Psichiatra uccisa a Bari, cambia il giudice e il processo è tutto da rifare
Rischia di non trovare una conclusione il processo a carico di alcuni dirigenti della Asl di Bari accusati di non aver garantito la sicurezza sul luogo di lavoro, contribuendo così all’omicidio della dottoressa Paola Labriola. I fatti sono avvenuti cinque anni fa – era il 4 settembre 2013 – quando la psichiatra fu uccisa da un paziente con ben 70 coltellate nel centro di salute mentale di via Tenente Casale, nel quartiere Libertà di Bari.
Dopo la sospensione dei processi per tre mesi stabilita per legge a causa della inagibilità del Palagiustizia di via Nazariantz che ha fatto saltare l'udienza del 20 settembre, il procedimento è ripartito nell'ex sezione distaccata del Tribunale di Modugno, ma nel frattempo il collegio dei giudici dinanzi al quale le udienze sono state celebrate, dal febbraio 2017, è cambiato. Per i difensori degli imputati non c'è stato il consenso alla ‘rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale' e così a partire dalla prossima udienza, fissata per il 29 novembre, il processo dovrà ricominciare.
Finora sono state celebrate sei udienze, con 23 persone sentite tra testimoni di accusa, parti civili e primi testi della difesa, che ora dovranno essere nuovamente citate e ascoltate. Per l'omicidio della dottoressa Labriola è stato condannato a 30 anni, in via definitiva, il 41enne Vincenzo Poliseno, mentre quello che si sta ancora celebrando è il processo di primo grado nei confronti dei sei dirigenti Asl, tra i quali l'ex dg Domenico Colasanto, imputati per morte come conseguenza di altro reato, omissione di atti d'ufficio, falso e induzione indebita a dare o promettere utilità. Gli imputati sono accusati di aver omesso le misure necessarie a garantire la sicurezza nel centro di salute mentale in cui la psichiatra venne uccisa.