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Antonio Mancini ex criminale della banda della Magliana: “I soldi? Tutti in droga e bella vita”

Antonio Mancini racconta la sua vita a Fanpage.it. Dalla sua infanzia alle origini della banda della Magliana fino ad arrivare al suo pentimento nel 1994.
A cura di Simona Berterame
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Dover smentire la notizia della propria morte non è cosa da tutti. È successo pochi giorni fa ad Antonio Mancini, meglio conosciuto come "Accattone". Tra i fondatori della banda della Magliana, collaboratore di giustizia dal 1994, ha iniziato il nuovo anno dovendo dire a tutti: "Sono vivo". Si è trattato di uno scambio di persona, un errore di comunicazione. A morire infatti è stato un altro Mancini, Luciano noto come “Er Principe”. Anche lui faceva parte della banda della Magliana e da lì è partito l'equivoco durato alcune ore sui giornali.

Le origini della banda

La banda della Magliana nasce "perché volevamo riprenderci Roma". Questa è la prima definizione espressa da Antonio Mancini per rispondere alle tante domande sulle origini della banda. Il gruppo iniziale, a cui prese parte Mancini, nacque alla fine degli anni Settanta per riunire tutte le cosiddette "batterie" sparse nei vari quartieri nella Capitale e creare invece un fronte unico in grado di comandare. "Se volevi vendere droga dovevi prima passare da noi". Per un paio di decenni la banda diventa il punto di riferimento per traffici illeciti come gioco d'azzardo, sfruttamento della prostituzione, rapine, traffico di armi e droga.

La scomparsa di Emanuela Orlandi

La storia della banda si intreccia con numerose vicende legate agli anni di piombo e misteri ancora irrisolti del nostro Paese. Uno fra tutti la scomparsa di Emanuela Orlandi. Antonio Mancini sostiene ancora una volta la sua versione, parlando di un coinvolgimento della banda nel sequestro della giovane cittadina vaticana. "In questa storia bisogna seguire i soldi, c'entrano solo i soldi", continua a ripetere. Soldi prestati dalla banda della Magliana finiti nelle casse dello IOR e mai restituiti. "Prima il tentato omicidio di Roberto Rosone, direttore generale e vicepresidente del Banco Ambrosiano, poi viene trovato impiccato Roberto Calvi, presidente del banco Ambrosiano. Eppure questi soldi non tornano, non rimaneva altro da fare che un'azione che facesse risonanza".

La nuova vita

Il 1994 è l'anno di svolta per Antonio Mancini. "Io mi ero fatto undici anni di galera – spiega Mancini – e avevo potuto vedere mia figlia solo attraverso un vetro". Una volta uscito, Antonio incontra i membri della banda rimasti e i discorsi sono sempre gli stessi: rapine, omicidi, droga. "Ho detto basta, non volevo questa vita anche per mia figlia e l'unico modo per troncare davvero era iniziare a collaborare con la giustizia e così ho fatto". Da 30 anni Antonio Mancini trascorre la sua nuova vita a Jesi, prima lavorando come autista di pullman per disabili e ora in pensione.

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