo morente in quella fase all'interno di un armadio.”

Due uomini e nessuna condanna

Gli investigatori si concentrano su due uomini: Umberto Nardinocchi e Vittorio Biffani, fotografo sposato con cui Antonella aveva avuto una relazione. Solo Biffani finirà a processo. All'epoca la pressione mediatica è alle stelle, con altri due casi irrisolti nello stesso periodo, ovvero quello di Simonetta Cesaroni e la contessa Alberica Filo della Torre. Andava trovato un colpevole a tutti i costi.

E il colpevole perfetto è Vittorio Biffani. In questa vicenda entra infatti anche un prestito mai restituito: Antonella aveva prestato un'importante somma di denaro a Biffani. I due uomini vengono sottoposti all’esame dello stub: sulle mani di tutti e due risultano tracce di polvere da sparo. Nardinocchi dice di essere stato al poligono due giorni prima, Biffani invece non sa spiegare perché abbia residui di sparo addosso. Durante il processo d'appello arriva però il colpo di scena l'avvocato che segue la parte civile si accorge che c'è una irregolarità stranissima nel numero della repertazione degli stub. I dischetti erano stati numerati in maniera errata, per cui non si poteva attribuire una positività ad uno dei due soggetti. Così la prova regina contro Biffani cade e lui viene assolto in tutti i gradi di giudizio.

Il racconto del testimone

Eppure già allora esisteva una testimonianza cruciale: quella di Sergio Bottaro, vicino di casa della vittima. Sergio racconta di aver visto proprio il giorno dell’omicidio un uomo, mai visto prima, aggirarsi sotto l’abitazione di Antonella: uno sconosciuto, una presenza che nessuno identificherà mai.

“Verso ora di pranzo io dovevo tornare a casa. Sono andato verso i citofoni, c'era una persona che controllava i nomi. Gli chiedo: ‘Ha bisogno di qualche cosa?’ Questa persona era alta, tracagnotta, un po’ grossa, aveva una busta di plastica in mano. Gli chiedo: ‘Sta cercando qualcuno?’ E lui fa: ‘No, no, sto cercando una persona’, ed è stato vago. A quel punto ha abbassato la testa e si è spostato. Io poi salgo, riscendo e lui era ancora qui.”

Sergio è rimasto a lungo nel piazzale intorno a casa e ricorda ancora i movimenti di quel pomeriggio. Intorno alle otto di sera vede rientrare Di Veroli a casa ma lui era già andato via. Di una cosa Sergio è certo: l'uomo misterioso non era né Nardinocchi né Biffani.

Le nuove indagini

L’assassino di Antonella Di Veroli non ha ancora un nome o un volto, ma è stato fatto davvero tutto il possibile?  È quello che si sono chiesti due giovani giornalisti investigativi, Diletta Riccelli e Flavio Maria Tassotti. Hanno riaperto il fascicolo, pagina dopo pagina, e dentro hanno trovato elementi mai approfonditi. Primo fra tutti il taxi Montesacro. "Parte una chiamata dall'utenza telefonica di Antonella quando Antonella era già morta. Ce lo dice l'autopsia: è una chiamata appunto a questo taxi, in piena notte. E non si erano mai sincerati di capire se qualcuno avesse realmente ricevuto questa chiamata e se qualcuno avesse prelevato dall'appartamento di Antonella qualcuno per portarlo da qualche parte.” ci spiega Diletta Ricce.

Da questa indagine giornalistica si è arrivati all'apertura di un nuovo fascicolo di indagine contro ignoti. Oggi il progresso delle scienze forensi garantirà nuove analisi su reperti conservati per oltre 30 anni, in alcuni casi mai analizzati: impronte digitali, capelli, perfino il sacchetto di plastica che avvolgeva la testa di Antonella, un reperto che sembrava essere scomparso e invece era ancora lì. Svaniti nel nulla, invece, sembrerebbero l’unico bossolo rinvenuto sulla scena del crimine e un’anta dell’armadio che avrebbe potuto conservare l’impronta del killer. Va detto che questo pianale dell’armadio, in fase dibattimentale, non risultò utilizzabile: il legno trattato non permetteva il prelievo adeguato dell’impronta

Carla Di Veroli attende con pazienza gli sviluppi di queste nuove ricerche. Lei non ha mai smesso di cercare risposte e di sperare: “Non credo che ci sia giorno in cui io non abbia pensato a mia sorella o non abbia pensato al perché di tutto questo. Perché a lei? Perché si è trovata in quelle circostanze? Amicizie sbagliate, scelte sbagliate? Lavoro sbagliato? Non lo so. Spero tanto che questa sia la volta buona e che si possa arrivare a trovare una minima cosa che ci possa far capire. Anche se tante persone nel tempo sono morte, magari qualcuno che ha visto, qualcuno che ha sentito, può essere che esca fuori.”

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