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A Roma e nel Lazio possono abortire sempre meno donne: “Colpa dell’obiezione di coscienza. Anche questa è violenza”

Abortire a Roma e nel Lazio è un diritto che spesso ci viene negato da personale medico obiettore di coscienza, lo dice un’indagine svolta dal Coordinamento delle Assemblee delle Donne. Chi non permette l’accesso all’interruzione volontaria d gravidanza sta commettendo una delle più grandi violenze nella vita di una donna: scegliere come viverla.
A cura di Beatrice Tominic
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Oggi, 25 novembre, si celebra la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Esistono numerosi tipi di violenza, da quella fisica a quella psicologica fino a quella economica. Ma la violenza di genere non si ferma qui: anche ostacolare l'autodeterminazione dei corpi e la libertà di scelta delle donne è una forma di violenza. E c'è chi lo continua a fare in ospedali e contro ogni norma della legge anche nei consultori.

Stiamo parlando del fenomeno dell'obiezione di coscienza, la pratica secondo cui professionisti della sanità come ginecologi e ginecologhe negano la possibilità di eseguire un'interruzione di gravidanza alle donne che la richiedono o, in modo più subdolo, cercano di ostacolarle nei loro intenti mettendole davanti a lunghe attese o procedimenti altrettanto lunghi quanto dolorosi. Si chiede di motivare la scelta di accedere alla possibilità di un'interruzione volontaria di gravidanza, si fissano date vicine alle scadenze di legge secondo le quali è possibile intervenire o si cercano delle modalità per cercare di far cambiare idea riguardo all'aborto volontario come, in alcuni casi lo abbiamo visto, sottoponendo le donne rimaste incinte all'ascolto del battito cardiaco del feto.

Quello che, per alcune persone, può sembrare un fenomeno silenzioso e sommerso, in realtà esiste ed è chiaramente diffuso, nonostante da anni il governo non divulghi notizie, dati e numeri sul tema. A far emergere i problemi e la situazione reale che si vive a questo proposito a Roma e nella Regione Lazio, però, ci hanno pensato le attiviste di Non una di Meno Roma con il Coordinamento delle Assemblee delle Donne e delle Libere Soggettività di Roma e del Lazio con un'inchiesta autoprodotta.

I risultati dell'indagine: nel Lazio un'Asl fantasma e una silente

Sottoporsi a un'interruzione volontaria di gravidanza nella nostra regione non è facile, in particolare in alcune specifiche zone. Nel report redatto dalle assemblee delle donne, è completamente assente la provincia di Frosinone, e resta silente, soprattutto per alcuni temi specifici, la Asl di Roma5.

"Dalla Asl di Frosinone abbiamo ricevuto un solo foglio in cui non compaiono risposte in merito ai numeri richiesti, ma dati su cui era impossibile lavorare", spiega Alessandra del Coordinamento delle Assemblee delle Donne e delle Libere Soggettività di Roma e del Lazio che si è occupata di redigere il report e dell'indagine stessa. Un'incomprensione o un atteggiamento volto a celare un alto tasso di personale obiettore di coscienza? Difficile dirlo. Anche se il trend che si nota in tutta la Regione Lazio potrebbe spingerci verso la seconda opzione, calcolando anche che, come precisa ancora Alessandra, in tutto il territorio della Asl di Frosinone non sarebbe ancora somministrata la RU-486 nei consultori, a dispetto di quanto prevede la normativa ministeriale.

"La tragedia reale, credo valga per tutte le regioni, è che ogni direttore generale di Asl ha una propria autonomia decisionale e può capitare che alcune normative non vengano neppure mai attuate – continua – E questo porta al crescente numero di obiettori e al rischio che la legge 194 non venga neppure mai attuata". E in quei casi può essere difficile capire a chi rivolgersi, soprattutto nel caso di ragazze più giovani o nei casi in cui non si è maggiorenni.

Obiezione di coscienza nel Lazio dal report di Non una di Meno Roma con il Coordinamento delle Assemblee delle Donne e delle Libere Soggettività di Roma e del Lazio.
Obiezione di coscienza nel Lazio dal report di Non una di Meno Roma con il Coordinamento delle Assemblee delle Donne e delle Libere Soggettività di Roma e del Lazio.

Ma la Asl di Frosinone non è l'unica a fare i conti con situazioni poco chiare e nitide: numeri allarmanti arrivano anche dalla Asl di Roma 5, che comprende i distretti sanitari di Monterotondo, Guidonia, Tivoli, Subiaco, Palestrina e Colleferro. Come emerge dall'indagine, infatti, nessuna RU486 è stata somministrata in questo territorio (un dato purtroppo comune anche alla Asl di Roma 4, di Latina e , se si parla di ospedali, anche a quella di Viterbo): "Qui l'aborto farmacologico è ancora in attesa di attivazione nell'unico consultorio presente, quello di Tivoli, che è stato riaperto qualche giorno fa dopo un periodo di sospensione delle attività e ancora non è partito (stando a quanto emerso fino a giovedì 20 novembre, ndr). Doveva essere introdotto almeno due o tre anni fa".

Problemi evidenti con la somministrazione della RU486 si registrano anche nella Asl di Roma 4, che a sua volta è suddivisa nei distretti di Civitavecchia, Cerveteri, Bracciano e nel quarto che comprende comuni com Formello, Morlupo e Campagnano. Anche qui, come nella Asl di Roma 5, è pari allo zero. "In questa Asl la somministrazione dovrebbe essere attiva da febbraio scorso, ma non ci sono mai stati inviati dati. Ringraziano, dicono che il sevizio va bene. Eppure in molte e molti chiamano per chiedere se ci siano consultori nel territorio".

Dall’indagine autoprodotta di Non una di Meno Roma con il Coordinamento delle Assemblee delle Donne e delle Libere Soggettività di Roma e del Lazio sulla somministrazione della RU486.
Dall’indagine autoprodotta di Non una di Meno Roma con il Coordinamento delle Assemblee delle Donne e delle Libere Soggettività di Roma e del Lazio sulla somministrazione della RU486.

I numeri dell'obiezione di coscienza a Roma e nel Lazio

Ma negli altri ambiti presi in esame la situazione non cambia: i numeri dell'obiezione negli ospedali pubblici non sono mai stati forniti quando richiesti, una circostanza che potrebbe far pensare alla totalità o quasi di specialisti obiettori. Il dato, nei consultori, aumenta fino al 43% e si trova al secondo posto dopo la Asl di Latina, 48%, per presenza di obiezioni nei consultori pubblici. "Nei consultori pubblici dove dovrebbe essere, in ogni caso, pari allo zero" sottolinea Alessandra.

Come spiegarsi numeri così preoccupanti in un territorio i cui comuni sono grandi, popolosi e vicini a una città grande come Roma? "Quando ci troviamo di fronte a dati come questi la scelta è politica. Non è mai un caso. Vuol dire che chi dovrebbe controllare che vengano messe in atto le leggi in vigore, che siano territoriali, regionali e nazionali, non lo fa. E la situazione della Asl di Roma 5 è una delle più inquietanti. Vuol dire che nei consultori non si sta applicando una legge ed è gravissimo questo – aggiunge – Si tratta di una scelta politica anche piuttosto malcelata. Ne abbiamo avuto l'ennesima prova quando è stata presentata, all'inizio della scorsa estate la legge regionale Interventi a favore della famiglia, della natalità e della crescita demografica che sembra fare da apripista alla possibilità di creare consultori di stampo cattolico".

Una legge, come già spiegato da Fanpage.it, creata su misura per favorire i cosiddetti gruppi  provita o meglio, antiscelta in cui il nascituro viene definito persona giuridica fin dal concepimento.  "Una dichiarazione spaventosa che mostra da quale parte stanno certe figure politiche – precisa ancora Alessandra del Coordinamento – Negli ultimi anni abbiamo visto aumentare il numero di personale obiettore all'interno dei consultori".

Perché c'è personale obiettore nei consultori

Il problema riportato dall'attivista, però, è a monte: "Nei concorsi per lavorare in consultorio dovrebbe esserci la clausola per cui si attesta di non essere obiettori di coscienza. "Lo vediamo oggi con la destra, ma lo abbiamo visto anche anni fa, quando la Regione era governata dal centrosinistra senza prevedere questa clausola. Ora il centro destra sta semplicemente proseguendo su quel che ha trovato. Ma è stato lo stesso Zingaretti che ha inserito il decreto 152 , dal quale si evince che gli obiettori non potrebbero lavorare nei consultori".

E non basta garantire l'IVG. "Il problema maggiore è emerso quando è stata inserita la RU486 dalla settima alla nona settimana anche nei consultori, perché il medico obiettore può e, di fatto lo fa, rifiutarsi di darla". E nei territori in cui la maggiore parte dei medici ha questo atteggiamento, diventa un'odissea riuscire a portare a termine la pratica.

Dalla manifestazione del 25 novembre scorso a Roma in occasione della Giornata contro la Violenza di genere.
Dalla manifestazione del 25 novembre scorso a Roma in occasione della Giornata contro la Violenza di genere.

Il personale obiettore, però, come anticipato, non dovrebbe trovarsi nei consultori. "Chiaramente non abbiamo mai chiesto il licenziamento di nessuno – mette le mani avanti Alessandra – Ma il trasferimento presso gli ospedali di tutti gli obiettori consultabili. E, contemporaneamente, mi sembra ovvio, l'assunzione di nuovo personale in base a bandi regolari che prevedano una clausola sulle obiezioni. Allo stesso tempo, per chi chiede il trasferimento dall'ospedale al consultorio, occorrerebbe effettuare una specie di selezione all'ingresso per verificare che tale clausola sia rispettata".

Dal report di Non una di Meno Roma con il Coordinamento delle Assemblee delle Donne e delle Libere Soggettività di Roma e del Lazio.
Dal report di Non una di Meno Roma con il Coordinamento delle Assemblee delle Donne e delle Libere Soggettività di Roma e del Lazio.

Dove abortire se in ospedale e in consultorio il personale è obiettore: "Denunciate"

"La donna che cerca di abortire deve cercare un altro consultorio in un altro comune, un'altra Asl, un altro distretto. O, come abbiamo visto a Frosinone, anche in un'altra provincia. Un viaggio della speranza che molte hanno difficoltà o non riescono ad affrontare". Un viaggio della speranza che, talvolta, avviene anche da una regione all'altra.  Una situazione che porta allo stress della donna in cerca di una soluzione in tempi più rapidi possibile e, d'altra parte, al sovraffollamento e al sovraccarico di consultori che funzionano e prevedono questi servizi.

Di fronte a queste circostanze, per cercare di risparmiare tempo, il suggerimento è sempre quello di spostarsi. "È la soluzione più immediata perché come sappiamo ogni giorno può fare la differenza, soprattutto se sono molto giovani o se sono donne adulte spaventate. Poi c'è una seconda cosa da fare,  non meno importante – precisa – Ed è quella di mandare delle Pec denunciando l'accaduto. Fate valere i vostri diritti immediatamente, perché dopo poi si tende a eliminare il ricordo di un periodo che, se non infelice, è comunque stressante. Passato quel momento in genere dopo non se ne vuole più sentire parlare e viene chiuso un capitolo che probabilmente non sarà mai più riaperto nella vita tanto è stato brutto da affrontare".

Scrivere e denunciare, invece, può fare la differenza. "Bastano poche righe. Un'email dove, nel contenuto, si precisano nome e cognome e si dichiara di non aver visto riconosciuto il diritto di poter accedere al servizio. Non sembra, ma fa davvero la differenza: ho visto Asl mettersi alla ricerca del responsabile con una serietà e determinazione forti".

Chiaramente molte preferirebbero restare in anonimo: "Lo capisco, ma se non si denuncia, invece, non si può andare oltre".

L'obiezione di coscienza: "Un peso che paghiamo tutte"

"L'obiezione di coscienza è un peso che paghiamo tutte noi – spiega ancora – Quando in farmacia non danno la pillola del giorno dopo, quando negli ospedali si rifiutano di prescrivere la RU486, quando ci impediscono comunque di abortire provando a posticipare la date e allungando il numero delle settimane". Le ragioni sono sempre le stesse:  "Nel nostro Paese non può esistere, secondo queste realtà, una donna che non voglia diventare madre o che sia qualcosa di diverso da un contenitore che crea una nuova vita, allatta, non ha diritto alla propria volontà, all'autodeterminazione, alla dignità della propria persona – continua – Anche in questo caso, si tratta di un problema legato alla cultura. Per questo dobbiamo cambiarla".

Oltre a presentarsi agli appuntamenti elettorali, come possiamo fare a cambiare le cose? "Esserci. Resistere. Protestare. E non arretrare di un millimetro – dice senza esitazione – Come Coordinamento delle Assemblee delle Donne e delle Libere Soggettività di Roma e del Lazio ci siamo fatte voce organizzando presidi sotto alla Regione Lazio. Dobbiamo sorvegliare e fare rete con donne che chiedono, denunciano, contestano, si alleano, fanno gruppo. E poi creano le masse che, allora, posso muovere le cose. E a quel punto anche fare le battaglie ha senso".

Di vitale importanza è la presenza sul campo. "Dobbiamo organizzarci in assemblee delle donne: nelle Asl in cui mancano chi vigila sul comportamento tenuto nei consultori? Occorre creare sinergia tra direzione generale, sanitaria, dei consultori e tutta la cittadinanza – continua – A volte ci ritroviamo ad andare in comuni che sembrano sperduti, magari in aree rurali, e a spiegare che permetterci di abortire non è una concessione che ci viene fatta, ma un diritto. E che occorre arrivarsi, partire da un punto per essere motore di cambiamento", sottolineare.

"Dobbiamo ricordarci che scegliere di interrompere la gravidanza non è una scelta facile, da prendere a cuor leggero. C'è chi la vive come una scelta sofferta e, anche quando non è così, resta un diritto e una decisione propria che non possono prendere altre persone, neanche i ginecologi, negli ospedali né nei consultori".

Una forma di violenza di genere a tutti gli effetti. "La più grande che una donna possa avere e subire".

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